Nostalgie

Negli anni ’60, ’70 e ’80 c’erano le mitiche regioni rosse. Sindaci che divennero leggendari per la loro intelligenza innovativa, ma anche per la grande sobrietà . Il sindaco di Bologna, Dozza, usava andare in ufficio in bicicletta. Ilvano Rasimelli, presidente della provincia di Perugia, rifiutava di andare in giro in auto blu, preferiva la sua vecchia Citroen. Il sindaco di Torino, Novelli avvertito di un comportamento scorretto di un assessore, lo denunciò alla magistratura senza timori. L’amministrare era inteso come un servizio che doveva servire a cambiare lo stato di cose esistente nella trasparenza e in un rapporto continuo con gli amministrati. E le cose venivano cambiate. Università  americane studiavano le ragioni del successo dei comunisti in un Paese, l’Italia, governato da decenni dalla democrazia cristiana, ma che aveva i suoi punti di eccellenza amministrativa in aree dove il PCI guidava comuni e regioni spesso assieme al PSI. Gli asili nido dell’Emilia Romagna portati ad esempio nei giornali americani assieme alla vivibilità  delle città  di quella regione. La nuova psichiatria anglosassone di Laing e Cooper  si confrontava con quanto si elaborava in Umbria, a Parma o a Triste: gli amministratori erano tutti della sinistra comunista e socialista. La chiusura dei manicomi fu intesa come l’apertura di un nuovo modo di affrontare il disagio e la sofferenza, ma anche come sforzo di innovazione generale della società  italiana.
Il buon governo era l’orgoglio del popolo della sinistra. Oggi siamo al disastro della Campania sommersa dai rifiuti. Governata da 15 anni dal centrosinistra, quella regione rischia di essere l’emblema di un fallimento storico, una parabola sconvolgente per chi ha qualche anno sulle spalle ed ha votato sempre a sinistra.
Pagine e pagine di giornali trattano dell’antipolitica montante nel Paese. Il ministro D’Alema ha lanciato l’allarme e tutti, intellettuali e politici, hanno concordato sul fatto che bisogna fare qualcosa per cercare di ricreare un rapporto tra le istituzioni e il popolo. Quando in un sondaggio il settanta per cento degli intervistati dichiara di non apprezzare nè il Parlamento nè il governo il problema è drammaticamente serio. Ed è pesante il fatto che il mega presidente Montezemolo all’assemblea di Confindustria dice: “politica in crisi, serve un governo dei migliori”. Qualche brivido è legittimo. Chi sceglie i migliori? Chi sono i migliori? Che la politica sia in crisi è vero ed è vero che una parte delle imprese italiane hanno saputo competere nei mercati globalizzati. Ma gli ultimi dati dell’ISTAT, diffusi ventiquattro ore prima del comizio di Montezemolo, hanno confermato l’inadeguatezza del sistema industriale italiano e dell’assenza di imprese italiane in settori strategici. Si è investito molto per ridurre i costi e si è investito pochissimo per l’innovazione di prodotto. Il lavoro italiano è il peggio pagato nella Comunità  europea e tutto l’aumento di produttività  è andato ai profitti. Certo non tutto il lavoro è sottopagato. Un top manager può essere liquidato, se lascia un incarico, spesso con qualche milione di Euro. Lo stipendio di qualche manager pubblico o privato raggiunge cifre ragguardevoli, ma in genere la ripresa vantata dagli industriali non ha spostato di una virgola le condizioni dei lavoratori e dei pensionati.
Il governo Prodi rimane in mezzo ai guai. Gli industriali rivendicano esclusivamente a loro il miglioramento della situazione economica, le organizzazioni sindacali preannunciano agitazioni e scioperi per il ritardo del governo sul rinnovo dei contratti di lavoro. Plasticamente le reazioni all’attacco confindustriale, confermano la diaspora all’interno dell’Unione. Il prode Fassino, apprezzando la frustata, si schiaccia sul presidente della Confindustria, della Ferrari, della Fiat, della Frau, della Fieg ecc.ecc.. il ministro Padoa Schioppa sprizza entusiasmo, Bertinoti irritato non commenta, Rutelli condivide con qualche ma, D’Alema non apprezza, Veltroni ascolta e sollecita più attenzione verso gli ultimi, Mastella gradisce assieme a Dini. E Prodi? Enigmatico dice: “si commenta da solo”.
