Le chiacchiere e il referendum

L’accoglienza è stata definita tiepida e gli applausi di pura
cortesia. Eppure il governo Prodi era andato con le migliori
intenzioni: diciotto ministri, un esercito di sottosegretari
presenti in aula. Questa dimostrazione trasbordante di attenzione
non è bastata ad ottenere fiducia all’assemblea annuale della
confindustria. Perchè? La nostalgia di Berlusconi premier? E’
possibile. Ma ad una analisi più attenta si può ritenere che la
manifestazione confindustriale sia stata l’ultima dimostrazione
della volontà  dell’economia di rendere ancora più subalterna la
politica. Che si vuol dire? Che l’Italia non se la passi bene è
evidente a tutti. Non è chiaro di chi sono le responsabilità . Lo
scaricabarile è uno sport molto amato nel nostro bel Paese. Tutti
della politica i ritardi e le insufficienze? Sembrerebbe strano.
Qualche contributo al disastro, certificato dall’ultimo rapporto
ISTAT e dai giudizi delle agenzie di rating, lo hanno dato anche
le forze sociali della nazione. Non è così?
Pur con i vincoli di una legislazione che non favorisce lo
sviluppo, c’è da chiedersi se la classe dirigente imprenditoriale
ha svolto in questi anni il ruolo che ad essa compete per lo
sviluppo del Paese. Porsi questo quesito è legittimo. Ed è giusto
anche valutare se Montezemolo e gli industriali del Nord-Est
possono imporre la loro visione delle cose a chi è chiamato a
governare l’Italia nell’interesse di tutti e non solo di una parte
pur importante. Non è da tutti accettato quale unico valore di una
società  il primato del profitto d’impresa. Non è legge divina la
pretesa di chiedere il libero mercato e le privatizzazioni
all’italiana per poi pretendere il sostegno dell’intervento
pubblico a favore delle imprese. Il regime fiscale vigente non
favorisce affatto gli investimenti produttivi e non premia nè il
lavoro nè l’imprenditoria più dinamica. E’ vero e bisogna
intervenire per risolvere il problema. La proposta di Prodi di
ridurre le tasse sul lavoro a vantaggio di lavoratori e imprese è
una proposta su cui impegnare governo e forze della produzione.
Non basta? Probabilmente no, certamente c’è anche da approfondire
il perchè si è consolidata negli anni una scarsa capacità  di
innovazione del “sistema Italia” per ciò che concerne la presenza
nei mercati esteri. Tutta colpa della pessima politica di questi
anni? Non è così, ma se così fosse bisognerebbe ricordare la
passione dell’ex presidente della confindustria, D’Amato, per il
nascente governo del centrodestra guidato dall’industriale
Berlusconi. Il governo “amico” non ha aiutato l’industria a
crescere, ma il problema è più complesso dei limiti di Berlusconi.
Che la Confindustria non abbia voluto fare un bilancio veritiero
dell’esperienza governativa di Berlusconi non aiuta a comprendere
le cose da fare per uscire dal declino nè paiono convincenti le
richieste di tagli alla spesa pubblica. Dove tagliare? I servizi
al cittadino sono già  scadenti. Sanità  e pensioni già 
ridimensionati. La scarsità  delle risorse investite in ricerca ed
innovazione di prodotto è uno dei motivi della crisi del made in
Italy. Lo dicono tutti, ma nessuno ha fatto nulla per risolvere il
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problema. L’insufficienza egli investimenti nel futuro va
aggiunta alla storica debolezza delle grandi infrastrutture e dei
servizi all’impresa a cominciare dal sistema creditizio. Da questo
punto di vista nessuno può dare lezioni. Tutti hanno rinviato i
problemi. E’ tempo che ognuno faccia il proprio mestiere al meglio
e possibilmente guardando all’interesse generale.
