Galleggiando

Anche ad un sommario sguardo alle varie realtà  dell’Umbria risulta
evidente la difficoltà  dei rapporti politici nell’Unione. Chi sta
peggio sono certamente i diessini colpiti da una forma grave di
bulimia da organigramma. Quello che dovrebbe esserne il gruppo
dirigente, è in ambasce pensando agli organigrammi per le elezioni
del 2009 e del 2010. A quelle date scadono presidenti e sindaci.
Chi dovrà  sostituire Locchi e Lorenzetti? Squadre e lobbies si
aggregano attorno a questo o a quella. Si confermano vecchie
alleanze, se ne costruiscono di nuove non su progetti politici, ma
su carriere da interrompere o da sviluppare. Le evidenti
difficoltà  di Locchi, alle prese con una campagna nazionale del
centrodestra, vengono vissute da una parte dei capi e capetti del
più grande partito della sinistra umbra, con interessato distacco.
L’intervista dell’onorevole Stramaccioni al Messaggero di sabato
23 settembre è, da questo punto di vista, esemplare. Stramaccioni
nell’occasione rilancia la terza fase della modernizzazione
dell’Umbria. L’onorevole continua a ritenere eccessiva la spesa
pubblica nella nostra regione e continua a non capire che senza
questo fattore d’intervento non c’è possibilità  di innovazione. Il
problema non è la quantità  della presenza pubblica nell’economia
regionale. La questione vera è l’impoverimento qualitativo degli
interventi regionali e delle significative sacche di spreco di
denaro pubblico. Un esempio? In questi anni è esplosa una sorta di
mania per il turismo amministrativo. Delegazioni massicce di
amministratori, imprenditori e funzionari, partono per lontane
mete per promuovere l’Umbria nel mondo senza e questo senza mai
produrre bilanci veritieri sui risultati ottenuti. La mitica
Sviluppumbria factotum dell’Ente Regione più che una finanziaria
sembra diventata un ente turismo. Voci incontrollate prevedono
l’invio nelle prossime settimane di una delegazione
rappresentativa dell’Università  per Stranieri in Cina. Che senso
dare alla cosa? Prodi ha portato a Pechino soltanto qualche
settimana fa, una rappresentanza numericamente e qualitativamente
importante dell’Italia. Otterranno di più, dai cinesi, i Marco
Polo umbri?
Che l’Umbria sia in una fase di stagnazione non lo dice soltanto
Stramaccioni. Negli anni ’50 dall’Umbria emigravano contadini e
operai senza lavoro. Oggi l’emigrazione è ripresa, ma riguarda
giovani laureati che non trovano occasioni di lavoro nella nostra
terra. La qualità  dello sviluppo è tale da non creare un
occupazione qualificata. I punti di eccellenza, e ve ne sono in
Umbria, non trovano nel settore pubblico (enti locali, regione e
università ) stimoli per un consolidamento. Tutta la partita della
informatizzazione della macchina pubblica è considerata con
sufficienza da amministratori e manager e non c’è alcun progetto
significativo volto ad accelerare processi di svecchiamento di una
macchina pubblica obsoleta e sovraffollata.
Centri e parchi tecnologici costruiti negli anni ’80 e ’90 con
finanziamenti comunitari, avendo smarrito il senso della loro
missione, sopravvivono a loro stessi producendo essenzialmente
disavanzi e occupazione precaria.
Bisogna dirlo senza infingimenti:in Umbria è aperto un problema di
qualità  della classe dirigente politica, imprenditoriale e anche
manageriale. La crisi è responsabilità  di molti e certo si tratta
di un processo che riguarda tutto il Paese. La politica costa
molto e rende molto a chi la fa, ma ha subito uno svilimento di
portata storica. Occorreranno anni per ridare senso all’agire
politico e un processo di rinnovamento dei gruppi dirigenti dei
partiti non potrà  che passare attraverso una sorta di rivoluzione
culturale che rovesci il senso comune della privatizzazione della
politica e dell’amministrare galleggiando nello stato di cose
esistente.
