Neve di marzo?

Riuscirà  il PD ha trovare un segretario che duri più a lungo della neve di marzo? Difficile arrischiare una previsione. Al momento che scriviamo non conosciamo il risultato delle primarie del 25 ottobre, ma al di là  del risultato rimangono comunque i dubbi sulla possibilità  che il PD diventi un’organizzazione politica che abbia un senso e un futuro. Lo spettacolo offerto in questi mesi da questo agglomerato è stato alquanto deprimente. C’è chi l’ha definito una guerra civile, chi la lotta di fazioni interessate soltanto alla conquista del potere o di una tenzone tra signori e signore delle tessere interessati al futuro loro e dei loro famigli. C’e poi chi ha valutato la contesa congressuale come la giusta conclusione della vicenda di un gruppo dirigente che, rimosso il PCI, non è riuscito a costruire altro che una cosa dietro l’altra dissipando valori e perdendo egemonia tra i ceti popolari e in intere aree del Paese. Interessato com’era a preservare il proprio fortino di comando. Uno stagionato gruppo dirigente ha scelto di apparire invece di essere avendo come unico orizzonte la propria salvaguardia.
Non va guardata con sufficienza la partecipazione al voto di quasi cinquecento mila iscritti al PD. La democrazia è anche votare. Certo grandi discussioni non ci sono state. Assemblee congressuali regionali che durano cinquanta minuti o quella nazionale che si risolve in un paio di orette, non sono state un buon viatico per farci capire dove i candidati alla segreteria regionale o nazionale porteranno il partito in costruzione. Abbastanza agghiacciante, poi, sentir Franceschini denunciare l’imbroglio del voto in Campania e ascoltare D’Alema che denuncia la situazione dei franceschiniani in Sicilia. Che il commissario PD per la Campania, Morando, trasferisca l’elenco degli iscritti alla magistratura, non rientra esattamente nel canone di una contesa trasparente. Inoltre, dobbiamo confessare la nostra arcaicità , vedere affissi ai muri i volti dei candidati a segretario come se fosse una campagna elettorale, con il gioco del coprire il manifesto dell’altro come si faceva anche nel 1948, ci è sembrato scioccante. Ma la stagione è questa e possiamo farci ben poco. Tornando a parlare di politica, osserviamo che anche i più attenti osservatori non hanno capito quali siano le strategie dei tre contendenti E’ vero che il meccanismo previsto dallo statuto è quanto di più cervellotico si possa immaginare, ma la questione è come, fatte le primarie, tenere insieme visioni del mondo radicalmente divergenti come quelle che sono emerse in questo simil congresso che ha, cosa non da poco, tenuto fuori dall’agone politico il maggior partito di opposizione al governo Berlusconi in una fase di grave crisi sociale ed istituzionale.
Non bisogna essere particolarmente cattivi per constatare che uno dei punti di forza del Cavaliere è proprio l’inconsistenza di chi si oppone alle sue cialtronate.
Quando Franceschini, nella sua campagna elettorale per la corsa a segretario, va nel nord est e si cosparge il capo di cenere e chiede scusa agli imprenditori per la scarsa attenzione avuta dal centrosinistra nei confronti dei problemi dell’impresa, c’è qualcosa che non va. O meglio è la conferma che il PD non ha ancora capito nulla di ciò che è successo in Italia. In tutto il nord del Paese è la classe operaia che ha, in massa, trasferito il suo voto dal centrosinistra alla Lega o al PDL. Anche iscritti alla CGIL preferiscono i berluscones al Partito Democratico. La cosa dovrebbe allarmare Franceschini e spingerlo a porsi qualche quesito. Il nostro parere è che a qualcun altro dovrebbe chiedere scusa il riformismo nostrano. Perchè è successo questo spostamento a destra dell’elettorato popolare? Le ragioni sono tante. Una su tutte: per oltre venti anni la ricchezza del Paese si è spostata dai redditi da lavoro a redditi da rendita e da capitale. Traducendo, chi vive del proprio lavoro è diventato più povero rispetto a chi vive di rendita o possiede un’impresa. E’ stato un processo mondiale reso possibile dalla vittoria dell’ideologia liberista unita all’incapacità  della sinistra riformista di capire ciò che stava avvenendo. Quando lo ha capito si è adattata e, anche al governo, ha applicato con testardaggine le politiche dettate dal liberismo. Possibile che nel PD non ci sia uno straccio di economista che informi i leader del partito come stanno le cose nei rapporti tra le classi e del perchè della crisi economica mondiale? Come non capire che un partito riformista non può restare silente di fronte al tentativo di isolare la CGIL o di stare muto di fronte al contratto dei metalmeccanici siglato da CISL e UIL a prescindere da ciò che ne pensa la FIOM, il sindacato che organizza la maggioranza dei lavoratori. Che riformismo è questo?
