Il laissez faire di Monti

Rigore, equità , crescita. E’ questo il motto dei nostri governanti. Si spezzano ma non si piegano, forti dei dogmi liberisti, come novelli crociati, essi hanno nel programma chiamato “austerità “ la loro bibbia. Sordi ai richiami che giornalmente sono loro rivolti da economisti di chiara fama, indifferenti ai tragici risultati dell’applicazione delle loro tesi in Paesi come l’Irlanda, la Spagna, la Grecia, promettono la crescita spostando nel tempo l’inizio della ripresa economica, continuando a definire equi provvedimenti che incidono profondamente principalmente su chi paga le tasse. E’ vero e va apprezzato che la lotta all’evasione fiscale sembra essere una delle priorità  del governo. Questo potrà  aiutare l’Italia a mettere i conti pubblici in ordine, ma senza investimenti capaci di creare lavoro, i sacrifici richiesti non serviranno a nulla. Lo dicono in molti. Da ultimo Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea. Proprio analizzando i risultati delle politiche di tagli alla spesa pubblica di questi anni, è evidente che l’Europa si potrà  salvare soltanto se riuscirà  a trovare la strada di un nuovo modello di sviluppo economico, politico e istituzionale. E se la politica di rigore è attenuata da investimenti volti alla crescita. Altrimenti si rischia il rigor mortis. Una Comunità  Europea nelle mani di un solo Paese, la Germania, non ha prospettive e le spinte populiste antieuropee non potranno che crescere. Le elezioni francesi sono state esemplari anche da questo punto di vista. Sarkozy incassa il risultato di anni di subalternità  alle scelte della Cancelliera di ferro, l’estrema destra arriva al diciotto per cento, Hollande potrà  diventare presidente anche grazie al suo smarcarsi dalle rigidità  tedesche. Dove trovare le risorse da investire? E’ indubbio che l’opera di risanamento della struttura pubblica e la sua riconversione sia una priorità . La sburocratizzazione non serve soltanto per rendere più semplice la vita delle imprese e dei cittadini, può essere anche una risorsa economica. Le amministrazioni locali sono tutte in apnea. Strozzate dai tagli del governo centrale, impossibilitate dal Patto di stabilità  a investire, che faranno? Il rischio è di un’ondata di tasse locali con buona pace di chi è già  tartassato dalla tassazione centrale. Il Ministro Passera si è impegnato a risolvere in tempi rapidi (?) la questione del debito della struttura pubblica nei confronti delle imprese. Si tratta di qualcosa che ruota attorno ai cento miliardi di Euro. Un’enormità . Migliaia di piccole imprese devono aspettare fino a centottanta giorni per vedersi pagare un lavoro costringendole a chiedere mutui per andare avanti. La normativa europea pone il vincolo dei trenta – sessanta giorni. Ministro si potrebbe accelerare l’adeguamento alle norme comunitarie? Rimane in sostanza intonsa la ricchezza prodotta dal gioco della finanza e dall’accumulo di grandi patrimoni.Ogni tanto, quasi come una boutade, si torna a parlare della Tobin tax come strumento atto a trovare risorse per gli investimenti necessari a innovare. Si potrebbe cercare di convincere la signora Merkel e gli altri paesi comunitari a tassare leggermente i giocatori della finanza? Hollande richiederà , se eletto presidente, gli euro bond per affrontare le difficoltà  dell’economia europea. Considerando i buoni rapporti con la Cancelliera, potrebbe il nostro Monti sollecitare Berlino ad appoggiare la scelta consigliata anche da Washington? Capisco che per chi ha passato tutta una vita predicando il monetarismo come ideologia salvifica è difficile prendere atto del suo fallimento. L’economia non è una scienza esatta per questo è saggio tener conto delle lezioni della storia. Trovo bizzarro che il professor Monti definisca come vecchie ricette quelle keynesiane cioè la spesa pubblica come volano dello sviluppo in tempi di crisi. Essendo il capo del governo un convinto assertore di scelte economiche riconducibili al liberismo in voga sin dall’ottocento, definire vecchie idee elaborate nel secolo scorso, sembrerebbe appunto una bizzarria. Professore è proprio convinto che il “laissez faire” sia di maggior attualità  delle teorie di J.M.Keynes?
Corriere dell’Umbria 29 aprile 2012

