Un passo indietro

I palazzi del potere democratico dovrebbero essere i luoghi di rappresentazione delle società  che devono governare. Non sembra proprio che ciò che sta accadendo a Palazzo Cesaroni, sede dell’assemblea regionale, abbia qualcosa a che fare con ciò che angoscia la comunità  umbra. Vicende giudiziarie s’intrecciano con la crisi evidente della maggioranza di centrosinistra e, alle lotte intestine tra e nei partiti di governo, si aggiunge la decisione del centrodestra di far dimettere i propri rappresentanti da tutti gli incarichi istituzionali. La paralisi dell’assemblea è così assicurata. Che la situazione politica regionale sia pessima da anni è sotto gli occhi di tutti. Basta osservare il trend del non voto delle diverse tornate elettorali per capire che il rapporto tra i partiti e la società  è entrato, da molto tempo, in una fase difficilissima. Problema: sono in grado questi partiti di autoriformarsi per recuperare affidabilità ? Il dubbio è legittimo considerando che, la stragrande maggioranza del ceto politico è in campo da decenni, e che i “giovani” dirigenti non sembra che abbiano potuto o saputo introdurre novità  rilevanti nell’agire politico. Ciò che manca è una qualsiasi forma d’intelligenza collettiva. Questa mancanza impedisce ai partiti di far prevalere al loro interno l’interesse collettivo così che tutto è riportato al destino e alla carriera del singolo. L’interesse collettivo è oggi quello di avere un consiglio regionale efficace nel contrastare la crisi della società  umbra. Una crisi che, per non essere generici, significa innanzitutto un’economia che non riesce a dare lavoro nè ai giovani nè alle donne e che produce soltanto cassa integrazione per aziende in crisi. Non solo questo per fortuna. Eccellenze produttive umbre riescono a consolidarsi, a esportare le loro produzioni e a crescere nonostante l’insufficienza del credito e di una struttura pubblica inadeguata, spesso burocratizzata e comunque in ritardo nei processi d’innovazione nelle reti del terziario avanzato. Responsabilità  della giunta e del consiglio regionale è quella di costruire assieme alle forze sociali, un quadro programmatico capace di mettere a leva le intelligenze e le risorse culturali di una terra che, in molte fasi della sua storia, ha saputo trovare la strada per progredire. La buona politica si costruisce anche con atti di generosità  dei singoli. E’ evidente che un consiglio regionale paralizzato determina una situazione d’incertezza che si riflette sul senso comune di tutta l’Umbria. Apprezzabili sarebbero passi indietro. Aiuterebbero i partiti e la politica a recuperare quella stima e quel rispetto che al momento non esistono nemmeno in Umbria. La delegittimazione quando c’è, la si combatte attraverso atti virtuosi.

Disastro annunciato

Anche in Umbria viene a maturazione un processo iniziato all’inizio degli anni novanta con l’agonia dei partiti di massa. Con percorsi diversi, sia nel centrosinistra sia nel centrodestra, in quella stagione si cominciarono a costruire agglomerati politici il cui meccanismo di funzionamento prevalente era quello della conquista del potere amministrativo. Non più luoghi di discussione e di formazione politica, ma una sorta di uffici di collocamento dove il destino dei singoli prevaleva sempre su quello collettivo. Da qui la vita politica come tutela della carriera personale. L’io che prevale sempre sul noi. Lotte intestine senza esclusione di colpi nelle singole formazioni politiche sono state il filo rosso di questi vent’anni. Privo della trasparenza necessaria nella lotta politica, lo scontro tra i diversi protagonisti è rimasto incomprensibile a un’opinione pubblica sempre più frastornata. Soltanto gli addetti ai lavori capiscono perchè Caio detesta Pinco essendo entrambi nello stesso partito. Non è giusto pensare che tutti quelli che sono impegnati in politica siano privi di passione per l’interesse pubblico. Fortunatamente non è così, ma è indubbio che anche i “migliori” non abbiano saputo vedere il disastro che si andava preparando mantenendo e a volte utilizzando, meccanismi di selezione della classe dirigente incentrati sulle carriere personali. Oggi lo scarto tra il mondo della politica e il comune sentire è arrivato ai massimi storici e non sembra esserci partito in grado di invertire la tendenza al degrado della democrazia organizzata. Con formazioni politiche così mal ridotte, inevitabilmente, le istituzioni pubbliche non possono che soffrirne. Pensate all’attuale parlamento. Nominati dalle oligarchie e a loro rispondenti, i parlamentari passano da un voto di fiducia all’altro null’altro producendo. Interessati a salvaguardare gli interessi delle lobby di riferimento rimangono proni ai voleri del capo bastone. Spesso indifferenti al biasimo dell’opinione pubblica non riescono a rinunciare ai loro privilegi. Non è questione di buona volontà  dei singoli. Senza cambiare i meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti e senza vincoli formali che impediscano il carrierismo politico, il degrado continuerà  e il destino della democrazia italiana sarà  segnato. La crisi del centrosinistra in Umbria è descritta nelle pagine dei quotidiani. Negare la crisi sarebbe ridicolo. Che dire? Chi ha più cervello lo adoperi nell’interesse dell’Umbria. Una comunità  che non può aspettare che le faide tra i partiti si risolvano a babbo morto. I numeri delle difficoltà  economiche della nostra terra sono tanto preoccupanti da richiedere urgentemente uno scatto da parte di tutti. Leggo di organigrammi da realizzare per risolvere il rischio di paralisi dell’assemblea regionale. Prevarrà  il carrierismo di qualcuno o sarà  la volta buona per ridare forza e vivacità  all’azione della massima istituzione democratica dell’Umbria?