Purtroppo invece di occuparsi del degrado della politica e dei
valori da reintrodurre in essa, i nostri leader si occupano di
come ristrutturare i partiti.
Certo il problema esiste e sarebbe ingiusto sottovalutare quanto
succede nella sinistra umbra. Lasciamo da parte il goffo tentativo
del segretario regionale diessino di trasformare un problema
politico in un fatto disciplinare. Bracco dovrebbe domandarsi: i
DS sono ancora un partito di forte insediamento territoriale? A
macchia di leopardi si potrebbe dire, ma gli elementi di
disgregazione sono molto forti e Bracco dovrebbe saperlo e quindi
preoccuparsene. Ciò che è successo nelle ultime amministrative a
Gubbio, Assisi e Città  di Castello è raggelante. Vengono al
pettine i nodi di una decennale linea politica incentrata sulla
valorizzazione delle “Signorie” locali e dell’aver considerato la
politica soltanto come mezzo di carriera personale.
L’enfasi del geniale Fassino sulla costruzione del Partito
Democratico sembra mal riposta visto le tensioni che provoca e gli
scarsi risultati conseguiti. Che gli elettori dell’Unione siano
massicciamente interessati ad un partito all’americana è
convinzione fassiniana. Noi la pensiamo diversamente. E
consideriamo una balla che il mitico popolo delle primarie non
aspetti altro che partecipare ad una convention tutta palloncini
colorati e ragazze pompon.
Non ci appassiona nemmeno la trasmigrazione di pezzi di
Rifondazione nel PDCI o il processo contrario. Sono scelte
personali che confermano la precarietà  degli attuali partiti della
cosi detta sinistra radicale. Per intanto Rifondazione procede,
anche formalmente, alla costruzione della Sinistra Europea e il
PCDI rilancia la federazione delle forze di sinistra. Non
sembrerebbero progetti alternativi. Ciò che li rende incompatibili
sono i rapporti tra i gruppi dirigenti dei due raggruppamenti.
Antichi odi e disamori continuano a prevalere sull’esigenza di
unità . E’ un vizio persistente dei dirigenti della sinistra di
ogni stagione che Micropolis senza successo purtroppo cerca di
sconfiggere da anni.
Micropolis settembre 2006

La dirigenza politica e i valori da riscoprire

Le lunghe vacanze estive non hanno portato serenità  alla vita
politica regionale. Gli esponenti del centrodestra perugino
hanno occupato la sala del consiglio comunale di Palazzo dei
Priori ricevendo la solidarietà  di leader regionali e nazionali.
Il sempre presente Avvocato Taormina, in visita nella nostra
città , ha annunciato dossier e documenti a sostegno dell’attacco
alle amministrazioni “rosse”. Occupare una sede istituzionale non
è cosa da poco, ma non deve menare scandalo. Anche se è una forma
estrema di lotta politica, se è utile ad accelerare chiarimenti su
problemi importanti, anche l’occupazione di una sala rientra
nella dialettica democratica come il “filibustering” anglosassone
o lo sciopero della fame alla Pannella.
Qualche perplessità  insorge quando si vuol trasformare la sede del
consiglio comunale in una sorta di cappella con crocifissi e preti
che cantano messa. Il senatore Asciutti ha ragione da vendere
esprimendo contrarietà  alla proposta di ricercare un officiante.
La laicità  delle istituzioni riguarda anche i cattolici. Gli
occupanti che si sentono di dover santificare la domenica
potrebbero chiedere dispensa alle autorità  ecclesiastiche che,
nella loro saggezza, certamente la concederanno. Resta il problema
del buco di bilancio del Comune di Perugia. Il centrodestra
evidentemente ne sta facendo un caso nazionale per dimostrare la
cattiva amministrazione del centrosinistra umbro.
Sta a tutta l’Unione dimostrare con i fatti e con i numeri che
invece la gente umbra è ben amministrata. Lasciare solo Locchi con
la speranza di un rapido avanzamento di carriera non sembrerebbe
cosa saggia. Non difesa aprioristica e settaria del lavoro fatto,
ma intelligente dimostrazione che la realtà  è diversa da quella
descritta dall’opposizione.
