Palinsesti

I conti pubblici italiani non sono più a rischio. L’emergenza sembra alle spalle. Così ci ha assicurato il ministro dell’economia Padoa Schioppa nel presentare in parlamento la prima trimestrale di cassa per il 2007. Prodotto interno lordo che sale al 2%, mentre scende il rapporto deficit-Pil, ulteriori maggiori entrate fiscali per 10 miliardi di Euro. Bene.
Ciò che non migliora è il reddito delle famiglie con tutte le conseguenze in termini di consumi e di sicurezza per un futuro che rimane incerto per larghi strati di popolazione. Da un governo di centrosinistra ci si aspettano segnali che indicano un inversione di tendenza rispetto ai processi economici che da oltre venti anni hanno premiato la rendita finanziaria e immobiliare, contemporaneamente penalizzando i redditi da lavoro. Questi segnali, ad oggi, non ci sono stati nè sulla finanziaria nè su altri atti del governo Prodi. Rimaniamo in fiduciosa attesa.
Che il risanamento dei conti fosse una priorità  può anche essere vero anche se l’aver concentrato in un solo esercizio la cura rimane discutibile per molti economisti, comunque rimane urgente attivare scelte per consentire un recupero del potere d’acquisto di chi vive di lavoro o di pensione. Al preannunciato tavolo di concertazione tra governo e parti sociali questo non può che essere centrale per raggiungere un accordo per rilanciare il nostro Paese.
Un Paese che rimane annichilito da un confronto politico che non fa un passo in avanti rispetto all’insulto sistematico e alle risse televisive su tutto e su tutti. Non esiste al mondo un sistema di mass media uguale a quello italiano. I palinsesti televisivi sono zeppi di programmi in cui si discute di politica. Ad ogni ora del giorno e della notte parlamentari e dirigenti politici si accapigliano su tutto, tramortendo l’attonito spettatore. La politica è diventata spettacolo a volte pregiato, raramente in verità , spesso, troppo spesso, avanspettacolo di dubbia qualità . Continua a prevalere la politica da bar dello sport in cui nani e ballerini cercano di “bucare” lo schermo confrontandosi con il politico di turno. Non è un bel vedere e anche se i pubblicitari hanno scoperto che la rissa politica può avere un auditel apprezzabile come il grande fratello, il dibattito politico rimane scadente.
Il richiamo ai ministri e sottosegretari di Prodi a parlare meno non sembra aver ottenuto grandi risultati e le preannunciate crisi di coscienza di questo o di quello pendono come una spada di Damocle sul destino del governo. La stessa stagione congressuale di molti partiti non riesce a chiarire i termini del confronto.

Furbizie

Un dirigente diessino chiamato a concludere un’assemblea precongressuale, di fronte alle obbiezioni ed ai timori di alcuni iscritti per la prospettiva dello scioglimento dei DS nel partito democratico, ha affermato: “compagni, partito democratico o DS è soltanto un problema nominalistico. Al fondo rimaniamo sempre noi, quelli che siamo stati, con le nostre salde radici a sinistra”. Ha ragione Il dirigente o ha fatto il furbo? La questione è controversa. Uno dei problemi è se le radici sono ancora vitali o se invece sono soltanto un orpello da magnificare durante i congressi per ottenere voti. Propendo per la seconda tesi. Comunque dallo scioglimento del PCI alla Cosa uno, dal PDS alla Cosa due, dai DS al partito democratico il gruppo dirigente è sempre risultato maggioritario e soltanto all’inizio vi fu una scissione significativa, quella che si coagulò in Rifondazione.
La base ha sempre dato ragione ai segretari chiunque essi fossero. I cattivi sostengono che si tratta di un dato di conservatorismo innato in un partito-chiesa come era il PCI. “Chi è solo ha due occhi. Il partito ha mille occhi”, cantava Bertolt Brecht. E giù voti bulgari per il segratario. Il dissenso non era molto apprezzato dai segretari di ogni qualità  e livello. Non era questione di coraggio ma di “fede” nelle virtù del Capo. La crisi esplose sotto le macerie del muro di Berlino e da allora si è cercato un approdo verso qualcosa di indefinito. E comunque non è mai stato detto con chiarezza al popolo della sinistra quale era l’obbiettivo da raggiungere. Nè si è avuta una discussione reale e di massa sui limiti e gli errori dell’esperienza dei comunisti italiani. Si è preferito rimuovere il tutto senza sciogliere i nodi di una storia straordinaria e irripetibile che ha certo contribuito alla crescita democratica di milioni di persone, ma che non ha saputo rinnovarsi e analizzare gli errori compiuti. Nei fatti si è trattato di un continuo spostamento degli excomunisti verso una formazione politica di tipo anglosassone. Non è un caso che i modelli di riferimento sono stati in questi anni Clinton e Tony Blair. Vi ricordate della Terza via dell’Ulivo mondiale? Siamo ancora a quel punto. Nonostante il disastro degli ultimi anni del governo del NewLabour molti riformisti italiani sognano di importare in Italia il blairismo. Complimenti. Consiglierei un viaggio a Londra.