Questa incapacità  di analisi e il vivere in un eterno presente, riguarda ovviamente anche il ceto politico dell’Umbria. Un esempio? Che il centrosinistra abbia subito una sconfitta nelle recenti elezioni amministrative è cosa acquisita ma ormai rimossa.
In questi mesi molte dichiarazioni di vari esponenti del centrosinistra, nessuna analisi seria del perchè importanti amministrazioni umbre siano passate dal centrosinistra ai berluscones. Prevale la lettura di errori dovuti ad errori locali.
La sfida congressuale non è stata stimolo a discutere di politica ma la solita commedia del chi è il nuovo e chi rappresenta la conservazione. Il fatto che in Umbria vi sia stato un netto spostamento a destra dell’elettorato non sembra interessare i dirigenti PD mentre i gruppi (partiti ci sembra eccessivo) alla sinistra del partito di Franceschini, continuano nella loro ricerca disperata di trovare un minimo programma comune.
Gli esperti ci hanno spiegato che lo scontro è aspro perchè in gioco ci sono le candidature alle regionali del prossimo anno e gli organigrammi futuri dipenderebbero da chi sarà  eletto segretario a Roma e in Umbria. Le alleanze e le scelte del leader sarebbero condizionate dalla sistemazione che pinco promette a pallino.
E’ stata sempre questione impegnativa la formazione di un gruppo dirigente in un partito di massa. In presenza di partiti liquidi malati di leaderite come gli attuali, la cosa è ancor più complessa. Ma sembra proprio che la scelta del PD e per altri versi quella della sinistra, sia la peggiore. Partire dagli organigrammi forse riuscirà  ad assicurare a qualcuno un radioso avvenire di assessore o di consigliere, ma sembrerebbe una scelta che non risolverà  il problema di come riorganizzare una strategia vincente del centrosinistra per contrastare la crisi sociale e il berlusconismo imperante.
Lontano da noi ogni tesi di sottovalutazione del ruolo del popolo del centrosinistra e dei suoi dirigenti. Sappiamo bene che senza una svolta radicale all’interno di questo popolo non si va da nessuna parte. Di fronte, però, allo spettacolo offertoci in questi mesi dal ceto politico in campo, la preoccupazione per la tenuta della maggioranza che governa la Regione non ci sembra un’esagerazione. Se si esaminano gli ultimi risultati elettorali e alla luce delle divisioni aspre che permangono tra i partiti di centrosinistra e all’interno degli stessi, possiamo testimoniare che non siamo messi benissimo nemmeno in Umbria.
Berlusconi cercherà  di trasformare le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali in un plebiscito sulla sua persona.
Meglio prepararsi in tempo ad iniziare dal consolidamento dei rapporti tra le forze che hanno governato l’Umbria, mettendo in campo comportamenti, idee e programmi innovativi. Rinnovare significa trovare strade diverse da quelle ormai impraticabili della spesa pubblica come cemento del consenso. Il levati tu che mi ci metto io, non aiuta.
Il necessario allargamento del consenso è meglio ricercarlo nel popolo, proponendo idee e valori adeguati al momento che vive la gente comune, piuttosto che lavorare per spostare al centro l’asse delle alleanze.

Plebiscito e senso comune

Vittorio Feltri direttore del quotidiano di proprietà  della famiglia Berlusconi, Il Giornale, sostiene in un suo recente editoriale che la bocciatura del lodo Alfano ha costituito un ricostituente per il Capo.