Invece il centrosinistra è in altro affaccendato. Si occupa dei
futuri contenitori partitici. La maggioranza diessina lavora,
assieme ad una parte della Margherita, per costruire il mitico
partito democratico. La sinistra per riaggregare le forze atte a
costruire un partito della sinistra unita: obbiettivo che sembra
comune a PRC e PDCI, ma con progetti che appaiono divaricanti.
Vinti lavora al partito della sinistra europea, Carpinelli lavora
alla federazione dei raggruppamenti della sinistra.
Non si potrebbe fare uno sforzino in più per evitare una diatriba
che non fa affatto bene al popolo della sinistra?
Non si tratta di una discussione serena e l’impressione forte è
che si tratti di una disputa tra leader senza esercito e senza
idee progettuali. Non è definibile una campagna acquisti. E’
legittimo che qualcuno passi dal partito di Vinti a quello di
Carpinelli e viceversa, la precarietà  della situazione è tale da
legittimare cambi di affiliazione. Ciò che manca in tutti è
l’individuazione di idee e valori forti cui piegare l’interesse
personale della propria leadership.
Quando una persona che si presenta mite come il segretario Bracco,
annuncia provvedimenti disciplinari per i tre consiglieri comunali
rei di voler consultare altri consiglieri su problemi specifici,
un brivido è legittimo. Chi ha conosciuto i fasti della
commissione centrale di controllo intende quello che voglio dire.
Affrontare problemi politici con metodi burocratici era sbagliato
nel passato figuriamoci oggi. Ma ciò che principalmente preoccupa
è l’evidente mancanza di consapevolezza della condizione del
maggior partito della sinistra umbra. Con grande rispetto,
figuriamoci, consiglierei qualche indagine della realtà  materiale
del partito diessino. I cattivi lo definiscono una struttura che
funziona esclusivamente per le campagne elettorale dove le diverse
lobbies si contendono posti e preferenze. Nei punti di eccellenza
ciò che resta del partito riesce ad organizzare qualche dibattito
alle feste dell’Unità  con leader nazionali sempre più atteggiati a
prime donne (o uomini) che non hanno alcun rapporto con il
territorio.
Non si tratta di rifondare o fondare un partito. Ciò che è in
crisi è la politica nel suo rapporto con i problemi e con gli
interessi della gente. E’ da questo dato che la sinistra, l’Unione
o il partito democratico, fate voi, dovrebbero ripartire per
governare il Paese.
Valentino Parlato sul Manifesto di venerdì ha scritto un articolo
importante titolato: “Politica dei tagli o tagli alla politica”.
Scrive Parlato: “Una volta si diceva che l’uomo politico è colui
che si sacrifica per il benessere dei cittadini. Uomo politico era
quello che rinunciava ai guadagni che avrebbe potuto ricavare
dalle professioni o dal lavoro per servire il Paese. Per questo
accorrevamo ai suoi comizi e lo ascoltavamo con rispetto. Oggi il
rischio forte è che noi lo consideriamo un abile arrivista, uno
che è riuscito a procurarsi un ottimo stipendio e un mucchio di
privilegi. Qualcuno, ne sono sicuro, mi accuserà  di qualunquismo:
lo nego perchè ancora nonostante tutto, ho altissima
considerazione dell’attività  politica. Ma mi viene da replicare
che sono questi privilegi a produrre qualunquismo, astensionismo,
distacco dalla politica. Chi semina vento, raccoglie tempesta”.
Fine della citazione. Che dire al riguardo? Anche in Umbria c’è un
problema dell’eccessivo costo della politica? Credo di sì e da una
regione generalmente sobria e “francescana” ci si aspetterebbe che
le classi dirigenti politiche riscoprissero questi valori.
Ciò che preoccupa di più è il rapporto inesistente tra l’agire
politico e le generazioni più giovani. Quanti dirigenti politici
sotto i trenta anni si conoscono? Pochi. Non sarà  che l’appeal
della politica di questi anni non sia stato un gran che?
