Trasformisti

Non sarà  ricordato come un anno di grande allegrie. L’anno si chiude con altri morti in Iraq e in Pakistan. La guerra continua in molte parti del mondo e non se ne vede la fine.
Continua l’incertezza delle prospettive economiche: l’implosione della bolla immobiliare negli States spalma in tutto il mondo gli effetti negativi rendendo precarie le prospettive di crescita. Studiosi e commentatori politici argomentano diffusamente sulle ragioni del declino dell’Italia. L’impressione è che il regresso riguarda molte latitudini. Se noi italiani siamo un popolo depresso, figuriamoci l’allegria del popolo americano che in tutte le statistiche relative alla qualità  dei servizi sociali sono agli ultimi posti delle statistiche mondiali. Secondi per la mortalità  infantile, ad esempio. Per non parlare del dollaro che ha perso oltre il 30% del suo valore rispetto all’Euro e il 50% contro la sterlina. Non dovrebbe essere, quello americano, un popolo euforico.
In genere in tutto il mondo, emerge il dato che il dominio di un libero mercato senza regole non sia la ricetta capace di risolvere i problemi dello sviluppo di società  equilibrate dal punto di vista del diritto di tutti ad un futuro dignitoso.
E’ costume consolidato che, nell’ultima settimana dell’anno, i gestori della cosa pubblica rendano conto del lavoro svolto e prospettino le priorità  del lavoro futuro. Sindaci, presidenti e amministratori in genere svolgono il rito con accenti diversi, ma sarebbe sbagliato non apprezzare questa forma di trasparenza democratica. (altro…)

Galleggiando nella precarietà 

Si conclude il terzo lustro della defatigante transizione italiana. Quindici anni che hanno come filo conduttore il degrado della democrazia repubblicana e l’affermarsi del berlusconismo come categoria della politica e del senso comune. Non si vede ancora un punto di approdo e l’impressione è quella di un galleggiare a vista dei partiti:la precarietà  riguarda anche i vari progetti politici messi in campo.
Sicuramente incerta e problematica è la costruzione del partito democratico. La scelta sembra essere quella di un partito all’americana. Apparati strutturati come staff del leader nazionale o locale e una democrazia interna che si eserciterà  esclusivamente nei momenti elettorali. (altro…)

modellistica

Nonostante trabocchetti, spallate, minacce continue il governo Prodi è arrivato a mangiare il panettone. Non era affatto scontato e, personalmente, ne sono lieto. Da un lato il Paese non avrebbe sopportato l’esercizio provvisorio del bilancio dello Stato e dall’altro all’orizzonte non si vede alcuna coalizione che sia più avanzata e credibile dell’attuale. La campagna acquisti di Berlusconi non ha portato a risultati proprio perchè non è maturata, nemmeno nel centrodestra, alcuna prospettiva diversa dalle elezioni anticipate che, come è noto, il Presidente Napolitano non può concedere senza una modifica della legge elettorale vigente. Ed ha ragione Napolitano.
La fragilità  del governo nasce da un risultato elettorale figlio di una pessima legge elettorale. Una polpetta avvelenata che i berluscones hanno propinato alla democrazia repubblicana. Ciò ha obbligato il governo a navigare a vista, spesso a galleggiare, per trovare una rotta accettabile per una coalizione rissosa che si è spaccata molte volte su troppi argomenti. La fondazione del Partito Democratico ha accelerato la crisi consentendo a pezzi della Margherita di rompere il vincolo di coalizione. Alcuni parlamentari del partito disciolto hanno formato micro partiti personali che si dichiarano liberi di non votare provvedimenti del governo. Altro che estremismo della sinistra. Altri sono i potenziali killer del governo Prodi.
Sembrerebbe scontato che l’Unione non abbia alcuna prospettiva politica. Alcuni estremisti dell’ala moderata hanno deciso che a gennaio non voteranno più a favore del governo. Dini, Bordon ed altri senatori eletti grazie all’alleanza dell’Unione hanno cambiato idea e si sentono liberati dall’impegno preso con l’elettorato nel 2006. Il Ministro Mastella chiede le elezioni anticipate e la stessa sinistra popolare non può continuare a subire i ricatti dei liberisti e degli integralisti cattolici alla Binetti.
Il risanamento dei conti pubblici è stata la priorità  nell’azione del governo. Si può discutere, e si è discusso, se l’operazione, obbligatoria, poteva essere fatta in modo più soft.
Resta il fatto che la scelta di risanare con rapidità  i buchi prodotti dal governo del centrodestra ha comportato sacrifici che si sono scaricati principalmente nel mondo del lavoro. A novembre i salari e stipendi sono cresciuti meno dell’inflazione. Inflazione +2,6%, i salari +2%. Sei milioni di lavoratori sono senza contratto. La questione salariale è divenuta ormai esplosiva. Fior di economisti di ogni scuola sostengono da tempo che senza una ripresa della domanda interna il Paese non può crescere. La politica dei bassi salari non è soltanto ingiusta, ma produce danni gravi all’intera economia italiana. Se non si migliora il potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionati non si va da nessuna parte. Il declino si accentua.
Non è quindi il presunto estremismo di Mussi o Giordano che impone una svolta nelle scelte economico-sociali del governo.
Il Presidente Prodi ha fissato per gennaio una verifica della coalizione. Sarebbe saggio cercare di mettere a punto una strategia che fissi con chiarezza i punti del programma di governo per il prossimo anno. Poche scelte ma nette. Non sarà  facile. Le forze politiche, e i singoli personaggi, sembrano principalmente impegnate ad assicurarsi un futuro. Da qui l’ansia nella discussione sul modello della nuova legge elettorale.
Gli interessi sono contrapposti e sono trasversali agli schieramenti. Sarà  possibile uno scatto di responsabilità  che individui nell’interesse generale l’obbiettivo da perseguire? (altro…)

