Rendite

Le rendite di posizione sono finite. Con la scelta di fondersi nel nuovo partito democratico, per gli exPCI finisce una storia e ne comincia un’altra ed è giusto così. Pur nella continuità  dei gruppi dirigenti, i diesse hanno cambiato natura da molti anni. La genetica è ormai un’altra. Questo mutamento è avvenuto trascinando con sè molte delle energie che facevano del PCI un grande partito di massa. E’ cambiato il collante ideologico, ma ha continuato a funzionare il senso di appartenenza, il meccanismo di una comunità  con i suoi riti e i suoi vincoli. Il “liberi tutti” derivante dalla crisi della politica organizzata nel territorio e non nei salotti televisivi, ha consentito ai gruppi dirigenti di portare avanti un progetto che ha le sue radici nella svolta della Bolognina. Andare oltre il PCI era scelta ragionevole e apprezzabile. Già  prima della caduta del muro di Berlino il partito di Berlinguer sembrava aver esaurito una capacità  di attrazione, una forte innovazione era certamente necessaria. Come si sa il modo scelto da Occhetto non convinse tutti ed iniziò il lungo travaglio conclusosi a Firenze la scorsa settimana. Superare il PCI era necessario, andare oltre l’orizzonte del socialismo europeo non era obbligatorio, ma così ha deciso la stragrande maggioranza degli iscritti ai DS.
Fassino continua a sostenere che il partito democratico sarà  una formazione politica anche di sinistra. Qualche dubbio è legittimo. Non si tratta soltanto del problema dell’adesione o meno all’internazionale socialista, questione che può non appassionare più di tanto le nuove generazioni. L’incertezza deriva dai valori contenuti nel manifesto fondativo il nuovo partito. Il documento è titolato: Noi, i democratici. E’ composto da 5089 parole. Tra queste non esiste nè la parola “socialismo” nè la parola “sinistra”. Le parole sono pietre, si diceva un tempo e rimane difficile per un partito essere di sinistra quando non si ha il coraggio di utilizzare la definizione nemmeno nel manifesto fondativo. Forse ha ragione Veltroni che definisce l’essere di sinistra come uno stato dell’animo? Il congresso di Firenze ha applaudito molto il sindaco di Roma e tanto basta. Nessun democratico può augurarsi che la magnifica avventura voluta da Prodi fallisca. Sarebbe una catastrofe ulteriore per la democrazia italiana che, come è noto, non sta benissimo.
Ora la palla passa a tutti coloro che si collocano alla sinistra di Rutelli e Fassino. Anche per loro sono finiti gli alibi e le rendite di posizione. Gli annunci di iniziative di aggregazioni possibili sono molti. Cantieri, confederazioni, federazioni, accordi elettorali. Tante proposte per cercare di rimettere assieme i cocci di una sinistra frantumata. Era ora.
La non adesione del correntone di Mussi e dell’area di Angius al nuovo partito, libera forze di sinistra. Può essere questo il lievito per una sinistra rinnovata? Parlare di scissione è scorretto. I DS hanno deciso di confluire in un contenitore diverso per iniziare un’altra storia. Chi non ci sta interrompe un percorso comune perchè gli altri cambiano strada. Di questo si tratta e non della ripetizione della vicenda che portò alla formazione di Rifondazione.
La confusione sotto il cielo è tanta, ma la situazione non è ottima. La sinistra radicale è sotto scacco in tutta Europa e dove è follemente disunità  tende a scomparire. Il primo turno delle elezioni per le presidenziali in Francia si è concluso con la catastrofe delle sei, diconsi sei, candidature della sinistra sinistra. Dal 25% delle elezioni del 2002 i vari candidati troskisti, comunisti, verdi sono arrivati al 12%. La tendenza alla scomparsa è molto forte. Vogliamo evitare che succeda la stessa cosa in Italia? E’ tempo che bandiere e bandierine, identità  e giardinetti vengano messi in discussione per rigenerare una sinistra adeguata alla stagione che viviamo.
Da dove ricominciare? Mettere insieme Diliberto e Bertinotti non sarà  facile nè basterebbe. La sinistra ha un enorme bisogno di ritrovare le ragioni profonde del suo voler esistere in una fase del mondo che sembra negare qualsiasi utilità  alla politica.
Le idee e i valori che hanno consentito alla sinistra nel secolo scorso di spostare in avanti la qualità  della democrazia e le condizioni materiali dell’universo del lavoro devono confrontarsi con le profonde modificazioni avvenute nel modo di produrre e di pensare. Il cambiamento è stato profondo, ma non ha reso meno drammatica la condizione economica di tanta parte della società  italiana. Anzi, negli ultimi decenni vi è stato un impoverimento di tanti strati sociali e il mondo del lavoro si è precarizzato in modo intollerabile. Le differenze sociali si sono ampliate. L’Italia è uno dei Paesi europei con le peggiori situazioni di ingiustizia nella distribuzione del reddito nazionale. I nuovi lavori hanno  una particolarità : in gran parte sono precari. E’ un Paese, il nostro, che richiede un processo di riforme, un riformismo forte se preferite, che può essere garantito dall’alleanza tra una sinistra rinnovata ed un centro riformatore.
L’Unione doveva essere questo, ma le difficoltà  del governo Prodi non hanno consentito, ad oggi, di andare oltre un procedere con una incertezza dopo un’altra. Le stupidaggini di tanti governanti
su come spendere “il tesoretto”, lasciano annichiliti. Chi ha inventato la definizione, il tesoretto, dovrebbe essere licenziato in tronco per superficialità  manifesta.