Corriere dell’Umbria 24 settembre 2006

Il peso delle caste e la politica assente

Chi può andasse pure in vacanza tranquillo. La maggioranza di governo alla Regione dell’Umbria è ben salda e piena di buonissimi propositi. Se ne riparlerà  a settembre, con comodo e con il fresco. Meno male, eravamo tutti preoccupati per le forti tensioni che prevedevano tempeste e crisi nell’Unione al potere a Palazzo Donini. La vicenda della nomina dei direttori generali delle aziende ospedaliere era esplosa fragorosamente anche all’interno del centrosinistra. Mugugni, strepiti e dichiarazioni di fuoco di segretari, assessori e sindaci non lasciavano prevedere niente di buono. Poi è bastata una bella riunione e tutto è rientrato nella normale dialettica tra sensibilità  politiche diverse. Il centrodestra ha alzato i toni dichiarando che le scelte dei direttori era stata tutta politica e quindi da condannare. Sommessamente ci sembra scontato che le forze politiche al governo scelgono “tecnici di area”. E’ sempre stato così, in ogni parte del mondo e sempre lo sarà . Ciò che è intollerabile è, quando una scelta privilegia esclusivamente la “tessera” rispetto alle qualità  manageriali del candidato o peggio quando la preferenza derivi da “odi” o “amori” privati. In questi tempi, poi, i partiti sono diventati strumenti privi di ogni democrazia sostanziale, conseguentemente più che la tessera vale la vicinanza personale al clan del decisore di turno. Vale più un salotto buono o una lobby giusta che un organismo di partito o una giunta regionale.
Il problema è ormai rappresentato da questo ceto politico sempre più oligarchico e autoreferenziale. Sono certamente anche le procedure che non vanno bene, sono opache e lasciano spazio alle proteste più disparate e agli interessi meno legittimi. Bisognerà  cambiarle magari in occasione della discussione sulle riforme endoregionali.
Giusto o sbagliato che sia, la legge affida al presidente della giunta il potere di nomina. Ciò non esime il presidente da metodi di assegnazione degli incarichi trasparenti e comprensibili a tutti. Nel caso della sanità , spesa rilevantissima del bilancio regionale, la questione del coinvolgimento degli interessati, operatori e utenti, è rilevante per una valutazione delle politiche sanitarie e degli strumenti necessari alla sua realizzazione. Al riguardo non è stato fatto nulla se non incontri semiclandestini.
La questione, che nessuno ha rilevato è che, anche in questa circostanza, proprio la politica è stata la grande assente nel determinare la scelta dei sei direttori, la crème de la crème della tecnocrazia sanitaria. A nessuno è venuto in mente che il meccanismo del governo di tecnici in un settore delicato come quello della sanità , è un meccanismo sbagliato frutto degli abbagli dei primi anni novanta. Non ci si è ancora resi conto dell’impoverimento democratico frutto di una visione monocratica del potere?
Che la politica si ritragga dalla gestione è cosa giusta, ma la politica ha il dovere di allargare le forme della democrazia, sempre. La straordinaria vittoria referendaria del 25 giugno ha detto chiaramente che la gente vuole più democrazia e meno capi e capetti: il cesarismo degli inossidabili presidenzialisti ha ricevuto un colpo decisivo. La governabilità  è cosa importante, ma la rappresentanza lo è altrettanto e il parlamento conta più del primo ministro. Non è ancora chiaro il concetto?
Non cambiare registro, rispetto alla privatizzazione della politica, sarebbe un tragico errore. I plebisciti personali non piacciono più.
La politica scompare, quando chi è chiamato a decidere non sente l’obbligo di motivare in modo trasparente il perchè di una scelta nelle sedi preposte, che certo non sono i partiti ma le assemblee elettive. Ad esempio, il presidente americano, imperatore del mondo, G.W.Bush, quando nomina qualcuno a dirigere una struttura pubblica, deve sottoporre il nominativo all’approvazione delle commissioni preposte di Senato e Camera dei Rappresentanti. Le Assemblee hanno il potere di bocciare la nomina.