Finalmente si potrà  mettere in campo il vero progetto della destra berlusconiana: modificare la Costituzione prevedendo l’elezione diretta del presidente della repubblica ed eliminando quei pesi e contrappesi (Corte Costituzionale, magistratura indipendente, ecc.ecc.) che disturbano l’eletto dal popolo e gli impediscono di governare, senza alcun vincolo. Torna in auge la Grande Riforma che Bettino Craxi predicò in tutti gli anni ’70 e ’80? No. Qualcosa di più radicale che se realizzato trasformerà  la democrazia repubblicana in una sorta di presidenzialismo padronale. Non esiste al mondo o meglio non esiste alcuna democrazia in cui il presidente della repubblica o il capo del governo non sia sottoposto al parere di organi che non dipendono dal voler dell’eletto dal popolo. Anche nelle democrazie presidenziali esistono contrappesi al potere del presidente. Dove non ci sono o sono solo formali, come nelle democrazie popolari di antica memoria, si hanno regimi dittatoriali.
Il Paese per tanti anni guida delle democrazie occidentali, gli Stati Uniti d’America, ha eletto un presidente che, come è noto, ha un consenso che travalica i confini americani. Barack Obama per portare avanti il suo programma di governo deve concordare con senatori e membri della Camera, democratici e repubblicani, ogni passaggio, ricercando quotidianamente l’intesa. Non può usare lo strumento della decretazione d’urgenza e non è previsto il voto di fiducia. I membri della Corte Suprema (che ha poteri più ampi della nostra Corte Costituzionale) conservano il loro incarico a vita, i nostri per sette anni. Se Barack Obama esprimesse un giudizio negativo su una sentenza della Corte Suprema rischierebbe l’impeachment, cioè la rimozione.
Dobbiamo intenderci. La democrazia ha bisogno di un’aggettivazione per essere compresa. Siamo ad un bivio.
Dopo oltre venti anni di picconate alla Carta Costituzionale si è costruito anche in una parte del popolo un senso comune diffuso che ha introitato una costituzione materiale che ormai è in aperto contrasto con il dettato costituzionale. Il rischio che corre l’Italia è quello di passare da una democrazia rappresentativa, con i vincoli previsti dalla Costituzione, ad una democrazia plebiscitaria in cui comanda una sorta di sovrano assoluto che legittima il suo potere esclusivamente dal rapporto diretto con il popolo.
La destra berlusconiana, nel forsennato attacco alla stampa italiana ed estera o a qualche trasmissione televisiva, sostiene che il popolo ha eletto Berlusconi capo del governo e, conseguentemente, l’unico potere legittimo è quello dell’eletto. E’ una menzogna. Sommessamente va ricordato che non solo siamo in una repubblica che prevede l’elezione del premier da parte del parlamento e non dal popolo, ma è utile anche non dimenticare che i parlamentari non sono stati eletti, nemmeno Berlusconi, ma nominati dai partiti. L’elettore ha semplicemente votato un simbolo di partito. Il fatto che nelle schede ci fosse il nome di Berlusconi, Di Pietro, Casini o altri non ha cambiato il sistema politico vigente e le procedure di elezione del governo.
Sarebbe interessante capire quanta parte dell’elettorato del centrosinistra ha subito la deriva plebiscitaria trascinata dal berlusconismo. Purtroppo l’occasione del congresso del PD non è stata utilizzata per una verifica di quanto abbia inciso la leaderite acuta di tanti dirigenti del centrosinistra. Ricordate la campagna rutelliana, e non solo, per l’elezione del sindaco d’Italia? O la fesseria delle modifiche alla Costituzione per l’elezione del presidente della regione? Come dimenticare il partito a vocazione maggioritaria come viatico al bipartitismo? E che dire delle primarie incentrate sul candidato a prescindere dal programma? Qualcuno può spiegare quale modello di democrazia hanno in testa i candidati e i loro elettori? Sarebbe sbagliato guardare con sufficienza al fatto che oltre cinquecento mila persone abbiano voluto partecipare alle primarie del PD. E’ stato un fatto democratico importante. La questione però è un’altra. Di fronte alla volontà  della destra di destrutturare la democrazia italiana, quale idea forza ha seminato in questi il centrosinistra per contrastare la deriva? Sono certo che vinca Bersani, Franceschini o Marino il PD farà  fronte comune per impedire che il progetto plebiscitario di Berlusconi vada avanti. Il contrasto sarà  facilitato se si guarderà  con spirito critico al lavoro fatto in questi anni dagli uomini e le donne del centrosinistra per rafforzare lo spirito democratico.