Da questo punto di vista è impressionate il torrente di
dichiarazioni dei nuovi nostri governanti. Come “Allegre comari di
Windsor”, ministri, vice ministri, sottosegretari, presidenti di
gruppi, segretari dell’Unione, ci hanno sommerso di dichiarazioni
su tutto e di tutto di più. Pagine e pagine di giornali piene di
chiacchiere inutili. La marmellata della politica in televisione
non è cessata dopo le elezioni. Come se niente fosse alcuni leader
hanno ripreso il loro ruolo di attori televisivi. Stesse battute,
stessi tic, stesse ovvietà . Solo Prodi ha detto un bel No al
padrone di Porta a Porta. La confusione era tanta che Prodi è
dovuto intervenire per richiamare all’ordine la sua armata di
esternatori del nulla.
Per natura non sono per “un solo uomo al comando”, una coalizione
rappresenta interessi e sensibilità  diverse che non possono che
essere rappresentate. Possibilmente con misura, serietà  e
intelligenza. Il problema è banale: in giro per l’Italia c’è un
signore, Berlusconi, che continua nella sua campagna di
delegittimazione del governo Prodi. Non riconosce la sconfitta e
si ritiene truffato. Lui. L’esigenza per tutti dovrebbe essere
quella di mettere all’opera una compagine di governo che dia il
senso di una svolta profonda rispetto ai comportamenti dei
berluscones. Se Berlusconi minaccia una nuova “marcia su Roma”, la
saggia risposta è dimostrare al Paese una capacità  di concrete
scelte coraggiose e radicali che diano fiducia alla gente. Il
centrosinistra non può aver timore se le piazze si riempiono di
cittadini. La democrazia per la cultura della sinistra è anche
l’agorà . Il limite della classe dirigente politica è stato ed è
proprio quello di marginalizzare il tema della democrazia di
massa. Ad un mese dal referendum confermativo sulla “riforma” che
distrugge la Costituzione i grandi leader dell’Unione non sembra
abbiano alcuna intenzione di mobilitare la gente in difesa della
Carta costituzionale. Se i Sì vincessero il referendum il governo
dell’Ulivo farebbe finta di niente? Il disegno destabilizzante del
cavaliere si compirebbe e qualche problema per la democrazia
italiana ci sarebbe. Pensarci in tempo sarebbe utile.
Corriere dell’Umbria 28 maggio 2006

Governare senza settarismi e senza vendette

Non c’è verso. L’idea di qualche dirigente del centrosinistra era
quella che, passate le elezioni, nominati i vertici del Parlamento,
eletto il Presidente della Repubblica, nel centrodestra ci si
mettesse l’anima in pace e si cominciasse a comportare come è
ovvio in ogni democrazia. Chi perde le elezioni si oppone al
governo ma, nell’interesse del Paese, si evitano atteggiamenti
dannosi per le istituzioni. Quello che è successo in Senato
durante il voto di fiducia al governo Prodi, è inconcepibile.
Parte della destra ha fischiato ed aggredito verbalmente i
senatori a vita che, nella loro autonomia, hanno scelto di votare
positivamente per il governo. Sono stati ingiuriati Ciampi,
Scalfaro, Cossiga, Pininfarina, Colombo. Andreotti è stato
definito dalla destra un traditore. Berlusconi, da par suo, ha
definito immorale la scelta dei senatori a vita di partecipare,
nel rispetto del dettato costituzionale, al voto del Senato.
Sentir parlare di moralità  dal Cavalier Berlusconi qualche brivido
lo provoca. Come produce qualche perplessità  il tentativo di
pacificazione di Chiti e D’Alema con la proposta di assegnare al
centrodestra commissioni importanti nel Parlamento. Non è che sia
sbagliato cercare di svelenire il clima politico offrendo agli
sconfitti la possibilità  di partecipare positivamente alla vita
politica. Ricordiamo come fù discussa l’amnistia ai fascisti
promossa dal Ministro Palmiro Togliatti subito dopo la guerra di
liberazione. Gli storici la giudicano una scelta opportuna e
comunque coraggiosa. Un Paese che esce da una guerra civile ha
bisogno di atti di magnanimità , ma una parte del popolo non
apprezzò la scelta. Le differenze con allora sono enormi: tra le
altre i fascisti non potevano che riconoscersi sconfitti. I
berluscones, invece, pensano di aver vinto loro le elezioni e non
sembrano intenzionati a nessun patto di civile confronto politico.