Una politica utile

Sommersi dalle pessime notizie che quotidianamente ci sono somministrate (con una sorta di sadismo) da organismi di ricerca nazionali e internazionali, tutti temiamo il default della nostra economia. E d’altra parte basta osservare le nostre città  per capire che siamo in recessione. Negozi che chiudono e cartelli di “Affittasi” tanto numerosi da segnalare la crisi delle economie cittadine. Il disagio economico si aggrava anche perchè è palpabile l’incapacità  delle classi dirigenti di offrire una prospettiva diversa da quella dell’austerità  costi quel che costi. Senza speranze. Che l’eredità  lasciata dal governo dei berluscones era da far tremare i polsi era noto. Ma è evidente ormai che la tecnicità  dei nuovi governanti non ha qualità  tali da invertire la tendenza al degrado. Perchè? Paul Krugman è stato premio Nobel per l’economia nel 2008. Scrive editoriali sul New York Time. Nel suo ultimo scritto sostiene che la politica economica voluta dalla Germania e accettata da tutti i governi, compreso quello italiano, è da considerare una follia che porterà  al disastro dell’Europa. Lo scienziato argomenta la sua tesi ricordando come la stessa politica fu applicata per contrastare la crisi del millenovecentoventinove con risultati catastrofici. La storia non è maestra di vita se di fronte alla crisi provocata dal liberismo, le classi dirigenti propongono gli stessi dogmi monetaristi considerati causa prima della recessione che stiamo vivendo. Difficile immaginare come si potrà  raggiungere il pareggio di bilancio se l’economia reale non cresce. Disagio sociale a parte, i milioni di disoccupati aggiunti a lavoratori precari e a pensionati impoveriti dall’inflazione, difficilmente potranno contribuire alle entrate dello Stato. Il crollo dei consumi del mercato interno difficilmente sarà  compensato dalle esportazioni. Siamo al punto che anche Monti sta contabilizzando i suicidi causati dai fallimenti di aziende o dalla disoccupazione. Stiamo meglio della Grecia, ci rassicura il bocconiano al governo. Meno male. Dal governo ci viene comunicato che di crescita si potrà  cominciare a parlare, se va bene, tra un anno. E la politica che ci dice al riguardo? Nulla. I cosi detti moderati si apprestano a formare due nuovi partiti. Uno a marchio Casini, Fini, Rutelli. L’altro sarà  un’altra meravigliosa creatura figlia del “nostro”. Sì, tranquilli. Berlusconi non ci abbandona ai “comunisti”. Subito dopo le elezioni amministrative di maggio, al posto del PDL avremo qualcosa d’altro con a capo l’impresario degli spettacoli di burlesque di Arcore. All’ottimo Alfano, sarà  assicurato un ruolo importante. I moderati si rifondano e il centrosinistra che farà ? Il Partito democratico ha molti difetti, ma ha il pregio non da poco di non essere un “partito personale”. Potrebbe svolgere un ruolo decisivo se riuscisse a lottare contro il qualunquismo montante facendo scelte radicali per tutto ciò che riguarda il rapporto tra finanziamenti pubblici e la politica. Non basta sostenere che la democrazia ha un costo o che senza soldi pubblici soltanto i ricchi possono svolgere una funzione pubblica. Il finanziamento ai partiti non ha certo impedito che il miliardario padrone di Mediaset, sgovernasse l’Italia per quasi un ventennio. Tagliare significativamente i rimborsi pubblici è obbligatorio per recuperare una qualche credibilità  all’agire politico. I primi a dover sostenere economicamente un partito devono essere i suoi dirigenti, i militanti, i simpatizzanti e gli elettori: questo deve essere il patrimonio essenziale. Il pubblico può intervenire anche fornendo strutture e servizi diversi dai soldi per facilitare l’attività  politica. Il nodo però è come rendere la politica utile ai cittadini. A oggi prevale una politica che al massimo sembra una tecnica utile (quando lo è) per amministrare l’esistente. Misteriosi rimangono i meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti e la passione sembra esplodere soltanto nella competizione elettorale. La politica non è solo questo e un partito ha il diritto dovere di educare alla democrazia e a progettare un futuro secondo ideali e valori condivisi. I partiti del centrosinistra hanno l’obbligo di rappresentare coloro che dalla crisi sono ricacciati a condizioni di vita inaccettabili perchè ingiuste. Galleggiare sull’esistente senza combattere esplicitamente i dogmi del liberismo e i privilegi del ceto politico allontanerà  dalla politica sempre più gente. E al default dell’economia si aggiungerà  quello della democrazia repubblicana.
Corriere dell’Umbria 22 aprile 2012