Il centrosinistra governa ancora molta parte delle autonomie locali, comuni, province, regioni. Siamo certi che l’idea di una democrazia partecipata sia stata la bussola degli amministratori e dei dirigenti dei partiti che si richiamano al centrosinistra?
La feudalizzazione della politica non è responsabilità  esclusiva della destra. La politica come spettacolo non ha avuto soltanto protagonisti del popolo della libertà  o della lega. L’autoreferenzialità  del ceto politico non è caratteristica esclusiva dei berluscones.
Utile sarebbe una presa di coscienza che il tempo del mutamento di tutto ciò è arrivato. Non trovare con rapidità  comportamenti, idee e valori che rendano attraente la democrazia costituzionale, aprirebbe un’autostrada alla volontà  berlusconiana di un potere assoluto conquistato con plebiscito popolare.

Questioni di merito

Bersani ha vinto il congresso del PD. O meglio ha preso il 55% dei voti degli iscritti ma diventerà  segretario soltanto se alle primarie del 25 ottobre riuscirà  a confermare il risultato. Se invece, in quella circostanza, dovesse avere più voti Franceschini si verificherebbe una situazione molto complessa: gli iscritti scelgono Bersani, gli elettori Franceschini. Come si fa a dirigere un partito in questa situazione? Non essendoci alcun vincolo di iscrizione ad un ipotetico registro degli elettori del PD, basta essere un elettore e pagare 2 Euro per votare, alle urne può andare chiunque e tutto può succedere. Il 25 ottobre potrebbe anche accadere che Pinco prende il 41% dei voti, Caio il 30% e Tizio il 29%. Che succede in questo caso? Il PD avrebbe un segretario di minoranza o si ricomincia il gioco dell’oca?
Bersani ha detto che, se diventerà  segretario, cercherà  di far modificare la legge elettorale. Sostiene che un Paese che elegge il segretario di un partito attraverso le primarie non può funzionare se gli elettori non possono nemmeno scegliere i propri parlamentari. Bene. Bravo. Consiglierei a Bersani di verificare, a livello delle singole regioni, quello che stanno combinando i suoi compagni di partito nelle modifiche alle leggi elettorali delle regioni. Potrebbe scoprire che i rappresentanti riformisti nelle assemblee regionali si muovono in tutt’altra direzione da quella auspicata dal segretario in pectore. Per un minimo di coerenza, almeno sui sistemi elettorali, sarebbe auspicabile lo stesso orientamento tra Roma e la periferia. Forse è tempo per il PD di riconsiderare quanto è successo nel recente passato attorno alle tematiche istituzionali, magari correggendo le assurdità  compiute in questo campo. L’elenco delle balordaggini sarebbe lungo. Un esempio?
E’ storicamente accertato che l’idea delle liste bloccate, che escludono la preferenza, non è stata partorita nella testa di qualche scienziato della destra berlusconiana, ma è nata nella civilissima terra di Toscana amministrata da sempre dal centrosinistra. In quella istituzione, i consiglieri regionali non vengono eletti, ma nominati dai partiti. Il governo Berlusconi non ha fatto altro che copiare la legge elettorale della Regione Toscana adattandola alle elezioni politiche del 2006. Si può affermare che la “la porcata” di Calderoli è figlia legittima di quanto fatto per formare il consiglio regionale toscano? Credo proprio di sì. La verità  è sempre rivoluzionaria e aiuta magari a correggere gli errori.
In Umbria la preferenza nell’attuale legge elettorale è prevista, ma attraverso il meccanismo del listino alcuni divengono consiglieri regionali senza alcun consenso elettorale, basta essere nel listino e, oplà , è fatta. A quanto sembra l’orientamento prevalente, tra le forze politiche del consiglio regionale, sarebbe quella di mantenere il listino anche nella nuova legge elettorale. Dicono che per fare quadrare il cerchio si potrebbe prevedere anche l’automatica elezione per i capi lista. Così i “nominati” in consiglio dai partiti aumenterebbero.
Sono certo chiacchiere malevole frutto di cattiva informazione. Saremo chiamati ancora una volta a votare per uno schieramento e il nostro voto servirà  anche a far entrare nell’assemblea di Palazzo Cesaroni il miracolato o la miracolata del partito?