Meglio mettere al lavoro, finalmente, un governo capace di dare
soluzione ai gravi problemi della nostra Italia. Senza settarismi
e senza vendette, ma con la determinazione di cambiare
profondamente lo stato di cose esistente. Bisogna guardare i
problemi per quelli che sono. Se è certo che Berlusconi ha perso
le elezioni è anche vero che il berlusconismo ha impregnato nel
profondo la società  italiana ed è certo anche che la nostra
democrazia vive ancora una pessima stagione. E’ urgente il bisogno
di scelte radicali. Serietà , sobrietà , severità , sono gli
atteggiamenti che si attendono i cittadini italiani dopo anni di
un pessimo spettacolo politico che ha visto protagonisti assieme a
Tremonti e company, anche “attori” di centrosinistra. La vittoria
risicata dell’Ulivo non può far dimenticare la sgradevolezza che
provoca una politica fatta di carriere e di ambizioni personali.
La situazione è tale da richiedere un salto di qualità  enorme.
Per la classe dirigente del centrosinistra la partita è decisiva.
Per i vari Fassino, Mastella, Rutelli, Bertinotti e via, via
elencando non ci sarà  altra occasione: o saranno capaci di far
uscire il Paese dal declino o dovranno andare politicamente in
pensione. Non sarà  facile. Il rapporto della gente comune con la
politica non è ottimo. L’ideologia dominante è quella
dell’inutilità  della politica. Bisogna prenderne atto e lavorare
per dare un senso al lavoro, difficile, del fare politica.
Anche da questo punto di vista è apprezzabile lo sforzo del
Presidente Prodi nel rivendicare l’esigenza di riscoprire
nell’etica un valore irrinunciabile nell’agire politico.
Tutti, ad ogni livello istituzionale, dovranno imprimere una
svolta nel proprio lavoro. E’ molto utile, da questo punto vista,
la scelta della giunta regionale dell’Umbria di iniziare
formalmente il percorso di riforma delle strutture amministrative
regionali e sub-regionali. Quale deve essere l’obbiettivo
principale dell’impegno riformatore? Semplificare il funzionamento
della struttura pubblica attraverso l’innovazione e rendere più
trasparente il rapporto con la cittadinanza. La stratificazione di
enti e di strutture pubbliche è arrivata al livello di guardia dal
punto anche di vista dei costi. Sulla riforma endoregionale è
importante costruire il consenso delle forze produttive e
culturali, ma è più essenziale lavorare per la “defeudalizzazione”
della classe dirigente politica e non solo. Se ci sarà  qualche
presidenza in meno non sarà  una tragedia. Le masse apprezzerebbero.
I meccanismi elettorali hanno enfatizzato il rapporto dei
dirigenti politici con il loro territorio frantumando una visione
regionale dei problemi. Si è sviluppata una corsa ad accaparrare
per questo o quel territorio una competenza, un ente, un punto di
potere e di spesa pubblica smarrendo qualsiasi sensibilità  per
l’interesse generale. La liquefazione dei partiti di massa ha
comportato la scomparsa di qualsiasi sede di discussione dei
problemi. Lo svuotamento delle assemblee elettive rende
problematica la rappresentanza degli interessi legittimi delle
forze sociali favorendo la frantumazione territoriale. Intere
classi dirigenti politiche si vanno formando con una sensibilità  e
con ambizioni tutte riconducibili al proprio destino. Anche i
migliori quadri devono adeguarsi a questa lotta per la carriera.
E la cosa non va affatto bene. E’ tempo che i capitani di lungo
corso della politica comincino a lavorare per un forte processo di
rinnovamento. Per fortuna il miracolo Berlusconi è in declino e
nessuno voterà  soltanto per impedire che vinca l’Uomo di Arcore. I
voti bisognerà  conquistarseli con una buona amministrazione e con
una buona politica.