Stravaganze

Non esiste Paese democratico al mondo in cui ci sono tanti sistemi elettorali come è nella situazione italiana. Conteggiando l’autonomia di scelta delle regioni in materia, sono ventisei i sistemi italiani con cui i cittadini sono chiamati a votare.
Una stravaganza che ha reso l’agire democratico faticoso e senza alcun appeal. Anche gli addetti ai lavori sono confusi quando ti spiegano un sistema di elezione, figuriamoci la gente comune.
Più che elettori consapevoli siamo tutti diventati “tifosi” nei match che l’amata televisione ci propina ogni sera. Al politico è richiesto di “sfondare” il video piuttosto che esprimere un pensiero decente. Con grande naturalezza i nostri parlamentari si cimentano in TV come cantanti, dicitori di poesie e spesso come cabarettisti di mediocre livello. Non tutti dimostrano l’intelligenza politica della Litizzetto. La politica come un “grande fratello” permanente sta annichilendo da anni la partecipazione democratica.
Lo sfibramento della democrazia ha moltissime ragioni e riguarda gran parte dei Paesi.  E’ indubbio che la politica abbia perso ormai da anni il suo ruolo di guida della crescita delle nazioni. Conta più una banca centrale o un giudizio del Fondo Monetario Internazionale che mille discussioni in un qualsiasi parlamento. L’ampliarsi del processo di astensione dal voto dimostra il distacco tra il popolo e la classe politica senza che le leadership diano importanza a questo processo di impoverimento democratico. In Italia le cose sono ancor più complicate dalla lunga transizione dalla prima alla seconda repubblica. Il protagonista politico vero di questi ultimi tredici anni è stato indubbiamente Berlusconi. Nel bene e nel male il cavaliere è riuscito a modificare nel profondo il senso comune di una parte consistente dell’elettorato. Gli stessi comportamenti politici di quasi tutti gli addetti ai lavori delle istituzioni ad ogni livello risentono dell’imprinting del berlusconismo. La leaderite acuta è la costante di molti capi e capetti eternamente in campo a destra, al centro e a sinistra. Cogliendo la profondità  della crisi della politica, il Capo della destra italiana ha saputo imporre il suo terreno di cultura: l’egoismo proprietario come filosofia di vita. E la proprietà  riguarda tutto anche lo “strumento” partito. Forza Italia è l’unico partito nell’universo che non ha mai svolto un congresso. Molte le convention, inesistente qualsiasi confronto interno. Al partito personale di Berlusconi si sono aggiunti i partiti famigliari. Il marito importante che fa eleggere la moglie, il convivente che cerca la poltrona per l’altro o l’altra, è tutto un inno alla famiglia, tradizionale o Dico che sia. E la famiglia in Italia è sacra. La legge elettorale voluta dal centrodestra è l’apoteosi di questo stato di cose. Le oligarchie hanno per legge nominato deputati e senatori. Se ci è scappato qualche parente catapultato in parlamento non deve scandalizzare. Questa è la politica del dopo partiti di massa. Il presidente Napolitano ha giustamente posto, nell’incaricare Prodi, la questione della modifica della legge elettorale.
Tutti i leader (eccetto Berlusconi) si sono precipitati a fare proposte e comunque a riconoscere il problema. Sono iniziati i distinguo dei partiti (sono venticinque i partiti italiani) e ognuno sta cercando di salvaguardare le proprie rendite di posizione. Mastella, che ha un partito famigliare, ha subito messo paletti: non sia mai che una forza politica come la sua rischi di essere fagocitata da una legge elettorale civile. Ne va della tenuta del governo e naturalmente per il prode Mastella è un problema di coscienza come per i No ai Dico.