Cento conigli non fanno un cavallo. Chi lo ha conosciuto sa bene che, Ilvano Rasimelli, usava intercalare i suoi interventi politici con detti popolari per sottolineare come alla saggezza del popolo fosse utile riferirsi anche per giudicare se le scelte del partito fossero giuste. La popolarità di Rasimelli nasceva dal suo legame, mai interrotto, con coloro che dal lavoro traevano sostentamento e speranza. Con uguale rispetto e attenzione discuteva con il coltivatore diretto dell’Alta Valle del Tevere, con l’artigiano dei borghi di Perugia, con il piccolo o grande imprenditore o con l’intellettuale famoso. Il filo rosso nella vita di Ilvano è stato sempre l’interesse pubblico. Riteneva che amministrare la cosa pubblica significasse non la gestione dell’esistente, ma il cambiamento dello stato delle cose, riformare ciò che era vecchio e inutilmente costoso sempre tenendo presenti i vincoli di bilancio. Pensare come viene utilizzato adesso il termine riformismo vengono i brividi. Così infatti viene chiamato dagli opinion maker quel coacervo di provvedimenti di restaurazione neoliberista della stagione del renzismo e incentivata dal “monarca” oggi non ancora in pensione, il presidente emerito Napolitano. Lunga sarebbe la lista degli incarichi pubblici svolti da Rasimelli. Ciò che è certo è che in ogni lavoro è rimasto il segno innovativo di Ilvano. Si pensi alle condizioni dell’ospedale psichiatrico di Perugia. Rasimelli così lo descrive nel 1970: “Dal fondo ospedale segregazionista nasceva un urlo di rivolta contro i mali di questa società. Ritrovammo un filo rosso che univa e accumunava agli sfruttati, agli umiliati, agli oppressi di tutto il mondo i segregati dell’ospedale psichiatrico.” E’ storicamente accertato che la rivoluzione dell’antipsichiatria ha avuto nell’esperienza perugina guidata da Rasimelli uno dei momenti di maggior importanza. Rimango convinto che gli anni ’60 hanno avuto il grande significato di un’innovazione profonda nel senso comune del popolo anche grazie alla lotta contro la segregazione manicomiale. Le lotte giovanili e operaie di quegli anni sono state possibili perché la “rivolta” trovava, in parte delle istituzioni, delle risposte adeguate alla domanda di liberazione dei movimenti. Rasimelli è stato uno spirito libero. Figlio della cultura dell’illuminismo ignorava ogni forma di settarismo ma il suo essere comunista lo stimolava all’esercizio del dubbio e del gesto autonomo anche dagli organi di partito. Era un dirigente che riconosceva il primato della politica non quello del partito. Alle 7 del mattino del 21 agosto del 1968, Ilvano mi chiamò al telefono per chiedermi di andare in federazione. Alla richiesta del perché Rasimelli mi comunicò di aver inviato, come presidente della Provincia, un telegramma di protesta all’ambasciata sovietica contro l’invasione di Praga. Comitato federale convocato d’urgenza! Svanì per me il programmato viaggio a Londra. Il comitato federale si svolse con una grande tensione. I filosovietici (inutile fare nomi) tentarono un processo contro il trasgressore dei vincoli del centralismo democratico. Dalla loro avevano il comunicato non esattamente coraggioso della direzione del partito che pur dissociandosi dall’invasione non faceva passi in avanti nel giudizio sul socialismo reale dell’Urss. Gran parte dei dirigenti del Pci umbro erano figli delle scelte fatte dall’VIII congresso che aveva approvato la linea della via italiana al socialismo e segnato la sconfitta dei “fedeli” al leninismo nell’interpretazione di Mosca. La componente più giovane del comitato federale sostenne la legittimità del telegramma di protesta e anche ciò fu determinante: Ilvano non fu in alcun modo “punito”. Il percorso politico di Rasimelli è sempre intrecciato con la sua passione professionale e da questa ha tratto arricchimento nelle sue scelte politiche. Iscritto al partito in clandestinità, partigiano nella formazione “Francesco Innamorati” fu arrestato dall’OVRA nella primavera del ’43 durante il primo anno di università. Liberato, parte con l’Esercito di Liberazione con il Gruppo di Combattimento Cremona partecipando alle battaglie nel nord d’Italia. Tornato a Perugia diviene segretario del movimento giovanile comunista e direttore del giornale “La nostra lotta”. Un rivoluzionario di professione! Più volte mi ha raccontato che deve la sua laurea in ingegneria ad Armando Fedeli. Fedeli era una leggenda per i democratici perugini. Più volte condannato dai tribunali fascisti, in esilio a Mosca, in Francia e poi organizzatore delle brigate internazionali nella guerra di Spagna, divenne senatore di diritto nel 1948 e più volte rieletto al parlamento. Nel 1949 Fedeli chiamò in federazione Ilvano per comunicazioni urgenti. Sei un bravo dirigente politico gli disse, apprezziamo il tuo lavoro ma il movimento operaio ha bisogno anche di intellettuali. Ti devi laureare. Ilvano andò all’università di Pisa e nel 1952 si laureò con una tesi sul bacino imbrifero del Lago Trasimeno. La professione di ingegnere è stata svolta avendo come obbiettivo la modernizzazione e dell’Umbria. Quando nel 1969 fondò la RPA assieme a diversi professionisti organizzò quello che chiamava una intelligenza collettiva al servizio dell’innovazione nella progettazione urbanistica e ambientale. Intellettuali di grande rilevanza nazionale e internazionale furono protagonisti nella cultura e nelle scelte progettuali sia che si trattasse di piani regolatori dei comuni o di scelte di utilizzo delle risorse naturali dell’Umbria. Una struttura, la RPA, dove la politica si trasformava in concreti progetti che garantivano alle istituzioni pubbliche qualità e trasparenza. Rasimelli era uomo del fare e la politica non sempre riusciva a realizzare ciò che era giusto fare. Lontano da ogni formalismo quando divenne senatore della Repubblica visse con disagio quell’esperienza. Il lavoro parlamentare non gli consentiva di incidere nella realtà. Amava operare concretamente e non fregiarsi di titoli prestigiosi. Quando Firenze fu sommersa dalla piena dell’Arno, Rasimelli come presidente della provincia organizzò in una notte un convoglio di mezzi attrezzati di ruspe e di quanto si riteneva necessario per intervenire . Alla guida della sua Citroen si mise alla testa del convoglio arrivando al quartiere Santa Croce di Firenze organizzando le forze per il risanamento di quella parte della città martoriata. Con Ilvano Rasimelli è scomparso un comunista appartenente, come il nostro Maurizio Mori, a una generazione che ha vissuto la politica come la forma più liberatoria per l’umanità e l’esercitava a partire dal proprio impegno professionale. Un comunista deve essere apprezzato a partire dal suo lavoro mi dicevano quando ero un giovane militante. Quella generazione lo ha fatto con competenza, creatività e rigore. Dicono che la nostalgia non è una categoria della politica e forse è vero. Mi sia consentito esprimere però una profonda umana nostalgia e dolore per la scomparsa di uno dei miei maestri di vita e di politica.
Francesco Mandarini

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