Corriere dell’Umbria 21 maggio 2006

I problemi di Prodi e le grane dell’Umbria

Poteva essere una catastrofe. L’intervista di Piero Fassino al
giornale del suo amico dell’infanzia politica torinese, Giuliano
Ferrara, era di tale gravità da lasciare aperto qualsiasi scenario
per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella sua
creatività il segretario diessino sollecitava un voto favorevole
della destra sulla base di quattro punti programmatici che il
candidato D’Alema avrebbe dichiarato. Una follia istituzionale a
sentire costituzionalisti di fama o il senatore Scalfaro.
Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che il
presidente della repubblica non ha né può avere un programma, ma
deve rispettare soltanto il vincolo del dettato costituzionale.
L’invenzione fassiniana, per fortuna, è durata lo spazio di un
mattino. Resta inevasa la domanda del perché di questa caduta
politica. Si può ipotizzare che si sia trattato di un errore
commesso per ingenuità? La cosa non ha più rilevanza. Saggiamente
D’Alema ha cercato di non bruciarsi ulteriormente e ha lavorato
per candidare Napolitano. Bene, anzi molto bene. L’eletto
presidente della repubblica è persona apprezzabile per molti
aspetti. Ad esempio è un ex comunista che pur riconoscendo gli
errori compiuti dal PCI, non ha abiurato, non è un pentito della
sua storia. Vi paresse poco in una stagione in cui dominano i
tanti convertiti sulla via di Damasco. Soltanto la cecità politica
dei berluscones ha impedito che il Presidente fosse eletto a più
larga maggioranza. Il carattere, la qualità istituzionale di
Napolitano rassicurano sulla sua capacità di essere al di sopra
dei settarismi di parte. Berlusconi non lo ha capito, ma ci vuole
pazienza. Con il tempo capirà di aver perso le elezioni e la
storiella dei brogli potrà continuare a raccontarla soltanto a
Bondi e Cicchitto. Presidente della Repubblica soltanto della
maggioranza? La cosa non mi appassiona più di tanto ed è anzi la
conferma che il centrosinistra, se vuol governare nell’interesse
del Paese, deve avere una sua linea politica aperta al contributo
di tutti, ma ferma nei suoi punti essenziali.
Adesso si tratta di formare il governo. Sembra tutto fatto. Il
popolo è in ansia di sapere se il grande Rutelli sarà oltre che
ministro anche vice-presidente. Forse Prodi dovrebbe esercitare la
funzione che la Costituzione gli affida. E’ il capo del governo
che sceglie i ministri: non c’è logica politica che imponga una
vice presidenza rutelliana. Si tratta soltanto di ambizione
personale. D’Alema ha fatto passi indietro importanti. Fassino,
bontà sua, ne ha fatto un altro. Potrebbe per una volta farne uno
l’ex-radicale? Non è che abbia un curriculum di così travolgenti
successi politici da richiedere particolari medaglie. Lo stesso
ultimo risultato elettorale non appare come un torrente di voti
per la Margherita. Non è tempo che i vari oligarchi cessino di
preoccuparsi delle proprie posizioni di potere?
Prodi se ci sei batti un colpo, è tempo.
E qualche colpo dovrebbero battere anche i dirigenti dell’Unione
in Umbria. Le cose non vanno benissimo nelle istituzioni locali.
Gli scadenti risultati elettorali ne sono un segno. La crisi del
sistema pubblico è nelle cose. Meno risorse e meno capacità
progettuale. L’impressione è quella di enti che negli anni hanno
visto il crescere delle spese per il proprio mantenimento rispetto
a quelle per gli investimenti. La diminuzione delle risorse
comunitarie renderà problematica qualsiasi azione d’innovazione.