Tempi difficili insomma, l’economia e il mercato si stanno mangiando la buona politica e quel che rimane è un balbettio della politica sottoposta ad un attacco da cui non riesce a sollevarsi perchè da anni domina un ceto politico che ha come ambizione principale il proprio perpetuarsi.
Per fortuna che arriva il Partito Democratico e tutto sarà  più chiaro, ci siamo detti senza ironia e con fiducia. Poi, arriva la formazione del Comitato deputato a stabilire i criteri per dare vita alla Assemblea Costituente del nuovo partito. Gli annunci erano tutti volti a tranquillizzare. Non si tratta di una fusione dei gruppi dirigenti, ma di qualcosa volta ad innovare la politica. Sono quarantacinque i saggi scelti da Fassino, Rutelli e Prodi. Quindici per uno. L’apparaticiki ben presenti. Sottorappresentato il nord d’Italia, la presenza femminile non enfatizzata, le organizzazioni della società  civile marginalizzate. Non è un grande inizio.

Autoparco

Il presidente Prodi ha festeggiato un anno di governo. Nel fare il bilancio dell’attività  svolta, Prodi si è riconosciuto molti meriti e un solo limite: quello della scadente comunicazione delle buone cose fatte. A questo imputa la scarsa popolarità  del suo governo. Sarà  anche così, ma la sensazione parlando con la gente, specialmente con l’elettore dell’Unione, è di un grande disagio e di una forte insoddisfazione per quanto i governanti hanno fatto in questo anno di governo. La delusione nasce dalle condizioni materiali non mutate nel dopo Berlusconi per gran parte della gente, ma anche dalla incapacità  di Prodi e del suo esercito di ministri e sottosegretari nel coinvolgere il popolo nelle scelte piccole o grandi che fossero. Cosa che non sarebbe costata nemmeno un Euro. Ma impegnati nella costruzione del partito democratico, diessini e margheritini hanno continuato nelle loro performance televisive e nelle loro consuete beghe, indifferenti alle critiche che montavano nell’opinione pubblica. Mastella ottimo ministro della giustizia minaccia catastrofi e forte del suo due per cento di voti, chiede ogni giorno una verifica di governo. Tiene famiglia, Mastella, e pretende rassicurazioni per il futuro. Rutelli continua a fare il Rutelli dai granitici e certi principi. Fassino, tra un pianto e un altro, rassicura che tutto il gruppo dirigente del PD verrà  deciso attraverso le primarie e la fila dei pretendenti già  comincia ad allungarsi.
Ministri che si precipitano a manifestazioni contro atti votati dal consiglio dei ministri per obbedienza alla crociata di una parte della gerarchia cattolica. La sinistra appare frastornata dagli eventi.
Il risultato è un distacco abissale tra il mondo della politica e quello dei comuni mortali. Pietro Citati scrive un articolo per Repubblica titolato: “L’odio per i politici”. Il best seller di queste settimane non è un libro di Andrea Camilleri o di Umberto Eco, ma un libro di Gian Antonio Stella che si chiama: “La Casta”. Uno scritto che descrivere i privilegi di chi vive di politica. Lettura sconsolante.
Prodi, nel suo bilancio, poteva ricordare un record italico confermato anche per quest’anno di suo governo.
Il numero delle auto blu. La pubblica amministrazione da un contributo essenziale alla vendita di auto. Negli ultimi due anni lo Stato ne ha triplicato il numero. In tutte le articolazioni della struttura, l’amministrazione pubblica possiede 574215 (cinquecentosettantaquattromiladuecentoquindici) automobili.
Costo di funzionamento circa 19 miliardi di Euro. Un bel tesoretto non c’è che dire. Lo sapete quante auto blu circolano negli Stati Uniti (popolazione 300 milioni)? Settantatremila. E in Francia (popolazione 60 milioni)? Sessantacinquemila.