Finalmente

Finalmente, ha esclamato qualche compagno. Una liberazione, ha detto qualcun altro. Ci sono voluti diciotto anni, ma alla fine l’equivoco degli eredi del PCI al lavoro per rinnovare la sinistra italiana si è concluso. Fassino ha un bel dire che nel partito democratico porteranno le bandiere della loro storia. Esse non sono apprezzate da Rutelli e margheritini che, al loro congresso, hanno confermato il niet all’adesione al partito socialista europeo e non vogliono morire socialisti. D’altra parte, ad essere sinceri, ci sembra giusto dire che quelle bandiere sono state ammainate da molti anni ed è da molti anni che i valori ed gli interessi da esse rappresentate non sono più nell’agenda politica dei riformisti italiani. Le radici sono state tagliate da tempo. Da quando i riformisti (a quel tempo si chiamavano progressisti) scelsero di americanizzare la politica italiana: la politica divenne per molti carriera personale, le sezioni comitati elettorali e i gruppi dirigenti oligarchie inamovibili.
Non è questa l’occasione, ma forse sarebbe utile una ricerca su quello che è oggi il partito dei DS. Siamo convinti che anche se i dirigenti, a tutti i livelli, sono gli stessi di venti anni fa, la base degli iscritti e degli elettori ha subito una mutazione genetica profondissima.  Il mitico popolo “rosso” non esiste da lunghissimo tempo e il congresso di Firenze ne certifica soltanto la scomparsa.
Finisce una storia, ne inizia un’altra o meglio altre due. Quella del partito di Rutelli e Fassino e quella di un movimento per ricomporre la sinistra italiana. Chi ha più filo tesserà , si diceva una volta tra comunisti e socialisti.
Come nasce il PD? Quali i valori e gli interessi che si vuol rappresentare?
“Non abbiamo chiarito niente di ciò che è essenziale. I grandi temi – lavoro,sapere, ambiente, questione morale e riforma della politica ““ galleggiano con insostenibile leggerezza nel dibattito politico sul Partito Democratico.” Fabio Mussi ha ragione quando denuncia l’inconsistenza della piattaforma politica con cui i DS si accingono a sciogliersi nel partito democratico.
Poteva essere altrimenti? Fassino assicura che non si sta lavorando ad un partito all’americana. Gli atti concreti dicono il contrario. La non riproducibilità  dei partiti di massa conosciuti nel passato non significa optare per una politica che esaurisce il suo compito nell’amministrare la cosa pubblica. Fassino, nella sua relazione, non ha minimamente affrontato la questione dello stato della democrazia italiana. Ha denunciato la presenza di ventitre partiti in Parlamento senza domandarsi il perchè di questa frantumazione. I partiti personali e quelli famigliari sono il prodotto delle scelte sbagliate nelle “riforme” istituzionali prodotte anche dalla sinistra riformista: il presidenzialismo è ormai nel patrimonio genetico del ceto politico diessino. Riproporre un partito che ha come compito esclusivo quello di produrre assessori e sindaci, manager pubblici o presidenti può servire a gestire l’esistente più o meno bene, ma difficilmente riesce a cambiare un Paese e non rinvigorisce la democrazia.
Ridurre la selezione delle classi dirigenti al meccanismo delle primarie produce principi, feudatari e vassalli, non intelligenze collettive. Veltroni, king maker del PD, sostiene che essere di sinistra è un moto dell’anima e non una collocazione politica. Sarà  così, ma è complesso immaginare una sinistra guidata da tante Teresa di Calcutta. Non convinti della tesi del sindaco di Roma, noi apprezziamo la scelta dei compagni del correntone di dar vita ad un movimento per l’unità  della sinistra. Impresa non semplice per lo situazione difficile della sinistra e della democrazia italiana e per la disistima di cui gode la politica in larghi strati anche popolari.
Da dove riprendere? Certamente la prima operazione non può che essere uno sforzo collettivo per capire che cosa è oggi l’Italia.
E’ tempo di andare oltre le generiche denunce dello stato precario di gran parte della società  italiana. Che il mondo del lavoro dipendente abbia subito negli ultimi venti anni un ridimensionamento nelle condizioni materiali è fuori discussione. Basta guardare ai dati ISTAT o più semplicemente discutere con qualche operaio. Bisogna capire che la catastrofe non riguarda soltanto il mondo dei salariati, anche coloro collocabili dal punto di vista sociologico nel ceto medio impiegatizio o tecnico, hanno perso di ruolo e di capacità  economiche. Anche il mondo delle partite IVA è qualcosa di molto articolato che deve essere indagato per trovare forme di rappresentazione politica esattamente come per l’universo della precarietà  del lavoro.
E’ generica la definizione di lavoratore del pubblico impiego. E’ pagato con denaro pubblico il manager che guadagna oltre duecentomila Euro l’anno per incarico politico, è dipendente pubblico anche il giovane laureato che ne guadagna ventiquattromila con contratto a tempo determinato.
La precarietà  e il sottosalario sono caratteristica del lavoro di tanti giovani occupati nel pubblico impiego come in quello del settore privato. Non è questione soltanto sindacale la contrattualistica inventata dai riformisti negli ultimi anni. Con questa  banale elencazione delle problematiche dei problemi inerenti alcuni dei gruppi sociali che devono essere il riferimento di un partito della sinistra, vogliamo sottolineare l’esigenza di coniugare lo sforzo tutto politico di aggregazione delle sparse membra della sinistra “istituzionale” dopo la dipartita dei DS, con quello di capire il mondo che ci sta attorno.