Gli ottimi rapporti, consolidati attraverso i molti viaggi
all’estero dei nostri amministratori, con le grandi finanziarie
giapponesi, americane, sudamericane e svizzere, non hanno portato
grandi risorse in Umbria. Dove trovare i mezzi per affrontare le
problematiche dell’Umbria? Forse cominciando a risparmiare nella
spesa corrente.
Sembrerebbe obbligatoria una marcia indietro rispetto al processo
di “entificazione” dei problemi che abbiamo vissuto per decenni.
Quanti enti, aziende, strutture vivono attraverso i contributi
pubblici? Non esistono ricerche al riguardo. La stagione della
“regione leggera” ha prodotto qualcosa, magari dei frutti OGM?
Nemmeno quelli.
Si parla, ormai da anni, di riformare gli apparati pubblici verso
una semplificazione istituzionale capace di produrre maggior
efficacia, maggior trasparenza e minori costi di gestione.
Le proposte sono tante: terza provincia, quattro circondari ecc.
ecc.. Processo non facile. Interessi legittimi dei vari territori
si intrecciano con localismi inammissibili e con egoismi
personali. Quello che si avverte con nettezza è l’esigenza di
costruire una proposta che prescinde dall’interesse immediato del
ceto politico. Abbiamo a che fare con una classe dirigente che
vive un eterno presente senza radici che ha in testa come unica
cosa futura interessante la prospettiva personale. Esangui i
partiti politici, rimangono le lobbies, le famigliole e i clientes
del territorio. Ognuno si fa il programma per il prossimo incarico
senza che ci sia luogo dove si progetti l’interesse complessivo di
un partito, di un movimento, di una coalizione. Che in una
situazione come questa ci si illude di aggregare le forze
riformiste in un unico partito, dimostra che, nei nostri eroi,
all’ottimismo della volontà si è sostituito l’ottimismo
dell’intelligenza. E non è buona cosa.
Corriere dell’Umbria 14 maggio 2006

I problemi di Prodi e le grane dell’Umbria

Poteva essere una catastrofe. L’intervista di Piero Fassino al
giornale del suo amico dell’infanzia politica torinese, Giuliano
Ferrara, era di tale gravità  da lasciare aperto qualsiasi scenario
per l’elezione del Presidente della Repubblica. Nella sua
creatività  il segretario diessino sollecitava un voto favorevole
della destra sulla base di quattro punti programmatici che il
candidato D’Alema avrebbe dichiarato. Una follia istituzionale a
sentire costituzionalisti di fama o il senatore Scalfaro.
Anche uno studente del primo anno di giurisprudenza sa che il
presidente della repubblica non ha nè può avere un programma, ma
deve rispettare soltanto il vincolo del dettato costituzionale.
L’invenzione fassiniana, per fortuna, è durata lo spazio di un
mattino. Resta inevasa la domanda del perchè di questa caduta
politica. Si può ipotizzare che si sia trattato di un errore
commesso per ingenuità ? La cosa non ha più rilevanza. Saggiamente
D’Alema ha cercato di non bruciarsi ulteriormente e ha lavorato
per candidare Napolitano. Bene, anzi molto bene. L’eletto
presidente della repubblica è persona apprezzabile per molti
aspetti. Ad esempio è un ex comunista che pur riconoscendo gli
errori compiuti dal PCI, non ha abiurato, non è un pentito della
sua storia. Vi paresse poco in una stagione in cui dominano i
tanti convertiti sulla via di Damasco. Soltanto la cecità  politica
dei berluscones ha impedito che il Presidente fosse eletto a più
larga maggioranza. Il carattere, la qualità  istituzionale di
Napolitano rassicurano sulla sua capacità  di essere al di sopra
dei settarismi di parte. Berlusconi non lo ha capito, ma ci vuole
pazienza. Con il tempo capirà  di aver perso le elezioni e la
storiella dei brogli potrà  continuare a raccontarla soltanto a
Bondi e Cicchitto. Presidente della Repubblica soltanto della
maggioranza? La cosa non mi appassiona più di tanto ed è anzi la
conferma che il centrosinistra, se vuol governare nell’interesse
del Paese, deve avere una sua linea politica aperta al contributo
di tutti, ma ferma nei suoi punti essenziali.