Come è possibile che il consiglio regionale non sia stato chiamato ad esprimere una valutazione attorno al lavoro svolto dai manager uscenti? Che rischi avrebbe corso la giunta? Capisco il voler evitare una discussione sui nomi, ma esprimere una valutazione sul bilancio della politica sanitaria in Umbria sarebbe stata cosa politicamente intelligente. Non ci ripetiamo continuamente che siamo all’avanguardia in Italia per i servizi erogati al cittadino malato? Non siamo in una situazione di emergenza, visti i conti pubblici e la volontà  del governo centrale di operare tagli anche nel settore della sanità ?
E’ poco credibile scaricare sul pessimo governo Berlusconi i futuri ridimensionamenti della spesa per la sanità  pubblica. Non funziona. C’è bisogno di una forte capacità  politica di mobilitazione democratica, ma anche di un forte impegno per mettere a leva le risorse umane e organizzative del comparto sanitario. La nomina dei vertici sarebbe stata un’ottima occasione per affrontare pubblicamente i problemi coinvolgendo le assemblee elettive, i sindacati, il mondo della ricerca e dell’Università .
Ci si è invece chiusi nell’opacità  del particolare, partendo dalla salvaguardia dell’interesse di partito, di cordata o di casta.
Si è lasciato spazio soltanto a defatiganti trattative per realizzare lo scontato tre(DS), due(Margherita), uno (Rifondazione). Per non essere accusati di provincialismo, non manca il consueto tecnico romano. Buona fortuna.
Corriere dell’Umbria 23 luglio 2006

E’ inevitabile cambiare la macchina pubblica

L’incidenza della spesa pubblica sul prodotto interno lordo
italiano è inferiore a quella di Francia, Germania, di tutti i
Paesi Scandinavi e del nord dell’Europa. Questo sostanzialmente
significa che si può avere un intervento pubblico significativo e
nel contempo avere delle buone performance economiche. Il problema
italiano non è tanto di quantità ma di qualità della spesa.
Nonostante tutta la chiacchiera di questi anni sull’innovazione,
ancora oggi gran parte delle amministrazioni pubbliche sono
inefficienti e bloccate da corporativismi che il ceto politico non
sembra in grado o non voglia combattere. Una politica di rigore
non obbligatoriamente deve essere rivolta a ridurre la spesa
sociale, ma potrebbe incidere sul mal funzionamento anche
semplicemente abolendo tutto ciò che impedisce un miglioramento
del rapporto tra cittadino e Stato. A costo zero.
Stupisce che Fassino, capitano di lungo corso, non comprenda che
tagliare pensioni, sanità e spesa pubblica locale non solo è
moralmente discutibile visto lo stato dei nostri pensionati, ma
non risolve i problemi dello sviluppo del Paese. Il rigore
bisognerebbe riservarlo ad altri settori della società italiana
all’interno di un programma riformatore che incida sulle cause
strutturali della “cattiva” spesa pubblica.
La presidente Lorenzetti, nel presentare i progetti di riforma
endoregionale, ha dichiarato: “L’obbiettivo è quello di snellire,
ridurre, semplificare”.
Scelta saggia che richiederà grande determinazione. I problemi da
affrontare sono molti e prima di tutto c’è il problema di coloro
che dovrebbero acconsentire a snellire, ridurre, semplificare. La
presidente conosce bene lo stato delle cose esistente anche in
Umbria e certo è consapevole delle resistenze che incontrerà la
riforma. Alcuni esempi.
E’ stato ripetutamente scritto come la personalizzazione della
politica abbia portato alla formazione di un ceto politicoamministrativo
molto particolare a tutti i livelli.
E’ dato per scontato che, finita la mediazione dei partiti
rispetto alle carriere personali, ognuno che vuol partecipare
alle scelte politiche si sente impegnato ad ottenere un incarico
pubblico che in genere è adeguatamente retribuito. Ridurre non può
che significare accorpare enti e strutture e ciò non può che
incidere sulla carriera di questo o di quello. La politica oggi è
costruita attraverso legami personali ritenuti indispensabili per
procedere negli “avanzamenti” di carriera. Complesso sarà
penalizzare, chiudendo una struttura pubblica, un amico di
cordata. E sì, magari per gli scopi più nobili ognuno la sua
piccola o grande cordata in questi anni ha dovuto costruirla.