La discussione in Umbria sulle modifiche alla normativa elettorale è molto aspra. Gianluca Rossi, capogruppo del Partito Democratico in consiglio, ha risposto con durezza alle dichiarazioni di Leoluca Orlando dell’Italia dei Valori. Rossi sostiene giustamente che le regole del gioco devono essere concordate con l’opposizione. Nel metodo ha ragione Rossi, rimane il merito e nel merito le questioni sono più complesse. Ad esempio, in vigore il presidenzialismo anche in Umbria, non ha alcun senso rivendicare ampi premi di maggioranza in nome della governabilità . Non esistono altri sistemi elettorali in Europa in cui questo premio esiste. Sarebbe comunque scorretto in presenza di soglie di sbarramento da superare per ottenere consiglieri. Più che della governabilità  la questione che ci si deve porre è quella della rappresentanza dell’assemblea regionale. L’intollerabile frantumazione delle forze politiche non può portare ad un modello di bipartitismo. Una semplificazione estrema del sistema politico non funzionerebbe. Che la sinistra, anche per sua responsabilità , non sia presente in Parlamento ha reso più fragile la democrazia repubblicana.
Una democrazia che si va trasformando, si è già  trasformata per molti aspetti. E il mutamento non ha affatto migliorato il rapporto tra il cittadino e le istituzioni. Siamo tutti diventati spettatori di un reality show in cui ciò che è vero o falso viene determinato dallo spettacolo televisivo. La demagogia e il peronismo d’accatto non sono patrimonio esclusivo del cavaliere di Arcore. Certo Lui ha raggiunto livelli ormai intollerabili ma le sparate dell’onorevole Di Pietro contro il presidente della Repubblica sono l’altra faccia della medaglia. Di una pessima medaglia.
I danni prodotti in questi mesi dall’afasia del PD sono evidenti. La coscienza che senza un PD seriamente impegnato nella costruzione di un’alternativa al berlusconismo non si va da nessuna parte è diffusa anche in forze che non votano questo partito. Questa consapevolezza dovrebbe impegnare i suoi dirigenti ad ogni livello a recuperare un rapporto con il popolo che si è molto infiacchito per responsabilità  collettiva. Si tratta di un lavoro di lunga lena che potrà  iniziare soltanto quando si uscirà  da una “guerra civile” da cui tutti usciranno più deboli.
Il PD ha la responsabilità  primaria di ricostruire un tessuto unitario nel centrosinistra. Forzature dettate da interessi di gruppo o di partito sulle modifiche alla legge elettorale allontanano ogni prospettiva di unità  innovata. Si potrà  anche fare un accordo per gestire l’Ente Regione per altri cinque anni, ma non si riuscirà  ad andare oltre ad una spartizione di potere che interessa chi vive di politica e non altri.

Il consenso

La maggioranza della classe dirigente del centrosinistra umbro è composta da dipendenti pubblici, ex sindacalisti o ex funzionari di partito. La cosa ha una sua logica considerando il peso che la spesa pubblica ha nella formazione del prodotto interno lordo e d’altra parte, a differenza del ministro Brunetta, non sono certo che il pubblico impiego sia fatto soltanto da fannulloni. Questa è un genere che riguarda anche il settore pubblico, ma per esperienza posso dire che la categoria del lavativo è diffusa in molti settori. Il pubblico impiego ha risorse e intelligenze che possono essere utili nella gestione degli affari di tutti. Il problema è, quando si analizza la composizione del ceto politico, l’assenza di interi settori della società  nelle assemblee elettive o negli organismi di partito. Nel centrodestra prevalgono le libere professioni e per come è strutturata la società  italiana, è un vantaggio per la destra almeno in termini di rappresentatività .
Non è auspicabile il ritorno ai meccanismi di formazione dei gruppi dirigenti che i vecchi partiti di massa utilizzavano per selezionare chi doveva entrare in una lista o in un organo di partito. Ricordo la fatica per avere un equilibrio nelle liste tra il numero di operai, di intellettuali, di commercianti. E certo in lista non poteva mancare il piccolo imprenditore o l’agricoltore. Meccanismo forse arcaico che però aiutava a formare una classe dirigente politica portatrice di diverse visioni del mondo.
