Orologeria renziana

L’imprevisto si è mate­ria­liz­zato nella casa­matta del cre­scente potere ren­ziano, inve­stendo gli «uomini nuovi» che già si pre­pa­ra­vano a gui­dare l’amministrazione di un ter­ri­to­rio sim­bolo della sapienza ammi­ni­stra­tiva che fu. Un brutto colpo all’immagine di una squa­dra costruita per mostrare i cava­lieri e le dame della tavola rotonda votati al ser­vi­zio del Paese.
Governo, par­tito e lea­der­ship nazio­nale sono stati col­piti dall’effetto domino dell’inchiesta sulle «spese pazze» degli ammi­ni­stra­tori dell’Emilia Roma­gna. Si vedrà se le accuse dei giu­dici (che riguar­dano tutti i gruppi emi­liani, gene­rosi in pro­fumi, gio­ielli, cene e forni a micronde), tro­ve­ranno riscon­tri pro­ces­suali. Intanto però l’evidenza di un malaf­fare, o quan­to­meno di un mal­co­stume, che ha già tra­volto il ven­tre molle della mag­gior parte dei con­si­gli regio­nali, non ha alcun biso­gno di conferme.
E a pro­po­sito di con­ferme, ancora una volta (e nono­stante il tanto sven­to­lato rin­no­va­mento del par­tito, frutto di una costante e col­pe­vole costru­zione media­tica), quelli saliti sul carro del vin­ci­tore rea­gi­scono alla bufera giu­di­zia­ria che li riguarda nel modo peg­giore. Stril­lando con­tro «la giu­sti­zia a oro­lo­ge­ria». Rin­no­vando ai poli­tici inda­gati la fidu­cia del Pd. Tutto secondo il col­lau­dato stile del «com­plotto delle toghe» con­tro i «rap­pre­sen­tanti del popolo». È penoso assi­stere a que­sto spet­ta­colo che ormai va in scena da oltre vent’anni, secondo le solite moda­lità. Ed è penoso vedere che il ren­zi­smo, osan­nato da quasi tutti i media, sof­fre della stessa fobia anti-giudici.
Eppure lo scon­tro tra magi­strati e poli­tici, che in que­sto momento tor­nano a incro­ciare le spade anche sulla riforma della giu­sti­zia, non è certo l’unico ter­reno comune tra il pre­si­dente del con­si­glio e il suo più forte soste­ni­tore — il pre­giu­di­cato — prov­vi­so­ria­mente ai domi­ci­liari e poli­ti­ca­mente col­lo­cato tra i ban­chi dell’opposizione.
Sulle riforme isti­tu­zio­nali, come su quelle del mer­cato del lavoro, la scin­tilla della pro­fonda sin­to­nia ha avuto modo di accen­dersi ema­nando tutta la sua forza incen­dia­ria, durante que­sti primi sei mesi di ren­zi­smo onni­voro. Però molto fumo e poco arro­sto. I can­tori del nuovo corso plau­dono alla ripresa di ruolo della poli­tica con­tro le odiate buro­cra­zie che «gufano e rosi­cano», men­tre sen­tiamo dire che non rin­no­vare i con­tratti e iniet­tare mas­sicce dosi di pre­ca­rietà nelle deboli vene del mer­cato del lavoro sarebbe la rivo­lu­zione di sini­stra e non, pur­troppo, la replica (in peg­gio) dell’agenda Monti. E poi tagli di 20 miliardi alla spesa pub­blica e appli­ca­zione for­zata dei Trat­tati euro­pei (da ieri sor­ve­gliati dal fin­lan­dese Katai­nen, quello che voleva scam­biare i pre­stiti alla Gre­cia avendo in pegno il Partenone).
Per farsi un’idea della scena — tri­ste — bastava osser­vare il tea­trino tele­vi­sivo di Vespa che, insieme a miss Ita­lia, inau­gura da vent’anni il rito del rien­tro dalle vacanze. Non si era mai visto Sal­lu­sti, il diret­tore del gior­nale di Arcore, alter­nare sor­risi a sguardi ammi­rati verso il gio­vane pre­mier, che ritor­nava sui soliti refrain («ma se uno si mette a leg­gere i gior­nali che dicono che tutto va male…»), che si gon­go­lava («l’altra sera al ver­tice euro­peo è venuto fuori il Renzi che è in me…»).
Baste­rebbe que­sta bat­tuta per far capire, soprat­tutto agli elet­tori del Pd, che sta avve­nendo qual­cosa di pro­fon­da­mente distorto nella poli­tica e nella cul­tura del Paese. Ma il primo a capirlo dovrebbe essere lo stesso pre­mier: cam­biare a sini­stra si può e si deve. Cam­biare invece rin­no­vando il ber­lu­sco­ni­smo che ha amma­lato l’Italia, non si può e non si deve.