Questo è un problema non di poco conto.
Anche il rapporto con i territori non è cosa da poco. L’enfasi
posta sulla rappresentanza territoriale ha costruito un potere di
veto di tipo “signoria” del 16° secolo.
Ridimensionare le comunità montane o rivedere la struttura
sanitaria entra in conflitto con ciò che ormai è considerato un
diritto acquisito da questo o quel comune.
Se si analizzano con puntualità gli enti di emanazione regionale
si può tranquillamente affermare che uno dei criteri che ha
prevalso è stato quello della ripartizione partitica, ma anche
quello della distribuzione territoriale degli incarichi. I
perugini sembrano indifferenti ai problemi di potere.
Suddivisione questa assolutamente squilibrata a vantaggio di
alcune zone, ma questo è un altro problema.
Al riguardo le ultime notizie dal “palazzo” riferiscono di uno
studio interno all’assessorato alla sanità. L’esperto ha
analizzato scientificamente il lavoro dei direttori generali
uscenti e incredibilmente l’unico manager che ha ottemperato
pienamente al piano sanitario regionale non è stato confermato
nell’incarico. Evidentemente l’interessato non apparteneva ad
alcuna squadra ne rappresentava alcun territorio.
Riformare e innovare è sempre stata cosa difficile in Italia ed
anche in Umbria. Nelle prime legislature la regione tentò le
strade più diverse per darsi una struttura amministrativa moderna
ed efficiente. Molti e a volte clamorosi gli errori commessi in
quegli anni lontani. L’unica cosa che aiutava gli amministratori
di allora era la rete di protezione dei partiti. Una rete che
impediva che l’interesse del singolo o di un territorio prevalesse
su quello generale e, quindi, si procedeva con grande sobrietà
nell’assegnare incarichi e prebende. Molti degli compiti venivano
svolti gratuitamente. Erano altre stagioni.
Non esistevano uffici di gabinetto e solitamente l’amministratore
aveva rapporti diretti con gli amministrati. La politica aveva un
costo decisamente minore di oggi e in genere vi erano gruppi
dirigenti regionali che cercavano di evitare di essere
rappresentanti “territoriali”.
Adesso è tutto più difficile. Dare consigli sarebbe inutile. La
capacità di ascolto non è una dote diffusa e poi bisogna avere
fiducia. Al di là della volontà dei singoli i problemi di bilancio
obbligheranno a cambiare una macchina pubblica che non può che
essere trasformata. L’Umbria ha leader che possono essere adeguati
alla bisogna? La speranza è noto che è l’ultima a morire.
Corriere dell’Umbria 10 settembre 2006

E’ inevitabile cambiare la macchina pubblica

L’incidenza della spesa pubblica sul prodotto interno lordo
italiano è inferiore a quella di Francia, Germania, di tutti i
Paesi Scandinavi e del nord dell’Europa. Questo sostanzialmente
significa che si può avere un intervento pubblico significativo e
nel contempo avere delle buone performance economiche. Il problema
italiano non è tanto di quantità  ma di qualità  della spesa.
Nonostante tutta la chiacchiera di questi anni sull’innovazione,
ancora oggi gran parte delle amministrazioni pubbliche sono
inefficienti e bloccate da corporativismi che il ceto politico non
sembra in grado o non voglia combattere. Una politica di rigore
non obbligatoriamente deve essere rivolta a ridurre la spesa
sociale, ma potrebbe incidere sul mal funzionamento anche
semplicemente abolendo tutto ciò che impedisce un miglioramento
del rapporto tra cittadino e Stato. A costo zero.
Stupisce che Fassino, capitano di lungo corso, non comprenda che
tagliare pensioni, sanità  e spesa pubblica locale non solo è
moralmente discutibile visto lo stato dei nostri pensionati, ma
non risolve i problemi dello sviluppo del Paese. Il rigore
bisognerebbe riservarlo ad altri settori della società  italiana
all’interno di un programma riformatore che incida sulle cause
strutturali della “cattiva” spesa pubblica.