Adesso si tratta di formare il governo. Sembra tutto fatto. Il
popolo è in ansia di sapere se il grande Rutelli sarà  oltre che
ministro anche vice-presidente. Forse Prodi dovrebbe esercitare la
funzione che la Costituzione gli affida. E’ il capo del governo
che sceglie i ministri: non c’è logica politica che imponga una
vice presidenza rutelliana. Si tratta soltanto di ambizione
personale. D’Alema ha fatto passi indietro importanti. Fassino,
bontà  sua, ne ha fatto un altro. Potrebbe per una volta farne uno
l’ex-radicale? Non è che abbia un curriculum di così travolgenti
successi politici da richiedere particolari medaglie. Lo stesso
ultimo risultato elettorale non appare come un torrente di voti
per la Margherita. Non è tempo che i vari oligarchi cessino di
preoccuparsi delle proprie posizioni di potere?
Prodi se ci sei batti un colpo, è tempo.
E qualche colpo dovrebbero battere anche i dirigenti dell’Unione
in Umbria. Le cose non vanno benissimo nelle istituzioni locali.
Gli scadenti risultati elettorali ne sono un segno. La crisi del
sistema pubblico è nelle cose. Meno risorse e meno capacità 
progettuale. L’impressione è quella di enti che negli anni hanno
visto il crescere delle spese per il proprio mantenimento rispetto
a quelle per gli investimenti. La diminuzione delle risorse
comunitarie renderà  problematica qualsiasi azione d’innovazione.
Gli ottimi rapporti, consolidati attraverso i molti viaggi
all’estero dei nostri amministratori, con le grandi finanziarie
giapponesi, americane, sudamericane e svizzere, non hanno portato
grandi risorse in Umbria. Dove trovare i mezzi per affrontare le
problematiche dell’Umbria? Forse cominciando a risparmiare nella
spesa corrente.
Sembrerebbe obbligatoria una marcia indietro rispetto al processo
di “entificazione” dei problemi che abbiamo vissuto per decenni.
Quanti enti, aziende, strutture vivono attraverso i contributi
pubblici? Non esistono ricerche al riguardo. La stagione della
“regione leggera” ha prodotto qualcosa, magari dei frutti OGM?
Nemmeno quelli.
Si parla, ormai da anni, di riformare gli apparati pubblici verso
una semplificazione istituzionale capace di produrre maggior
efficacia, maggior trasparenza e minori costi di gestione.
Le proposte sono tante: terza provincia, quattro circondari ecc.
ecc.. Processo non facile. Interessi legittimi dei vari territori
si intrecciano con localismi inammissibili e con egoismi
personali. Quello che si avverte con nettezza è l’esigenza di
costruire una proposta che prescinde dall’interesse immediato del
ceto politico. Abbiamo a che fare con una classe dirigente che
vive un eterno presente senza radici che ha in testa come unica
cosa futura interessante la prospettiva personale. Esangui i
partiti politici, rimangono le lobbies, le famigliole e i clientes
del territorio. Ognuno si fa il programma per il prossimo incarico
senza che ci sia luogo dove si progetti l’interesse complessivo di
un partito, di un movimento, di una coalizione. Che in una
situazione come questa ci si illude di aggregare le forze
riformiste in un unico partito, dimostra che, nei nostri eroi,
all’ottimismo della volontà  si è sostituito l’ottimismo
dell’intelligenza. E non è buona cosa.
Corriere dell’Umbria 14 maggio 2006

Gioco dell’oca per il Quirinale

Sono passate tre settimane dalle elezioni e il mondo della
politica è in fibrillazione per la scelta del successore di
Ciampi. Si schierano tutti e tutti danno consigli al
centrosinistra affinché scelga un candidato apprezzato anche dalla
destra. La storiella del Paese diviso in due continua ad essere
l’argomento con cui editorialisti di centro, di destra e di parte
della sinistra sollecitano l’elezioni di questo o di quello.