Quei feudi da scardinare

In tutti i Paesi democratici, l’attività  politica è sostenuta dall’intervento pubblico. Anche negli Stati Uniti vige il finanziamento federale. I candidati americani a cariche pubbliche devono scegliere o soldi pubblici o risorse private. Quasi tutti i candidati preferiscono le donazioni dei privati in ragione della quantità  di dollari che i grandi interessi economici riescono a garantire a chi corre per la Casa Bianca o per un seggio alla Camera dei rappresentanti. La conseguenza è nota: a Washington le leggi sono condizionate dai desiderata dei donatori. Il lobbismo è previsto da leggi con norme rigorose che se disattese possono comportare pene severe. E’ un modo di finanziare la politica che personalmente detesto, ma almeno ha vincoli trasparenti. Il finanziamento della politica è stato storicamente una richiesta delle classi subalterne e dei partiti che le rappresentano. Ma anche la cultura liberale prevede che la democrazia per funzionare ha bisogno dell’intervento pubblico per garantire a tutti la possibilità  di avere un ruolo politico. Coloro che in Italia sostengono il contrario hanno dalla loro il risultato del referendum per l’abolizione della legge che prevedeva tale finanziamento, ma principalmente hanno buon gioco nella loro denuncia a causa dell’orrenda legge sui rimborsi elettorali che PD, PDl e UDC tentano di cambiare a seguito delle ruberie emerse in queste settimane. Confesso che, nonostante la pratica quotidiana di lettura di diversi quotidiani, ho scoperto soltanto recentemente le disposizioni e l’ammontare delle risorse trasferite ai partiti per i rimborsi elettorali. Con adeguati approfondimenti è stato facile scoprire che, anche in questo, abbiamo un record europeo: i nostri partiti sono quelli che hanno a disposizione più risorse. Nessun serio controllo a differenza di quello che avviene in tutta Europa. E come giudicare la “spiritosa” prassi dei partiti non più in vita da anni che continuano a percepire rimborsi? Non è scandaloso? Sì, ma è un miracolo. Pur certificati morti continuano a spendere soldi pubblici. La proposta dei partiti che sostengono il governo contiene norme che potrebbero soddisfare l’esigenza di trasparenza, ma non risolve la questione quantitativa. Bisogna invece tagliare e legiferare anche in coerenza con l’articolo quarantanove della Costituzione. Se i partiti rimangono delle private associazioni, devono essere innanzitutto gli iscritti e gli elettori dei partiti a finanziarne l’attività . Le risorse pubbliche devono essere sobrie e il loro uso essere certificato da strutture adeguate che non hanno alcun rapporto con il committente. Negli “aborriti” partiti di massa della prima repubblica vigeva la norma che chi svolgeva una funzione pubblica a seguito di un’elezione o d’incarico deciso dal partito, aveva l’obbligo di contribuire in solido alle spese di funzionamento degli apparati e dell’attività  politica. M’informano che questa prassi è molto in disuso. Una delle ragioni addotte è che ormai la politica è divenuta un fatto privato. Ognuno si deve pagare la propria campagna elettorale e la nostra epoca prevede costi crescenti per conquistare un seggio o uno strapuntino. Si torna al problema di questi anni tristi per la politica. Aver personalizzato e permesso la costituzione di feudi territoriali ha annichilito ogni possibilità  di dare all’agire politico un orizzonte che andasse oltre l’interesse del singolo. L’io ha sbaragliato il noi, così i partiti sono diventati agglomerati di comitati elettorali privi di qualsiasi altro compito che non sia la difesa delle singole carriere politiche. Non sarà  questo uno dei motivi fondamentali del distacco del popolo dalla politica e del disprezzo verso coloro che di politica vivono? La china è pericolosa. Non è venuto il tempo che le molte persone che correttamente svolgono un’attività  pubblica facciano sentire la loro voce con proposte che ridiano valore a una politica diversa da quella dell’ultimo ventennio? Il qualunquismo dilagante rischia di essere incrementato anche dal loro silenzio. Il rinnovamento dei partiti se ci sarà , non potrà  essere soltanto generazionale. E’ accertato che senza una modifica strutturale della selezione dei gruppi dirigenti, anche i pochi giovani in campo rischiano di assorbire comportamenti e modi di essere che sono ormai diventati inaccettabili per una parte consistente della gente comune.
Corriere dell’Umbria 15 aprile 2012