La presidente Lorenzetti, nel presentare i progetti di riforma
endoregionale, ha dichiarato: “L’obbiettivo è quello di snellire,
ridurre, semplificare”.
Scelta saggia che richiederà  grande determinazione. I problemi da
affrontare sono molti e prima di tutto c’è il problema di coloro
che dovrebbero acconsentire a snellire, ridurre, semplificare. La
presidente conosce bene lo stato delle cose esistente anche in
Umbria e certo è consapevole delle resistenze che incontrerà  la
riforma. Alcuni esempi.
E’ stato ripetutamente scritto come la personalizzazione della
politica abbia portato alla formazione di un ceto politicoamministrativo
molto particolare a tutti i livelli.
E’ dato per scontato che, finita la mediazione dei partiti
rispetto alle carriere personali, ognuno che vuol partecipare
alle scelte politiche si sente impegnato ad ottenere un incarico
pubblico che in genere è adeguatamente retribuito. Ridurre non può
che significare accorpare enti e strutture e ciò non può che
incidere sulla carriera di questo o di quello. La politica oggi è
costruita attraverso legami personali ritenuti indispensabili per
procedere negli “avanzamenti” di carriera. Complesso sarà 
penalizzare, chiudendo una struttura pubblica, un amico di
cordata. E sì, magari per gli scopi più nobili ognuno la sua
piccola o grande cordata in questi anni ha dovuto costruirla.
Questo è un problema non di poco conto.
Anche il rapporto con i territori non è cosa da poco. L’enfasi
posta sulla rappresentanza territoriale ha costruito un potere di
veto di tipo “signoria” del 16° secolo.
Ridimensionare le comunità  montane o rivedere la struttura
sanitaria entra in conflitto con ciò che ormai è considerato un
diritto acquisito da questo o quel comune.
Se si analizzano con puntualità  gli enti di emanazione regionale
si può tranquillamente affermare che uno dei criteri che ha
prevalso è stato quello della ripartizione partitica, ma anche
quello della distribuzione territoriale degli incarichi. I
perugini sembrano indifferenti ai problemi di potere.
Suddivisione questa assolutamente squilibrata a vantaggio di
alcune zone, ma questo è un altro problema.
Al riguardo le ultime notizie dal “palazzo” riferiscono di uno
studio interno all’assessorato alla sanità . L’esperto ha
analizzato scientificamente il lavoro dei direttori generali
uscenti e incredibilmente l’unico manager che ha ottemperato
pienamente al piano sanitario regionale non è stato confermato
nell’incarico. Evidentemente l’interessato non apparteneva ad
alcuna squadra ne rappresentava alcun territorio.
Riformare e innovare è sempre stata cosa difficile in Italia ed
anche in Umbria. Nelle prime legislature la regione tentò le
strade più diverse per darsi una struttura amministrativa moderna
ed efficiente. Molti e a volte clamorosi gli errori commessi in
quegli anni lontani. L’unica cosa che aiutava gli amministratori
di allora era la rete di protezione dei partiti. Una rete che
impediva che l’interesse del singolo o di un territorio prevalesse
su quello generale e, quindi, si procedeva con grande sobrietà 
nell’assegnare incarichi e prebende. Molti degli compiti venivano
svolti gratuitamente. Erano altre stagioni.
Non esistevano uffici di gabinetto e solitamente l’amministratore
aveva rapporti diretti con gli amministrati. La politica aveva un
costo decisamente minore di oggi e in genere vi erano gruppi
dirigenti regionali che cercavano di evitare di essere
rappresentanti “territoriali”.
Adesso è tutto più difficile. Dare consigli sarebbe inutile. La
capacità  di ascolto non è una dote diffusa e poi bisogna avere
fiducia. Al di là  della volontà  dei singoli i problemi di bilancio
obbligheranno a cambiare una macchina pubblica che non può che
essere trasformata. L’Umbria ha leader che possono essere adeguati
alla bisogna? La speranza è noto che è l’ultima a morire.
Corriere dell’Umbria 10 settembre 2006