Il dialogo

Nel giorno del suo insediamento a presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, il 21 gennaio del 1981, disse: ” Nella crisi presente, il governo non è la soluzione al nostro problema; il governo è il problema.” .
Martedì scorso, Barack Hussein Obama ha affermato: “La questione non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavoro e salari decenti, cure alla loro portata e una pensione degna.” Due discorsi che segnano l’inizio e la fine di un ciclo della storia dell’umanità  e che rappresentano bene due visioni del governo del mondo. (altro…)

Orfanelli

La storia della sinistra, non solo italiana, è storia di lacerazioni, divisioni, scissioni. Non deve meravigliare quindi che, a quasi un anno dalla sconfitta elettorale, la sinistra riformista o alternativa che sia vada nelle prime pagine dei giornali soltanto per le proprie miserie interne. Certo la scissione di Livorno ha ben altro spessore rispetto a quanto sta succedendo dentro il Partito della Rifondazione Comunista. Ma questi sono i tempi che ci è toccato vivere. Tempi difficili in cui alla crisi del neoliberismo corrisponde una sinistra senza idee, progetti, capacità  di organizzare movimenti di contrasto del degrado che le classi dirigenti hanno provocato in tutto il mondo.
Il Partito Democratico è sospeso in un vuoto riempito solo da un balbettio inconsistente di un gruppo dirigente diviso su tutto. Anche coloro che hanno guardato con diffidenza al tentativo di formare un partito riformista all’americana, ma con qualche aspettativa di novità , rimangono stupefatti dalla sequela di banali errori che i diversi leader del PD stanno compiendo in questi mesi e dall’incapacità  di trovare una linea di contrasto al berlusconismo. Ancora oggi, nonostante tutto, l’agenda politica è quella voluta dall’uomo di Arcore. (altro…)

Portaborse e veline

La Costituzione repubblicana all’art 49 così recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Nei primi decenni del dopoguerra i partiti rappresentarono il luogo in cui si insegnavano la democrazia, l’educazione civica e si formavano le classi dirigenti politiche e sociali del Paese. Funzionavano, i partiti, con un metodo democratico incentrato nello svolgimento di congressi che avevano cadenza in genere non annuale ma fissate da statuti che rispondevano al criterio della democraticità . La selezione della dirigenza avveniva tenendo conto delle diverse sensibilità  e qualità  della rappresentanza. L’Italia è stata governata per oltre quaranta anni dalla democrazia cristiana che riusciva, di volta in volta a costruire alleanze con altri partiti moderati e per una lunga stagione, con il partito socialista. Il PCI pur rappresentando quasi un terzo del corpo elettorale, espresse ministri soltanto dal 1946 al 1948. Gli addetti alla politica, in genere, non avevano condizioni di vita entusiasmanti e il funzionario di partito o l’amministratore locale poteva far conto su stipendi mediocri.
Ad esempio, nel PCI la regola era che un dirigente non potesse avere un trattamento economico superiore a quello di un metalmeccanico di quinta categoria e l’amministratore poteva contare soltanto sul mantenimento del reddito che aveva prima di essere eletto in qualche carica. Prevalente era il lavoro volontario non retribuito. Il far parte di un organismo di direzione politica provocava tensioni e amarezze, ma difficilmente ti cambiava la vita.
L’auto candidatura a qualche incarico non era affatto apprezzata e in genere comportava l’emarginazione di chi sbracciava troppo per ottenere un posto di comando o di rappresentanza.
La modernità  per molti Paesi ha significato spesso l’affinamento del sistema politico, per l’Italia la costruzione di un ceto politico inossidabile e l’esplodere degli addetti alla politica.
E si capisce perchè. Oggi un qualsiasi incarico nella pubblica amministrazione può comportare, non per tutti ovviamente, un mutamento della condizione sociale e un lavoro non certo stressante. La vita democratica nelle formazioni politiche si esaurisce in qualche riunione per la scelta del candidato ad un incarico e le defaticanti riunioni nelle sperdute sezioni di partito per discutere di politica fanno ormai parte della storia.
Una storia sepolta nell’oblio delle attuali classi dirigenti.
Oggi il sistema politico italiano è costituito dal prevalere dei partiti personali. Forza Italia non ha mai svolto un congresso ma molte convention per osannare Berlusconi. Non è soltanto Mastella ad avere un partito personale. Anche Di Pietro ha fatto il suo.
Il PD sposta la data del congresso di mese in mese. Soltanto il PRC ha svolto recentemente un congresso con risultati non entusiasmanti visto che si prefigura una nuova scissione a sinistra e il movimento della Sinistra Democratica non sembra in grado di costituire quel collante ad una ricomposizione di qualcosa di vivo a sinistra del PD.
La Lega pur essendo un partito articolato e intrecciato con il territorio, ha un leader capace di decidere in perfetta solitudine le scelte del partito. Non sono previste grandi discussioni rispetto ai voleri di Bossi. Alleanza Nazionale mantiene ancora una struttura organizzata ma non ha un segretario. Lo coordina un Ministro della Repubblica in attesa della fusione nel Partito di Berlusconi. Ci sono altri partiti quello di Lombardo o Rotondi ma sono semplici appendici del centrodestra. L’UDC di Casini sembra voler mantenere i caratteri di un partito che discute anche di politica e non solo di organigrammi, ma le forze sono esigue. (altro…)