E’ qualunquismo affrontare questi temi? Non si pone l’esigenza di una riforma radicale della spesa pubblica e della sua moralizzazione?
Tornato dalle meditazioni svolte nel monte Atos, Bertinotti ha scoperto che in Italia c’è il problema del costo della politica. Il segretario del PRC denuncia l’elevato numero degli stipendiati dalla politica e promette iniziative adeguate. Aspettiamo con fiducia. La sinistra ha un’esigenza straordinaria di caratterizzare la sua azione anche partendo dall’analisi delle ragioni del malessere presente nel popolo. E’ accertato che uno dei motivi che allontanano giovani e vecchi dalla politica, è il comportamento del ceto politico per ciò che concerne il carrierismo e la feudalizzazione del potere con i suoi clientes e vassalli da premiare e salvaguardare nei propri privilegi e incarichi.
In tutto ciò parte del ceto politico della sinistra c’è a pieno titolo e la lotta per l’occupazione di posti al sole vede in campo in molte occasioni anche la sinistra. Anche la sinistra è responsabile dell’espansione del meccanismo che allarga gli addetti a tempo pieno della politica stipendiata.
La nuova aggregazione che i vari pezzi della sinistra stanno faticosamente cercando di costruire, dovrà  necessariamente caratterizzarsi per una radicale riscoperta della politica come servizio alla comunità . Un bel possibile slogan? La politica come impegno per migliorare le condizioni del popolo a prescindere dalle prebende che si possono ottenere. La difesa degli interessi delle varie comunità  avviene spesso rivendicando pezzi di struttura e di spesa pubblica. A volte questo è legittimo altre volte, molte altre volte, la difesa di un ente pubblico è sollecitata per interesse di un ceto politico affetto da bulimia e con una tendenza irrefrenabile ad essere invasivo.
Il processo di entificazione dei problemi è in corso da decenni e sarà  difficile invertire la tendenza alla conquista di un territorio attraverso l’insediamento di una struttura pubblica. Bisogna almeno provarci a cambiare lo stato di cose esistente. Se si vuole rinsanguare una democrazia sempre più flebile, è necessario riqualificare la spesa pubblica smantellando ciò che non è più necessario al buon funzionamento della società .
Per intanto non si potrebbe andare avanti con la riforma degli enti inutili? L’elenco è lungo.

Tramonto riformista

Un tramonto di quelli tristi in cui il sole è avvolto da nubi pesanti che intristiscono. Triste immagine che rimanda alla guerra in Iraq accettata dal Parlamento Inglese grazie alle bugie del leader sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.
Ha avuto queste caratteristiche il crepuscolo di Tony Blair.
Leader incontrastato degli ultimi 13 anni del New Labour ha annunciato giovedì le sue dimissioni per il 27 di giugno.
Uscendo di scena Tony Blair ha tra l’altro dichiarato: “Questo nostro paese è benedetto, gli inglesi sono speciali. Il mondo intero lo sa. Questa è la più grande nazione della terra. Ed è stato un onore servirla”. Lo sciovinismo del premier è coerente con la sua visione del mondo e con la politica che ha portato avanti il suo governo nei passati dieci anni. Una politica che deve essere indagata considerando l’appeal che il leader inglese ha avuto ed ha presso gran parte dei riformisti italiani, sia di destra che di centro che di sinistra. Berlusconi, Amato, Fassino e Casini sono stati tutti ammiratori appassionati del blairismo. Sarebbe angosciante che come sta succedendo per il berlusconismo, anche il blairismo continuasse a rappresentare l’orizzonte della politica italiana anche per il futuro.
E’ quello del New Labour il modello di riformismo cui deve far riferimento il centrosinistra italiano?
Dal punto di vista delle politiche economiche il bilancio di dieci anni di governo di Blair si presenta come molto problematico.