L’antipolitica è più forte

Saranno anche chiacchiere da bar dello sport, ma l’impressione è che se la politica non si dà una mossa la catastrofe dei partiti porterà alla crisi irreversibile della democrazia repubblicana. Il “sono tutti uguali” è la frase più gridata. L’indignazione per l’ultimo scandalo sembra servire soltanto a far dimenticare gli scandali precedenti. Ogni giorno è una sorta di bollettino di guerra che descrive imbrogli e ruberie di ogni grado e tutte a danno delle risorse pubbliche. Molti descrivono la crisi dei partiti come senza ritorno. Ma può una democrazia vivere senza partiti? E questi partiti sono in grado di autoriformarsi? Come si spiega che alla cattiva fama della politica corrisponde una vera e propria corsa per occupare cariche politiche quale trampolino di lancio per un posto nella pubblica amministrazione? Ogni scadenza elettorale vede vere e proprie corride per occupare uno spazio in lista, una candidatura. Perché? Sarà la crisi, ma ormai per molti l’impegno politico sembra significare una carriera di lavoro che spesso è anche ben pagato. I tanti amministratori locali che per passione s’impegnano a vantaggio della collettività per qualche centinaio di Euro, non fanno più notizia. Le notizie sono di prebende e benefit fuori misura e finanziamenti pubblici ai partiti che definire scandalosi sembra un complimento. Personalmente sono convinto che la democrazia ha bisogno di risorse pubbliche per funzionare e che l’impegno politico possa essere remunerato. Con misura e a tempo però. Che un’ex presidente della Camera o del Senato possa mantenere privilegi in eterno mi sembra una forzatura non accettabile. E’ scioccante che i due ex presidenti di sinistra, Violante e Bertinotti, non abbiano seguito Casini nella rinuncia. Possibile che i due non capiscano che la scorta e l’auto blu non è più glamour, ma suscita gli sberleffi e la rabbia del popolo? Trovo intollerabile che partiti che non esistono da anni continuino ad avere rimborsi milionari. Intollerabile che le ingenti risorse ottenute con i rimborsi elettorali siano decuplicati negli anni e mai rendicontate a dovere. Chiedano i partiti un provvedimento urgente del governo per sanare una situazione vergognosa che contribuisce al disprezzo della gente per la politica. E’ tempo che i partiti siano disciplinati da una legge che ne preveda le norme essenziali di funzionamento. Credo che soltanto il PD utilizzi una società di certificazione dei bilanci. E’ importante ma non basta. Dovrebbe essere una scelta di tutti i partiti l’impegno a rendere più sobrie le spese e più trasparenti le procedure nella formazione dei gruppi dirigenti. Il problema decisivo per i partiti è la loro incapacità progettuale. Nonostante alcuni timidi passi nella giusta direzione, ancora oggi le formazioni politiche non rappresentano altro che comitati elettorali che vivono prevalentemente nel chiuso di ristretti gruppi di comando. Oligarchia è una brutta immagine che purtroppo descrive con precisione ciò che è il modo di essere di tutto l’universo politico. La grande contraddizione sta nel fatto che, l’esangue democrazia italiana, avrebbe bisogno di formazioni politiche in cui i cittadini possano riconoscersi contribuendo anche a renderle centri di elaborazione e di formazione. Con qualche flebile eccezione le attuali strutture organizzate non sembrano in grado di autoriformarsi. La scommessa però rimane quella di come aiutare questo processo. In ogni partito ci sono persone che vivono l’impegno politico come servizio e non come carriera. Purtroppo non riescono a emergere con l’energia necessaria. E’ tempo che lo facciano. Il disastro della seconda repubblica è di tale entità da rendere precaria la tenuta democratica di un Paese già annichilito dalla crisi economica. Il vuoto politico che si è creato è stato occupato dal così detto governo tecnico. Si può discettare sulla qualità tecnica e sul “Montismo”, ma esso è il risultato del fallimento dei partiti. E’ certo comunque che la fascia di persone che dichiarano la fuga dal prossimo voto politico si va allargando e gli stimoli dell’antipolitica si fanno ogni giorno più forti. Antonio Gramsci argomentò perché è la sinistra e non la destra che ha bisogno della politica per affermare le proprie idee. Naturalmente di una buona politica svolta nell’interesse generale e non per quello delle élite al potere.
Corriere dell’Umbria 9 aprile 2012