Norma Rangeri
Il Manifesto dell’11 Settembre2014

Chi è Renzi

Si dice che continui la luna di miele tra il governo e il paese. Renzi se ne vanta, con quella vanità gonfia di vuoto che Musil definiva biblica. Fosse vero, si riproporrebbe un classico problema. Sa questo popolo giudicare? O forse ama essere irriso, deriso, abbindolato? Era meglio persino Monti (ci si passi l’iperbole), il nostro cancellier Morte (parola del Financial Times, che ebbe modo di assimilarlo al rigorista che spianò la strada a Hitler). In pochi mesi Monti rase al suolo la parte più indifesa del paese, ma almeno non vestiva panni altrui. Renzi non fa praticamente altro che infinocchiare il prossimo, con quella sua faccia di bronzo da bambino viziato e prepotente.
Le balle più odiose riguardano ovviamente la riduzione delle tasse (gli 80 euro per i quali si ribloccano i salari del pubblico impiego). Nonché la difesa di ceti medi e lavoro dipendente. In realtà il governo colpisce duro entrambi.
Nei diritti (è vero, l’art. 18 è un simbolo: poi c’è la sostanza, come dimostra questa novità del manager scolastico che arbitrerà le carriere dei colleghi a propria discrezione). Nelle tutele (persino l’Ocse segnala che la «riforma» Poletti esagera con la precarietà). Nei già esangui redditi. Tornano i tagli lineari, vergognosi in sé, e tanto più perché valgono a sostenere l’indifferenza tra bisogni essenziali (la salute, la formazione, la vita stessa) e sprechi veri, a cominciare dalla scandalosa spesa militare. E torna – per la quinta volta – il blocco degli scatti nelle retribuzioni dei dipendenti pubblici. Non una porcheria: un vero e proprio furto.
Hanno lor signori idea di che significhi di questi tempi in Italia per milioni di famiglie, specie al Sud, perdere mille euro l’anno? Certo, per chi ne guadagna quindici¬mila al mese o più, è una bazzecola. Per molti invece è un dramma, come dimostra quel 5% di famiglie (l’anno scorso era appena l’1%) costrette a indebitarsi con banche e finanziarie per comprare libri e corredo scolastico. Anche di quella che continua a chiamarsi scuola dell’obbligo.
Il peggio è la motivazione fornita cinicamente dalla ministra Madia. «Non ci sono risorse». Il che può tradursi in un solo modo: «Per questo governo sono intangibili rendite e patrimoni, pur in larga misura accumulati con l’illegalità» (leggi: elusione ed evasione fiscale).
Ora finalmente chiediamoci: che razza di governo è mai questo? Chiediamocelo senza guardare alle etichette, badando alle cose che fa e progetta, dalla politica economica alle scelte internazionali, dalla controriforma del lavoro a quella della Costituzione.
Chiediamocelo noi. Ma se lo chiedano prima di tutti seriamente sindacati e politici. La Cgil minaccia mobilitazioni in difesa del pubblico impiego. Vedremo. Parte del Pd mugugna e medita di dar battaglia sull’art. 81 della Costituzione. Vedremo. Ma all’una e all’altra suggeriamo di guardarsi finalmente dall’errore che ci ha portati a questo stato.
Non c’è più tempo per traccheggiare. Ne va della loro residua credibilità, ma soprattutto della vita di milioni di persone.
Antonio Burgio
Il Manifesto del 5 settembre 2014