Vuoti a perdere

Per chi come me ha vissuto tutta la vita “dentro le mura” cittadine l’indagine televisiva che descrive Perugia come una sorta di Chicago anni trenta è stato motivo di grande tristezza e indignazione. Non sono un esperto nè di ordine pubblico nè delle problematiche connesse con lo spaccio di sostanze stupefacenti. Conosco Perugia, ne ho visto il declino. E’ stato un processo iniziato con la crisi del suo sistema produttivo-industriale. Un processo enfatizzato da scelte di governo non sempre consapevoli di quello che stava concretamente succedendo. La straordinaria creatività  imprenditoriale degli anni sessanta, settanta e parte di quelli ottanta, trovava nella pubblica amministrazione una sponda che, se non sempre efficientissima, sapeva comunque favorire la crescita economica e sociale della città . Perugia per tanti anni è stato un crocevia d’incontri, di convegni, di un turismo non costruito soltanto su eventi, ma sulla valorizzazione del suo sistema produttivo. Un sistema molto internazionalizzato sia nel comparto alimentare, sia in quello meccanico, sia nel tessile abbigliamento. Ciò comportava la presenza nella comunità  cittadina di manager, di tecnici, di uomini e donne che sapevano guardare al mondo vivendo in una città  “minore” come Perugia. Alla crisi produttiva si è aggiunta l’uscita dal centro della città  di tutti gli headquarters d’imprese, banche, assicurazioni che, aggiunto allo svuotamento d’intere aree dei borghi cittadini, enfatizzarono la rendita immobiliare come motore dell’arricchimento di una parte di popolazione. Una ricchezza che non si è tradotta in alcun visibile beneficio per la comunità . Sarebbe utile un’indagine per calcolare quanti edifici ubicati nell’area allargata del centro sono vuoti, non hanno più una funzione, degradano in attesa che qualcuno si decida a indicarne un destino utile alla città . C’è un vuoto dovuto all’avidità  o alla mancanza d’iniziativa del privato. Ma c’è un vuoto dovuto alla pigrizia del settore pubblico incapace di riutilizzare le sue proprietà . Ad esempio, vogliamo parlare dell’ex carcere di Piazza Partigiani o dell’ex Lilli o dell’ex Turreno? Quante volte, giustamente, si è valorizzato il ruolo degli studenti nella vita della città ? Possibile che le classi dirigenti che si sono susseguite nei decenni, non abbiano avuto la lungimiranza di immaginare un campus universitario? Non è stato certo per avversione al costruire. Forse un ipermercato in meno e un campus in più sarebbe stato meglio. Chissà  come potrebbe essere la vita cittadina se si fosse concretamente incentivato il ritorno di abitanti nei vecchi borghi cittadini. Le classi dirigenti si giudicano dal come immaginano e costruiscono il futuro della loro comunità . Ai notabili attuali non si chiede di essere all’altezza di coloro che realizzarono la “fontana delle quattro stagioni”, ma forse è tempo di ripensare criticamente a quanto fatto per la città  negli ultimi decenni.

Erotizzati

Ricominciamo. Per anni abbiamo assistito a governanti che il giovedì affermano una cosa per poi, il venerdì, indignarsi perchè la stampa ha travisato il loro pensiero. Con l’arrivo del governo tecnico abbiamo sperato che la sobrietà  riguardasse anche il dichiarare. Nelle prime settimane è sembrato che ministri e sottosegretari usassero con parsimonia l’apparizione televisiva preferendo lavorare in silenzio. Conferenze stampa del governo soltanto per informare i cittadini delle scelte. Poche le esternazioni dei singoli. Poi è successo qualcosa. Come erotizzati dall’acquisita fama, alcuni, non tutti in verità , hanno cominciato ad aprire la bocca e a dargli fiato. Uno sciocchezzaio certo non volgare come quello cui ci aveva abituato il personale politico precedente, ma sciocchezze in libertà  e comunque affermazioni non supportate dalla realtà . Veramente il presidente Monti ritiene che la caduta degli investimenti in Italia sia dovuta all’articolo diciotto dello statuto dei lavoratori? Forse l’investitore italiano o straniero considera negativi altri fattori: il peso fiscale, l’alto costo dell’energia, l’inefficienza della struttura pubblica o l’arretratezza di tutte le infrastrutture del terziario tradizionale o di quello innovativo. La ventennale assenza di ogni politica industriale da parte dei governi non ha certo favorito nè gli investimenti privati nè quelli pubblici. C’entra poco l’articolo diciotto. Sostenere il contrario è senza fondamento. Il professore sa che la struttura produttiva del Paese è costituita da piccole imprese che non devono rispettare le norme dello Statuto, eppure gli investimenti sono stati scarsi. Non aiuta l’imprenditore, uno Stato che paga i fornitori a uno, due, tre anni dalla fatturazione. O un sistema bancario che per concedere un mutuo richiede garanzie impossibili da dare. Secondo quale arcano la crescita sarebbe impedita da un lavoro protetto? In Germania si cresce o no? Monti ha affermato che lo Stato ha avuto un atteggiamento “buonista” nei confronti del sociale. Professore, con il massimo rispetto le ricordo che l’Italia è nelle classifiche europee all’ultimo posto in molti settori che riguardano proprio il welfare. Non sarà  che il buonismo è stato per decenni riservato a quel dieci per cento della popolazione che possiede la metà  della ricchezza nazionale? Anche Lei ha evitato di incidere in quella ricchezza privata che, come sa, non produce alcun vantaggio per la collettività . La continuità  da Lei rivendicata con il governo precedente è legittimata dalle sue concrete scelte. Per favore, eviti al suo governo di riprodurre lo stesso meccanismo di occupazione degli spazzi televisivi, non sarebbe elegante. Almeno in questo sia un innovatore.