Primarie

 

 

“Il punto è cosa è diventato oggi il partito, al termine della sua mutazione genetica. I DS sono in tutto simili agli altri partiti, la base è fatta dagli impiegati dei leader che dunque prima di essere leader sono padroni. Non è un’invettiva ma un’analisi sociologica costruita sui dati reali degli iscritti. Il partito come tutti i partiti, è tenuto insieme da un uso disinvolto del pubblico impiego e dalla ramificazione degli interessi nella pubblica amministrazione. Nulla a che vedere con la militanza dei vecchi partiti di massa. Dichiarazione di Achille Occhetto al giornale “il Manifesto” del 19 aprile.
Che dire? Sarebbe ingeneroso addebitare ad Occhetto la variazione genetica degli uomini e delle donne che hanno traghettato la svolta della Bolognina verso un partito nel cui “manifesto fondativo” non è scritta la parola “sinistra”.
Viene spontaneo affermare, però, che il “nuovo che avanza” inventato negli anni “˜90 dagli occhettiani D.O.C. è stato in grado di produrre soltanto lacerazioni a sinistra e da ultimo”¦il Partito Democratico. Ad ognuno le proprie responsabilità .
D’altra parte, se i Ds sono diventati quelli sopra descritti, si comprende perchè, a differenza del congresso che segnò la scomparsa del PCI, non ci siano stati al congresso di Firenze troppi rimpianti per il suo auto inabissamento.
In realtà  tra “Cosa uno”, “Cosa due”, PDS poi DS c’è un filo rosso che certifica l’incapacità  dei gruppi dirigenti di trasformare l’eredità  del PCI in un diverso e moderno partito della sinistra europea. Questo insuccesso lo ha riconosciuto con coraggio lo stesso D’Alema.
Non era facile traghettare il PCI verso altri lidi. Il mondo diventato a un solo polo, gli USA, mutava sotto la spinta di grandi innovazioni nel modo di produrre e di pensare.
Le trasformazioni dell’economia sono state di tale profondità  da rendere la politica un orpello spesso inutile nel senso comune del popolo. E senza politica le forze del cambiamento sociale sono sconfitte. Non vi è stata alcuna fine delle ideologie. Ne è rimasta soltanto una: quella dettata dai Chicago
Boys, realizzata da Ronald Reagan e Margaret Thatcher e imitata da quasi tutti i governi occidentali. Compresi quelli diretti dalla sinistra riformista.
La frantumazione del mondo del lavoro ha reso complessa la difesa dei livelli di vita di coloro che hanno come unica ricchezza le proprie braccia o la loro intelligenza. La crisi della sinistra non è qualcosa che riguarda soltanto l’Italia anche se nel nostro Paese, per la storia del movimento operaio e popolare, la crisi assume caratteri particolari, tutte le grandi socialdemocrazie europee hanno subito negli ultimi anni pesanti sconfitte elettorali e politiche. Regge la Spagna di Zapatero, ma dalla Svezia alla Germania, passando per la Francia e domani per l’Inghilterra di Tony Blair, la crisi delle idee della sinistra radicale o riformista che sia, è squadernata davanti ai nostri occhi. Per la sinistra si pone il problema di come generare idee nuove capaci di fare i conti con il mondo così come è oggi.