Piccoli Cesari

Nella prima repubblica c’erano i “signori delle tessere”.  Oggi vengono chiamati cacicchi, capi bastone o più elegantemente capi feudo. La sostanza è che la scomparsa dei partiti di massa ha lasciato in campo formazioni politiche frantumate nei territori e  sostanzialmente condizionate da leader locali che rispondono a questo o quel dirigente nazionale e quasi mai all’interesse generale di avere amministratori capaci ed eticamente affidabili. La catastrofe degli ultimi mesi non riguarda soltanto l’economia. Riguarda in Italia anche l’emergere nel centrosinistra, PD e sinistra, di un processo di deterioramento accelerato di un ceto amministrativo al potere da molti lustri in Regioni, comuni e province. Ormai sono quattro le regioni commissariate dal segretario del partito democratico. Alcune per ragioni di indagini giudiziarie, Abruzzo e Campania, due per ragioni più politiche, Sardegna e Toscana. Gli episodi sono noti e mi sembra saggio che il PD non gridi al complotto della magistratura ma cerchi di risolvere con rigore le questioni. Purtroppo non sempre sembra in grado di farlo. Che l’inquisito sindaco di Pescara utilizzi un cavillo legale per non dimettersi a me sembra una sconfitta per il partito democratico e per il centrosinistra. Che la sindaca di Napoli, persona sicuramente per molti versi apprezzabile, si senta legittimata a registrare un colloquio con dirigenti del partito napoletano, appare raccapricciante. Che il sindaco di Firenze ritenga opportuno incatenarsi di fronte alla sede di Repubblica, appare come una “grillata” senza senso. E questo al di là  di un giudizio negativo sulla campagna scandalistica che il giornale in questione ha svolto contro l’amministrazione fiorentina. Siamo stati rassicurati giovedì che il Sindaco di Firenze non lascerà  la politica come minacciato mercoledì, ma si sacrificherà  con un posto da parlamentare nel Parlamento Europeo. Se non si analizzano i motivi oggettivi che hanno portato alla feudalizzazione della politica si può rivendicare quanto si vuole l’unità  e la solidarietà  di partito come fa Veltroni ma si perpetuerà  una società  feudale che in assenza del Principe sarà  segnata da lotte tra le diverse Signorie e da tanti capitani di ventura.
L’intreccio tra affari e politica non è una novità  di questi anni e non è peculiarità  italiana. Caratteristica del nostro Paese è l’ampiezza del fenomeno e l’incidenza del potere economico su quello politico. Questo ultima specificità  riguarda anche amministrazioni in cui non esiste affatto un problema etico. E sono certo che sono la stragrande maggioranza delle amministrazioni locali. Ma la fragilità  della politica è causa del condizionamento delle scelte dell’interesse economico sui programmi e i progetti pubblici. A  volte le esigenze dell’imprenditoria entrano in conflitto con l’interesse generale, ad esempio, quando si tratta della salvaguardia dei beni pubblici come il territorio e l’ambiente. Troppo spesso le scelte amministrative non riescono a mediare tra i due interessi. (altro…)