Depressi e infelici

L’autorevole quotidiano “New York Times” ha dedicato all’Italia un’inchiesta di prima pagina. Utilizzando l’ultima ricerca Censis, parlando con leader politici e imprenditori, il giornalista americano, Ian Fisher, dopo una lunga e corretta analisi ha definito il nostro Paese come una nazione povera e vecchia. Un Paese infelice, il più infelice d’Europa. Esagera il giornalista d’oltreoceano? Non credo. Negli ultimi quindici anni l’Italia è arretrata non tanto e soltanto economicamente. Sono tutti i parametri della convivenza civile e della crescita a collocarci in fondo a tutte le graduatorie europee. Dalla scuola alle grandi infrastrutture tutto sembra assegnarci un futuro incerto e precario. E’ una crisi di lunga durata.
Il tracollo politico e istituzionale della prima repubblica non ha ancor oggi prodotto una classe dirigente apprezzabile e capace di modernizzare un Paese che sembra incentivare soltanto l’arte di arrangiarsi. L’innovazione e i momenti di eccellenza nel settore produttivo sono sempre più a macchia di leopardo che non fanno sistema. Il Made in Italy si concentra sempre più in settori maturi e poche sono le imprese capaci di confrontarsi nel mondo nei settori della tecnologia e dell’innovazione di prodotto. Intere zone, il mezzogiorno innanzi tutto, continuano a degradarsi ed è ripresa un’emigrazione di massa che riguarda anche giovani ad alto livello di scolarizzazione.
Siamo diretti da una classe dirigente che ogni tanto scopre l’acqua calda. L’ultima scoperta è stata quella del permanere di un mondo del lavoro operaio. Saggi, ricerche, elaborazioni dotte, ci avevano convinto che gli operai non c’erano più, erano residuali rispetto agli altri lavoratori. La tragedia di Torino ha spiattellato d’avanti a tutti una condizione di lavoro degna del terzo mondo. Giovani operai che, per raggiungere una paga mensile di mille e trecento Euro, sono costretti a lavorare anche quindici ore al giorno in condizioni di massima insicurezza.
I quattro operai morti lavoravano da dodici ore. Una barbarie. Indignarsi è giusto, ma non basta. Non è esclusiva competenza della sinistra popolare farsi carico dell’esigenza di assicurare una vita dignitosa a milioni di italiani impoveriti da uno sviluppo economico che ha spostato nettamente la ricchezza del Paese verso ceti diversi dai lavoratori e pensionati e che assicura ai giovani principalmente un lavoro precario. E’ interesse di tutti che il governo e le forze sociali operino una svolta radicale rispetto alla ripartizione del prodotto interno lordo. Continuare a tassare il mondo della produzione e del lavoro almeno il doppio della ricchezza derivante da rendite e dalle speculazioni finanziare è un errore non soltanto dal punto di vista della giustizia sociale. Se si vuole favorire uno sviluppo economico più virtuoso all’Italia, bisogna cambiare strada. Insigni economisti di ogni scuola, concordano sul dato che senza una ripresa della domanda interna è difficile far decollare l’economia italiana. Milioni e milioni di lavoratori sono in attesa del rinnovo del contratto di lavoro. I metalmeccanici ad esempio chiedono un aumento contrattuale di centodiciotto Euro lordi mensili. E’ estremista la FIOM o la sordità  delle imprese rasenta l’irresponsabilità ?
Come facciamo a non essere un Paese infelice in presenza di un quadro come quello che ci offrono i nostri leader politici di ogni latitudine e longitudine?
La sinistra ottiene con la manifestazione di Roma un risultato d’immagine positiva. Unitevi e presto, ha gridato Pietro Ingrao dal palco della Fiera di Roma domenica scorsa. Applausi scroscianti, lacrime e impegni d’onore ad avanzare nel processo di unificazione dei “coriandoli” della sinistra multicolore. (altro…)