“The Economist”, la bibbia del liberismo, riconosce che il reddito è distribuito in Inghilterra in modo più ingiusto che in ogni altro Paese ricco, eccetto l’America. L’Inghilterra è in Europa, tra i Paesi a più alto tasso di povertà . Negli anni di Blair la mobilità  sociale è diminuita. Era migliore ai tempi della lady di ferro. Soltanto un terzo dei lavoratori inglesi può contare su un lavoro stabile. La precarietà  domina il mercato del lavoro. Il leggendario NHS, il servizio sanitario, dopo le privatizzazioni blairiane è diventato un colabrodo. Consiglio, a chi protesta per le liste di attesa del nostro Silvestrini, di domandare a qualche amico inglese quale è la situazione negli ospedali britannici. Risulterà  che la sanità  umbra è una macchina da guerra rispetto al servizio sanitario della grande Inghilterra. A mio sommesso parere la “Blair’revolution” è stata figlia del thacherismo e non di una sinistra riformata.
La parola riformismo è così generica che ognuno la più aggettivare come vuole, ma certo se il modello di Prodi e Fassino rimane Blair, difficilmente il centrosinistra potrà  contare su un grande sostegno popolare. Ci dicono: ma Blair ha vinto per tre volte consecutive! Ed è vero, ma sapete che nelle elezioni del 2005 il New Labour ottenne la maggioranza sul 20% (non è un errore di stampa) del corpo elettorale? La crisi dei conservatori produsse un’astensione di massa di tale ampiezza da permettere ai laburisti di rivincere pur perdendo milioni di elettori. Infatti, tornando in campo il partito Tory, le sconfitte elettorali per il New Labour non fanno più notizia. Da ultimo hanno perso la Scozia che sarebbe, paragonato alla nostra situazione, come se i diesse perdessero l’Emilia Romagna.
Lavorare ad altri orizzonti rispetto al riformismo ambiguo di Blair sarebbe utile sia ai costruttori del Partito Democratico che, la cosa è ovviamente scontata, a coloro che sono impegnati a ricomporre una sinistra credibile.
Sono processi che devono essere accelerati e devono verificarsi nell’azione di governo, ma anche nella società .
Cosa non facile, ma non impossibile se si riesce a sfuggire dagli interessi di partito e principalmente da una visione ragionieristica del governo del Paese. Il buon governo, di cui era orgogliosa la sinistra, non è più sufficiente per risolvere i problemi e la politica non può rimanere a rimorchio di ciò che decide il mercato.
Prodi rivendica giustamente il risanamento dei conti pubblici. Una rigorosa politica di bilancio era necessaria dopo l’allegra gestione dei conti del ministro Tremonti. Ma sbaglierebbe Prodi se pensasse che basta risanare per far uscire il Paese dallo stato di precarietà  in cui si trova. Larghi strati del mondo del lavoro hanno subito un radicale ridimensionamento del proprio tenore di vita. Le aspettative per il futuro delle nuove generazioni non sono positive. Precarietà  e marginalizzazione del mondo del lavoro aggravano il distacco dei cittadini dalla politica attiva. Sia il nuovo partito democratico che la nuova sinistra non possono che lavorare a ricomporre questo distacco se vogliono continuare a governare.
E’ cosa buona che le forze che dirigono la giunta regionale abbiano confermato la volontà  di procedere alle riforme della struttura amministrativa sub regionale. Problema urgente e difficile.
Un consiglio che può apparire una provocazione. Il volontariato è molto apprezzato e praticato da giovani e meno giovani. Esso riguarda molti settori ed è di grande utilità  per la tenuta sociale della nostra regione. E’ proprio impossibile rilanciare il lavoro volontario nell’azione politica? Non è possibile rendere alcuni incarichi nella gestione pubblica di enti e strutture come un servizio alla comunità  che i cittadini rendono gratuitamente?
La democrazia italiana è riuscita a consolidarsi nel dopoguerra grazie al lavoro volontario di tanti umili e meno umili cittadini. I bistrattati partiti di massa potevano vivere grazie al volontariato e grazie ai sacrifici di tanti dirigenti impegnati, per quattro soldi, nel lavoro di partito, in quello delle organizzazioni di massa e in quello amministrativo.
Non dico di tornare ai tempi in cui un assessore comunale non aveva alcun compenso, ma tra allora e oggi si è esagerato nelle prebende. O no?