Una metodologia irriproducibile che è morta con la scomparsa dei partiti di massa. E’ stato un bene? Forse sì, ma come il solito si è esagerato al contrario e oggi in Umbria, ma credo sia problema diffuso in Italia, il ceto politico del centrosinistra proviene principalmente dal settore pubblico. E questo non è un bene. Si possono creare, si sono creati, intrecci perversi tra l’incarico di direzione politica e gestione della cosa pubblica, con conflitti d’interesse che non aiutano la credibilità  della politica. Un solo ceto sociale al comando non va affatto bene. Alcuni, non solo la destra politica, sostengono che in Umbria si è creato un sistema di potere che consente il mantenimento del potere ai soliti noti. La questione è controversa e mi sembrerebbe utile una discussione esplicita che analizzi i diversi sistemi di organizzazione del consenso nei diversi comparti della società . Certo a partire dal mondo della politica, ma senza escludere altri mondi. Il discorso del consenso vale per molti settori. Ad esempio le forze produttive o il mondo dell’università , hanno anche essi da organizzare le forze se vogliono operare nella realtà . Anche loro hanno un problema di formazione di una classe dirigente credibile. Quali sono i criteri e i metodi di scelta delle diverse leadership? Come avviene l’organizzazione del consenso?
Si è conclusa la prima fase del congresso del partito democratico.
I risultati sono noti e ci si appresta alla giornata decisiva: le primarie del 25 ottobre. Con la scelta del leader sarà  chiaro il percorso di costruzione del PD? Anche il più ottimista degli osservatori non può non guardare con apprensione la vicenda. Un bilancio di quello che è successo nei congressi e nelle votazioni locali non deve registrare soltanto le percentuali a favore di questo o di quel candidato. Il punto più rilevante da analizzare è se questa tornata di dibattito abbia o no fatto fare passi in avanti alla cultura politica del maggior partito di opposizione.
Anche volendo tralasciare la descrizione di episodi che hanno poco a che fare con una politica trasparente e consapevole dei rischi che corre il centrosinistra in Umbria, è il caso di prendere atto che non si sono fatti passi in avanti rispetto ad un quesito non esplicitato, ma presente nella testa di molti dirigenti del PD. La domanda è: il modello di organizzazione del consenso incentrato sulla spesa pubblica che ha prevalso per molti anni è ancora possibile? Il modello di sviluppo che ha in testa la classe dirigente dell’Umbria ha ancora una sua validità  o bisogna procedere ad un’innovazione strutturale costruita attraverso un nuovo contratto con le forze produttive e culturali dell’Umbria? Al di là  dei ruoli e delle responsabilità  di ciascuno, non bisogna prendere atto che una fase si è chiusa e bisogna inventarsene un’altra? Non è questione di organigrammi o della filosofia del vai via tu che mi ci metto io per fare, magari, le stesse cose. Bisognerebbe ripartire dall’analisi della realtà  senza usare pregiudiziali positive o negative sul lavoro svolto ma con l’intelligenza e il coraggio necessario ad affrontare una situazione difficile, diversa da quella conosciuta.
Quando una comunità  non riesce a garantire un lavoro a fasce vaste della popolazione, tutti hanno un problema chi è al potere e chi vuole andarci.
I dati macroeconomici nascondono spesso sia fattori negativi che quelli positivi. Ad esempio, la tenuta dell’occupazione in Umbria di questi anni è un dato positivo dal punto di vista quantitativo mancano i riscontri in termini qualitativi.
Negli anni cinquanta le forze migliori dell’Umbria continuarono nello storico processo migratorio. Spesso partivano con le valige di cartone. Anche in questa fase molti giovani umbri partono in cerca di lavoro al nord o all’estero. Molti lo fanno con la valigetta che contiene il computer. I bagagli sono diversi, la sofferenza è la stessa e la perdita per la qualità  del nostro sviluppo è gravissima. Un giovane laureato, magari bravissimo, che aspettative di lavoro ha nella nostra regione? Un concorso pubblico? Il settore pubblico è super affollato in molti settori.
L’impiego in una struttura privata? Il tessuto produttivo non offre grandi chance per i giovani laureati. Le poche piccole imprese del settore dell’innovazione tecnologica si arrabattano con le poche occasioni offerte dal settore pubblico per progetti d’innovazione della pubblica amministrazione. Gli investimenti privati nel settore sono scarsi. Al giovane laureato magari con centodieci e lode non rimane che mettersi le cuffie dell’iPode, mettere il lab tab in valigia e prendere un treno o un aereo alla ricerca di lavoro. Non sarebbe un ottimo argomento per il dibattito politico?