Invasori

Una maionese impazzita. E’ questa la definizione più adeguata alla situazione politica italiana. Una logorrea dichiaratoria unisce destra, centro e sinistra. In un “impazzimento” di leader, leaderini di ogni livello che pensano di acquisire consensi coltivando il loro orticello personale. Si svolge sotto gli occhi attoniti dei comuni mortali una partita politica che sembra non aver altra prospettiva che l’ulteriore decadenza dell’agire politico. Esemplare è la campagna del cavalier Berlusconi contro l’UDC accusata di aver impedito, per interesse di partito, al governo del centrodestra di governare. E’ noto che anche Casini si è dovuto occupare degli interessi privati del padrone di Mediaset e ha avuto poco spazio per occuparsi di altro. Altrettanto notorio in tutto il mondo che nell’ultima legislatura dominata dal centrodestra, il Parlamento si è dovuto occupare prevalentemente degli “Affari del Signor Giulio Cesare”. Ingeneroso il Berlusconi. Stupirsi sarebbe inutile: Berlusconi è l’interprete indiscusso di una parte consistente del Paese e il nostro è divenuto un Paese difficile da governare.
Nell’ultimo rapporto Censis di quest’anno la società  italiana è definita così: “Una poltiglia di massa delusa da politica e istituzioni. Coriandoli individualisti che galleggiano solo per appagato imborghesimento. Una società  che ha subito una degenerazione antropologica”¦.rendendola afflitta da pigrizia fisica e psicologica”.
Il ceto politico è espressione di questo quadro impietoso tracciato da De Rita? Le classi dirigenti in genere sono l’apice di questa mucillagine? Negarlo è difficile. Si avverte l’assenza di qualsiasi intelligenza collettiva capace di invertire la tendenza al degrado che colpisce tutti i settori della vita del Paese. La politica appare sempre meno capace di dare risposte adeguate alle emergenze della gente comune e così ognun si rincantuccia nel proprio particolare. Il rimescolamento dei partiti avviene all’interno di un mondo a parte che esclude i cittadini. La cosa rossa, la cosa bianca, la cosa azzurra, la cosa nera. Partiti che nascono in un giorno e in un giorno muoiono senza che mai si capiscano per quali valori, quali idee e quali interessi generali le nasciture formazioni politiche chiedono il consenso.
Che il governo Prodi non abbia più una maggioranza politica è stato affermato da: Dini, Mastella, Di Pietro. Adesso ci si è messo anche Bertinotti con un’intervista che ha lasciato molti, anche a sinistra, basiti. Intendiamoci, molte cose che Bertinotti afferma sono giuste. Che la maggioranza al governo abbia perso il consenso di una parte dell’elettorato popolare è fuori discussione, ma a mio parere è ingeneroso presentare il governo Prodi come fallimentare. Affermare che il centrosinistra ha fallito sembrerebbe azzardato e comunque se questa è la convinzione bisogna trarne le conseguenze sapendo che ci sarà  un effetto domino che travolgerà  anche i governi locali.
Domanda: può il Presidente della Camera entrare nel conflitto politico come rappresentante di una parte dei contendenti? No. Non può. La terza carica dello Stato ha l’obbligo di essere super partes, non è un capo partito, ma appunto garante del funzionamento della democrazia parlamentare. E non è un compito da poco in un momento di crisi verticale del rapporto tra popolo e istituzioni. (altro…)