Qualche pregiudizio, non lo nego, lo ho avuto sin dalla sua fondazione. Mettere assieme storie così diverse mi risultava problematico. La generica piattaforma blairiana me lo rendeva non attraente. Generico nei programmi come la fantasmagorica terza via Di Tony Blair e Bill Clinton.  Mai però avrei immaginato un percorso travagliato come quello del Partito Democratico. Forse è un’esagerazione ma vedo un filo rosso tra la Bolognina di occhettiana memoria e la certificazione della fine della sinistra italiana che il “renzismo” trionfante sembra garantire. Ci sono voluti oltre venti anni ma alla fine ci sono riusciti: la sinistra organizzata in un partito si dissolve. Achille Occhetto, giustamente, voleva riformare la sinistra. Lo fece male con il suo “nuovo che avanza” e con personale politico scadente, ma l’ultimo segretario del PCI immaginava e voleva un partito di sinistra e non un generico partito esangue perché senza radici. Occhetto sbagliò alla grande il modo e il metodo non nell’obbiettivo di innovare. Il risultato non fu certo brillante. Scissioni e “il tutti a casa” per chi non voleva più i vincoli di una militanza comunista dura se esercitata con onesta e rigore. L’invenzione del PD si trascina da anni senza trovare un punto di consolidamento. Eppure agli ex comunisti era piaciuta l’idea di andare a sperimentare un’altro modo di essere di sinistra e gli ex democristiani apprezzavano l’idea di sfuggire alla fascinazione berlusconiana senza diventare socialdemocratici. Perché non ha funzionato il PD? Difficile individuare un solo motivo. Certo la scelta di teorizzare un partito “leggero” che funziona essenzialmente come un comitato elettorale permanente a tutti i livelli non è stata una grande scelta. Il New Labour è un partito di centrosinistra che contiene al suo interno sensibilità molto diverse tra loro ma il leader viene scelto in un congresso di partito sulla base di un programma dettagliato e non con le primarie. Le primarie. Le più famose sono quelle americane. Vengono utilizzate da repubblicani e democratici per scegliere i candidati per ogni carica pubblica. Chi partecipa al voto? Per votare bisogna essere iscritti alle liste dei repubblicani o dei democratici. I democratici scelgono il loro, i repubblicani l’antagonista. Ovvio e scontato. Da noi invece il segretario del PD sarà scelto attraverso il voto di chi vuol votare. Anche l’elettore leghista è legittimato a votare per Renzi o per Civati. Insomma è come se l’allenatore dell’Internazionale fosse scelto anche dagli Juventini. Sembrerebbe paradossale ma non sembra esserlo. Quelle del PD non sono primarie all’americana, ma alla amatriciana. Persone, le più diverse, si sentono protagoniste perché un giorno, in questo caso l’8 dicembre, andranno in un gazebo a votare per scegliere il segretario di un partito che non c’è. Senza astio e con molta preoccupazione, si può affermare che un partito che funziona soltanto in occasione di tenzoni da primarie, non è un partito ma l’agglomerato di comitati elettorali. Di questo ha bisogno un Paese allo stremo? Svecchiare certezze e comportamenti ormai inammissibili, darsi un programma d governo adeguato alla catastrofe provocata dalle scelte liberiste e dalla pochezza delle classi dirigenti italiane questo servirebbe al Paese. Invece abbiamo a che fare con un’altra ondata di personalizzazione della politica. Senza un’idea, senza un progetto che travalichi l’ambizione personale. Non è certo un bel vedere.

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