Adesso, dopo il Sì al referendum, Marchionne dovrà  trovare il modo di risalire la china della perdita di quote di mercato peculiarità  della Fiat di questi ultimi anni. Gli ultimi dati conosciuti affermano che la vendita di auto è caduta del 4,9% in Europa ma la Fiat perde invece il 17% delle sue vendite. Il nostro presidente del consiglio aveva riconosciuto all’amministratore delegato del più grande gruppo industriale privato, il diritto di investire in altri Paesi nel caso che il No avesse vinto nel referendum di Mirafiori. La dichiarazione aveva suscitato qualche perplessità  in molti ambienti. Abbiamo un capo di governo molto atipico anche per ciò che riguarda lo sviluppo economico e gli interessi del Paese che dovrebbe governare. Il suo amico Sarkozy ha investito 7 miliardi per salvaguardare la produzione di auto in Francia. La sua amica Merkel ne ha investito 3 di miliardi. L’abbronzato Obama ha esagerato: 60 sono i miliardi investiti dal governo americano per salvare l’auto Made in Usa. Il governo brasiliano, quello serbo, quello messicano hanno finanziato massicciamente la Fiat per produrre nuove auto nei loro territori. I sindacati tedeschi sono presenti nei consigli di sorveglianza delle fabbriche d’auto. I sindacati americani posseggono il 63% delle azioni Chrysler. E nel Bel Paese che succede? Il ciarliero ministro Sacconi è lieto che abbia vinto il Sì, e lì si ferma. Il governo nel suo insieme ha fatto esclusivamente da grancassa alle posizioni di Marchionne senza pretendere da questi alcun piano industriale strategico che assicuri un futuro alla presenza della Fiat in Italia. Pensare di risolvere i problemi con i SUV progettati e prodotti in Usa e assemblati a Mirafiori sembrerebbe poca cosa. Ma il governo di Berlusconi-Bossi è certo che il Marchionne sia sulla strada giusta. L’inconsistenza del governo è stata tale che ancora non è dato sapere se nei piani della Fiat ricerca, progettazione e centri direzionali rimarranno in Italia o se ai diversi siti italiani sarà  affidato esclusivamente il compito di produrre veicoli pensati e progettati in altri Paesi. Si rimane stupefatti dall’inconsistenza della classe dirigente che ha gestito tutta la vicenda Fiat. Una tragedia per migliaia di lavoratori costretti a scelte dolorose non solo perchè le loro condizioni di lavoro peggioreranno, ma perchè nessuno è stato in grado di assicurare che i sacrifici richiesti serviranno davvero a salvare il loro lavoro. L’incidenza del costo del lavoro sulla produzione è del 7%, sette per cento. Il problema è comprimere questo costo o il problema è quello di un management Fiat che non è stato in grado di realizzare auto competitive con quelle tedesche, francesi o giapponesi? Quanto ha investito in innovazione di prodotto la Fiat del geniale canadese? Paradossale è poi presentare il tutto come frutto della modernità  e etichettare chi si oppone come arcaica persona che rimane ancorata al novecento. Che l’accusa la faccia il Sultano di Arcore è scontato. Lui è uomo di mondo che la modernità  la mastica da mattina a notte inoltrata. Lascia di stucco quando lo stesso argomento proviene dagli americani del centrosinistra. Loro dovrebbero sapere i vincoli che Obama ha posto al dottor Marchionne. Eppure il PD ha rischiato nuovamente la rottura perchè Bersani, sommessamente, aveva dichiarato qualche leggera affinità  con la posizione della Camusso della CGIL. Veltroni è gli altri volevano un partito bocconi sulle posizioni di Marchionne. Il rampante Renzi dichiara che Lui sta con Marchionne senza se e senza ma. Ottimo e innovatore come suo solito. Il sindaco uscente di Torino, Chiamparino, e quello che si candida a diventarlo, Fassino, da buoni torinesi non possono dire cose diverse dalla Fiat. Ma il referendum ha dimostrato che ancora oggi la classe operaia della loro città  non ha alcuna intenzione di rinunciare a diritti e condizioni di lavoro conquistate con durissime lotte. Una rilettura della storia del movimento operaio torinese avrebbe aiutato in questa occasione i due dirigenti del PD. Al momento, non scommetterei un Euro sul voto operaio a favore del candidato sindaco Fassino. Si porranno Fassino e Chiamparino qualche domanda sul grado di conoscenza di quello che pensano i loro amministrati? Dopo che la FIOM è stata per mesi e mesi malmenata da televisioni, giornali, intellettuali, sindacalisti e governanti di ogni colore, il referendum ha detto che il 46% dei lavoratori di Mirafiori ha apprezzato la posizione della CGIL. Il Sì ha vinto grazie al voto degli impiegati: su 441 voti soltanto 20 hanno detto di No. Il diritto al voto dei camici bianchi è ovviamente inalienabile, ma un problema c’è: le auto vengono costruite principalmente grazie al lavoro operaio. Gestire una fabbrica spaccata in due non sarà  facile. Doverosa una riflessione della dirigenza aziendale e dei sindacati del Sì e del No. Si potrà  escludere dalla rappresentanza il 46% dei lavoratori come prevede l’accordo? Qualche riflessione sembra d’obbligo anche nella FIOM. E anche il PD dovrà  pur riflettere sullo stato dei suoi gruppi dirigenti. Per quanto potrà  andare avanti una situazione in cui la minaccia di scissione è adombrata in ogni circostanza di rilievo? Che l’amalgama avesse problemi era noto da tempo. Il problema è che ormai vi sono linee sempre più inconciliabili anche perchè riverberano ambizioni non sopite di riconquista di posizioni negli organigrammi di partito. Si sceglie di fare le primarie per la scelta del segretario, passano poche settimane e il segretario eletto deve barcamenarsi tra mille spinte contrapposte. Non si chiamano correnti, non è elegante, si fanno fondazioni o convention di area che come effetto producono nel popolo soltanto l’impressione di un partito democratico affannato alla riconquista “dello spirito originario” che notoriamente è come l’araba fenice. Tutti ne parlano, nessuno lo spiega. Bersani dice giustamente che il PD ha un senso se serve a impedire la disgregazione del Paese. Siamo all’ultima chiamata. E’ meglio non mancare l’occasione.

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