Il caso Perugia

La sconfitta di una politica senza idee
Il presidente Matteo Renzi ha perfettamente ragione: per il centrosinistra non ci sono più rendite di posizione. Anche considerando lo stato comatoso del centrodestra, perdere Perugia e Livorno non è cosa da poco. Sarebbe comunque utile al nuovo PD una ricerca su come si siano formate le rendite che hanno potuto gestire gli eredi dei vecchi partiti della sinistra e dell’area democristiana non berlusconizzata. Una rendita in politica si può costruire in modi diversi. Attraverso il clientelismo e di esempi ne abbiamo a iosa o cercando di far svolgere alla politica il ruolo per cui ha un senso, l’agire politico: lavorare per cambiare lo stato di cose esistente nell’interesse delle collettività che si governano. L’Umbria uscita dalla guerra nazi-fascista era una regione meridionale con tassi di emigrazione altissimi, con povertà diffuse, città svuotate dalle sue forze migliori. Per capirci, soltanto nel 1972 l’Umbria tornò ad avere la stessa popolazione del 1953. Nel disinteresse dei governi centristi di quegli anni soltanto le forze della sinistra, comunisti e socialisti, riuscirono a costruire lotte di massa e progetti di sviluppo in un percorso di emancipazione che riguardò l’intero territorio regionale. E non è stata soltanto emancipazione economica. I grandi eventi culturali nascono negli anni cinquanta, sessanta e settanta. Le città iniziano a rinascere anche attraverso la cultura. Un esempio? Spoleto che ospita da decenni uno dei festival più importanti al mondo. Certo, genialità di Giancarlo Menotti ma merito anche degli amministratori della città e dei politici di quel tempo che lo sostennero in un’impresa difficilissima. Con il Jazz c’entravamo poco ma ciò non impedì alla Regione di partecipare all’invenzione di Umbria Jazz nelle piazze dei nostri borghi gremite di giovani di tutto il Paese. In quegli anni, l’Umbria è al centro del dibattito nazionale sulla nuova psichiatria. Merito dei medici dell’ospedale psichiatrico, ma è anche grazie al coraggio dell’amministrazione provinciale diretta da comunisti e socialisti che assieme ai colleghi di Trieste ebbero la forza di chiudere il manicomio senza la copertura di una legge. Il primo piano di sviluppo d’Italia è stato quello elaborato in Umbria. Lo venne a presentare Ugo La Malfa usando espressioni di grande apprezzamento per la capacità delle classi dirigenti politiche di prefigurare, con il Piano, la crescita di una comunità. Il punto è questo: si possono avere anche idee sbagliate nell’amministrare un comune o una regione. Ma idee bisogna averne. Senza si può galleggiare nell’esistente, salvare il proprio incarico e null’altro. Questo è successo negli ultimi decenni. Quando il mare diventa mosso anche il galleggiare diviene complicato. La scomparsa dei partiti di massa ha ragioni molto profonde e sciocco sarebbe proporre la formazione dell’intellettuale collettivo se non in modo radicalmente diverso dal passato. Il problema è che i partiti personali o i partiti “seggio elettorale” d’idee ne propongono poche e scarsamente partecipate. Perché si è perso a Perugia? L’ultimo intervento di qualche significato positivo nella mia città sono state le scale mobili della Rocca Paolina. Era il 1984. Interventi ve ne sono stati moltissimi. Anche troppi ma spesso sbagliati. Il Piano regolatore ha consentito la cementificazione di vaste aree e……lo svuotamento del centro storico di abitanti e funzioni. L’autoreferenzialità del ceto politico e amministrativo hanno impedito la messa a leva delle energie migliori della società civile e dell’intellettualità perugina. Da città dei convegni Perugia si va trasformando in una piccola Rimini senza il mare. Perugia non è la capitale della droga come la descrivono autorevoli e spesso cialtroneschi giornalisti. Sciocchezze. Perugia è una città colpita da una crisi economica durissima e da una crisi d’identità dovuta a classi dirigenti innamorate del proprio ombelico.
Francesco Mandarini
dal Manifesto del 14 giugno 2014