Il Partito Democratico vuol essere una risposta a questa esigenza. E’ questa la strada? Veltroni, ha avuto a Firenze un grande successo. Giustamente ha rivendicato la sua passione decennale per il Partito Democratico. Il sindaco di Roma ha spiegato perchè si può essere di sinistra anche in un partito che non si definisce tale. Veltroni ha ricordato come grandi leader non socialisti hanno saputo emancipare popoli. Osservo che nell’emancipazione e nella liberazione dell’umanità , il movimento della sinistra qualche successo lo ha ottenuto. Perchè rimuovere questa storia?
Non un partito all’americana, ma un partito di popolo: questo dovrà  essere la nuova formazione politica. Così sostiene Veltroni. Sommessamente osservo: un partito che si organizza per leadership locali e nazionali ha come obbiettivo esclusivo quello di governare. E la politica quando esaurisce il suo compito nell’amministrare, è una politica monca che non svolge il suo ruolo. Altri, i poteri economici, decidono i processi storici e i destini dell’umanità . Anche una sommaria analisi della società  americana conferma questa tesi.
D’altra parte che l’americanizzazione dell’Italia è un processo in atto da anni è un’ovvietà . I promotori del Partito Democratico si sono domandati: perchè non americanizziamo anche la politica italiana? Che il sistema politico debba essere rifondato è cosa certa. Che l’attuale classe dirigente sia autoreferenziale è accertato. Scomparsi i partiti di massa, luoghi di formazione del ceto politico, bisogna inventare qualche altro meccanismo di selezione. Le primarie, sperimentate per incoronare Prodi, sono state un indubbio successo popolare. Invece della scelta delle oligarchie il popolo scelga il suo leader. Entusiasmante?
Qualche preoccupazione nasce se si studia ciò che il meccanismo delle primarie ha significato per la democrazia americana. Negli Stati Uniti le campagne elettorali sono di due tipi. Una interna ai partiti ed una tra i candidati dei due partiti principali. Ambedue sono molto costose. La signora Clinton, ad esempio, ha speso nell’ultima campagna per il Senato venti milioni di Euro. La campagna per la presidenza degli Stati Uniti costa attorno ai seimila miliardi delle vecchie lire. Chi paga? Il contributo pubblico è marginale rispetto al costo complessivo della corsa elettorale. Pagano le grandi corporation economiche. Non lo fanno per beneficenza ma per ottenere vantaggi dagli eletti. Non esiste possibilità  di essere eletto se non si ha il consenso della lobby dei fabbricanti d’armi o delle case farmaceutiche. Così le armi vengono vendute anche nei supermercati. E’ per questo che il sistema sanitario americano è tra i più costosi al mondo e tra i meno efficienti.