L’antipolitica è più forte

Saranno anche chiacchiere da bar dello sport, ma l’impressione è che se la politica non si dà  una mossa la catastrofe dei partiti porterà  alla crisi irreversibile della democrazia repubblicana. Il “sono tutti uguali” è la frase più gridata. L’indignazione per l’ultimo scandalo sembra servire soltanto a far dimenticare gli scandali precedenti. Ogni giorno è una sorta di bollettino di guerra che descrive imbrogli e ruberie di ogni grado e tutte a danno delle risorse pubbliche. Molti descrivono la crisi dei partiti come senza ritorno. Ma può una democrazia vivere senza partiti? E questi partiti sono in grado di autoriformarsi? Come si spiega che alla cattiva fama della politica corrisponde una vera e propria corsa per occupare cariche politiche quale trampolino di lancio per un posto nella pubblica amministrazione? Ogni scadenza elettorale vede vere e proprie corride per occupare uno spazio in lista, una candidatura. Perchè? Sarà  la crisi, ma ormai per molti l’impegno politico sembra significare una carriera di lavoro che spesso è anche ben pagato. I tanti amministratori locali che per passione s’impegnano a vantaggio della collettività  per qualche centinaio di Euro, non fanno più notizia. Le notizie sono di prebende e benefit fuori misura e finanziamenti pubblici ai partiti che definire scandalosi sembra un complimento. Personalmente sono convinto che la democrazia ha bisogno di risorse pubbliche per funzionare e che l’impegno politico possa essere remunerato. Con misura e a tempo però. Che un’ex presidente della Camera o del Senato possa mantenere privilegi in eterno mi sembra una forzatura non accettabile. E’ scioccante che i due ex presidenti di sinistra, Violante e Bertinotti, non abbiano seguito Casini nella rinuncia. Possibile che i due non capiscano che la scorta e l’auto blu non è più glamour, ma suscita gli sberleffi e la rabbia del popolo? Trovo intollerabile che partiti che non esistono da anni continuino ad avere rimborsi milionari. Intollerabile che le ingenti risorse ottenute con i rimborsi elettorali siano decuplicati negli anni e mai rendicontate a dovere. Chiedano i partiti un provvedimento urgente del governo per sanare una situazione vergognosa che contribuisce al disprezzo della gente per la politica. E’ tempo che i partiti siano disciplinati da una legge che ne preveda le norme essenziali di funzionamento. Credo che soltanto il PD utilizzi una società  di certificazione dei bilanci. E’ importante ma non basta. Dovrebbe essere una scelta di tutti i partiti l’impegno a rendere più sobrie le spese e più trasparenti le procedure nella formazione dei gruppi dirigenti. Il problema decisivo per i partiti è la loro incapacità  progettuale. Nonostante alcuni timidi passi nella giusta direzione, ancora oggi le formazioni politiche non rappresentano altro che comitati elettorali che vivono prevalentemente nel chiuso di ristretti gruppi di comando. Oligarchia è una brutta immagine che purtroppo descrive con precisione ciò che è il modo di essere di tutto l’universo politico. La grande contraddizione sta nel fatto che, l’esangue democrazia italiana, avrebbe bisogno di formazioni politiche in cui i cittadini possano riconoscersi contribuendo anche a renderle centri di elaborazione e di formazione. Con qualche flebile eccezione le attuali strutture organizzate non sembrano in grado di autoriformarsi. La scommessa però rimane quella di come aiutare questo processo. In ogni partito ci sono persone che vivono l’impegno politico come servizio e non come carriera. Purtroppo non riescono a emergere con l’energia necessaria. E’ tempo che lo facciano. Il disastro della seconda repubblica è di tale entità  da rendere precaria la tenuta democratica di un Paese già  annichilito dalla crisi economica. Il vuoto politico che si è creato è stato occupato dal così detto governo tecnico. Si può discettare sulla qualità  tecnica e sul “Montismo”, ma esso è il risultato del fallimento dei partiti. E’ certo comunque che la fascia di persone che dichiarano la fuga dal prossimo voto politico si va allargando e gli stimoli dell’antipolitica si fanno ogni giorno più forti. Antonio Gramsci argomentò perchè è la sinistra e non la destra che ha bisogno della politica per affermare le proprie idee. Naturalmente di una buona politica svolta nell’interesse generale e non per quello delle èlite al potere.
Corriere dell’Umbria 9 aprile 2012