Pantheon

Curioso questo Partito Democratico. Mi riferisco a questa sorta di pentimento a getto continuo dei facitori diessini del nuovo partito. Fassino riconosce a Bettino Craxi l’onore di appartenere al pantheon della nascente formazione politica, Bersani, vivace ministro del governo Prodi dice invece: “guardiamo al futuro. Nè Craxi nè Berlinguer devono entrare nel pantheon”. Poveri noi.
Il PCI togliattiano aveva uno slogan che recitava: “veniamo da lontano e andiamo lontano”. Al di là  della retorica nello slogan, con esso si sottolineava e si segnava un percorso che riguardava la sensibilità  e la vita di milioni di persone. Qualche risultato quel rivendicare radici antiche e capacità  di guardare al futuro, lo ha prodotto se, per molti decenni del secolo scorso, il PCI è stato il più grande partito comunista dell’occidente. Il PCI ha segnato culturalmente e politicamente la sinistra di ogni continente ed ha contribuito al rafforzamento della democrazia repubblicana oltre che al miglioramento delle condizioni materiali della gente.
Il dubbio di molti, rispetto al Partito Democratico in formazione, è il rischio che la tabula rasa rivendicata dal Bersani possa produrre un altro slogan:”veniamo dal nulla e non andremo da nessuna parte”. Nessuno si augura che al motto del partito di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer, si sostituisca il grido delle masse per il partito di Rutelli, Fassino, Prodi e Binetti, ma sinceramente rimane poco convincente una ipotesi di partito che non abbia riferimenti storici e politici di qualche significato. Da anni ci troviamo in presenza di un vuoto. Non esiste in Italia un pensiero, una elaborazione politica di qualche spessore: i pochi intellettuali che continuano ad elaborare sul terreno delle scienze sociali, della filosofia e della politica, sono fuori dai partiti e da questi, purtroppo, non considerati. Il pensiero debole di Cacciari e Vattimo durevole a dominare.
Antonio Gramsci continua ad essere uno dei teorici politici più studiato nel mondo anglosassone e in America Latina, da noi si preferisce studiare il pensiero di Pietro Ichino o di Eugenio Scalfari. Qualcuno nel ceto politico ha studiato Macchiavelli, per questo molti si considerano dei principi a cui la repubblica non potrà  mai  rinunciare. Eternamente in campo.
I programmi elettorali della destra, ma anche del centrosinistra sono in genere elenchi di progetti tesi ad amministrare l’esistente o a produrre innovazioni all’interno della logica dettata dal Fondo Monetario o dalla Banca Europea. Ad un dirigente politico è richiesta una capacità  di pensiero politico vicino allo zero. L’amministrare è la scienza prevalente. Se un partito come Rifondazione lancia l’allarme per il rischio di divenire anch’esso un partito degli assessori, siamo alla frutta.

Senza memoria

Che la classe politica al potere avesse la memoria corta lo sapevamo. Soltanto quando si pentono di qualcosa guardano al passato, in genere vivono in un eterno presente e l’unico futuro cui, molti di loro, sembrano interessati riguarda il che faranno da grandi. Il narcisismo personale o di partito è una vera epidemia nel ceto politico a tutti i livelli e in tutti gli schieramenti.  La crisi della politica e l’ondata di qualunquismo che si sente nel Paese, è frutto anche di questo andazzo della politica, politicante del giorno per giorno. Prendiamo la discussione che si è riaperta sui sistemi elettorali. Proposte diverse tra i numerosi partiti e diverse anche all’interno delle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra sono state messe a punto per trovare un accordo.
Aprire il dibattito è stato sacrosanto in considerazione dello stato miserevole del funzionamento della democrazia formale.
La cosa più ragionevole da fare sarebbe stata quella di analizzare perchè dopo quindici anni di leggi elettorali fantasiose, il sistema politico rimane imballato. Sarebbe stato utile domandarsi perchè il sistema maggioritario aveva prodotto una miriade di partiti con caratteri personali e familiari. Dai sette o otto partiti della prima repubblica si è arrivati ai venti attuali e il mercato per la conquista del voto è esploso ad ogni livello. Leggi elettorali che rientrano nella categoria filosofica della “porcata” elaborata dall’onorevole Calderoli, sono state molte. Dal mercato delle preferenze bisognava uscire, ma non per crearne uno simile al calcio mercato del cambio stagionale della maglietta. Erano eccessive le spese elettorali dei candidati alla caccia di preferenze, ma il sistema elettorale maggioritario non ha affatto reso migliore la situazione. Anzi, essendo la politica per molti un mestiere si spende moltissimo per qualsiasi tipo di candidatura. La morale pubblica non è affatto migliorata e i sistemi clientelari si sono “democratizzati”: riguardano molte aree del Paese.
Questa analisi dello stato di cose esistente non è stata fatta.
Si è riaperta la discussione come se niente fosse accaduto.
Non è affatto accettabile che ognuno guardi al proprio interesse di squadra o squadretta e ancor di più è intollerabile il voler prendere in giro il popolo. Soltanto dieci mesi or sono si è svolto un referendum costituzionale  sulla controriforma voluta dal centrodestra. Il risultato è stato netto e incontrovertibile: i berluscones di destra, di centro e di sinistra furono sconfitti dal voto popolare. Quindicimilionisettecentonovantumila elettori votarono per respingere la legge del centrodestra ottenendo il 61,32% dei voti.  Il popolo italiano voleva continuare a vivere in una repubblica parlamentare rappresentativa. Il presidenzialismo, mistificato dalla proposta del premierato forte, non è stato accolto. Il sindaco d’Italia alla Rutelli non è piaciuto. L’elettorato ha scelto di eleggere i propri rappresentanti in parlamento investendo l’assemblea della responsabilità  dell’elezione del governo e del suo capo. Questo impone la Costituzione vigente, e chiaro? Pretendere che il futuro leader sia indicato nelle schede elettorali per le elezioni politiche è anticostituzionale. Dovrebbe essere evidente anche ai signori dell’Unione. Colpisce che la sinistra della sinistra non abbia minimamente protestato per l’impostazione di Chiti. Ma forse si è radicali a singhiozzo. Non è dato sapere come abbia votato al referendum il Ministro Vanino Chiti. E’ obbligatorio però che il ministro si ricordi del risultato.
Ad oggi la sua proposta di nuova legge elettorale prescinde dal vincolo del voto popolare espresso soltanto nel giugno scorso. Ministro, lei ha proposto e tutti hanno accolto favorevolmente, un sistema elettorale simile a quello delle elezioni regionali con qualche aggiustamento della Costituzione. Si ricomincia il balletto? Ricordate? Intellettuali, opinionisti, gente comune si è ribellata al fatto che i parlamentari non fossero eletti, ma nominati dai partiti? Un imbroglio, una scelta antidemocratica e giù ad insultare Calderoli e gli amici del centrodestra. Il popolo deve scegliere chi li rappresenta, si gridava. Bene.
Non vanno in questa direzione le proposte dell’Unione nè quelle della destra berlusconiana. Nelle intenzioni saranno ancora i partiti a nominare gli eletti. A quanto si è capito si sceglie il metodo delle elezioni regionali con modifiche che riguardano, appunto, le liste bloccate. Non è che quando qualcosa la vuole Berlusconi è male e quando la vuole Fassino diventa ottima.
Non è questo che si aspettano coloro che hanno votato Prodi. Bisogna fare attenzione. Il cemento dell’antiberlusconismo si è, per le pessime performance dell’Unione, di molto infragilito. Potrebbe non funzionare più.
Il sistema elettorale vigente per le regioni non è riproducibile per le elezioni politiche perchè di tipo presidenzialista e quindi non fondato sul voto di un’assemblea. La stessa Corte Costituzionale ha definito la forma di governo delle regioni come non inquadrabile tra quelle parlamentari. Conseguentemente contrario al risultato del referendum costituzionale svolto a giugno.
Certamente il presidente Napolitano, garante del rispetto della Carta, non potrebbe firmare una legge così platealmente in conflitto con il dettato costituzionale