Stupisce il provincialismo di columnist di grido. Sono tutti
ammiratori della democrazia americana, ma non sembra che ne
conoscano il funzionamento. Il presidente Bush, eletto con il
trenta percento di voti ha assegnato a repubblicani di provata
fede: la presidenza di Camera e Senato, il presidente e tutti i
giudici della Suprema Corte, i presidenti di tutte le commissioni
del Congresso. Qui si vuole per forza che il presidente della
repubblica sia concordato con Berlusconi. Misteri italiani. In
genere a noi comuni mortali viene lasciato lo spazio che ha il
tifoso della curva nord. E’ anche questa della corsa al Quirinale
una partita truccata come a quanto sembra quelle del campionato?
Qualche sospetto è lecito visto come l’Unione ha gestito e
gestisce la questione degli incarichi di governo e nelle
istituzioni. Tutti si dicono interessati ad un presidente eletto
con vasto consenso, ma è possibile trovarlo questo plebiscito? E’
fattibile convincere Berlusconi a votare per un candidato indicato
dal centrosinistra? Soltanto venerdì scorso in uno sfavillante
comizio a Napoli Berlusconi ha detto: «Apprestiamoci a resistere
alla sinistra, non arretreremo neanche di un passo. In Parlamento
abbiamo i numeri per non far passare leggi che ritenessimo
contrarie all’interesse del paese». Siamo stati scippati di una
vittoria sonante. Abbiamo vinto ma non abbiamo trovato un giudice
a Berlino, come si suol dire, che facesse giustizia e che
controllasse il milione e 100mila schede». Se la lingua italiana
ha un senso il Capo di Forza Italia considera truffatori quelli
dell’Ulivo. Colpisce il silenzio diessino rispetto alla pretesa
berlusconiana di escludere a priori l’elezione di D’Alema perché
di “storia comunista”. Uno può apprezzare o no l’idea di eleggere
il presidente diessino a Capo dello Stato, ciò che risulta
bizzarro è il disinteresse di Fassino e compagni nel difendere la
storia dei comunisti italiani. Un attacco sostenuto da un
gentiluomo, Berlusconi, nella cui coalizione sono stati ammessi
neofascisti ed altri adoratori della croce uncinata. Visto il
patrimonio di voti, di prestigio e di moralità che hanno ricevuto
dai dirigenti del passato, un po’ di rispetto i diessini
dovrebbero pretenderlo. I comunisti italiani sono stati tra coloro
che hanno costruito la democrazia italiana. Dimenticarlo è
inaccettabile per milioni di persone perbene.
Che sottobanco la destra faccia sapere che ci sono gli excomunisti
buoni (Napolitano) e quelli cattivi (D’Alema) o che è meglio anche
un excraxiano (Amato), fa parte di questa sorta di gioco dell’oca
che la classe politica perpetua ormai da decenni con gli stessi
giocatori.
Se c’è un partito in difficoltà, questo è quello dei DS.
Una difficoltà che viene da lontano e frutto anche dei sacrifici
che questo partito ha dovuto subire per consolidare una coalizione
difficile. Se si pensa che, dall’alto del successo elettorale
ottenuto, la Rosa nel Pugno si sente obbligata a mettere il veto
alla candidatura di D’Alema, ci si rende conto del disagio del
maggior partito dell’Ulivo. Un malessere che non è piovuto dal
cielo. Esso è frutto della perdita di un’identità politica
riconoscibile e non è casuale che soltanto nelle tradizionali
regioni rosse i DS mantengono una consistenza apprezzabile. Il
retaggio del passato ancora funziona. In realtà la sloganistica
del riformismo non ha risolto il problema del trapasso dal PCI ad
un partito della sinistra europea. La scelta della costruzione
assieme a Rutelli e compagni del partito democratico è, da parti
consistenti dei gruppi dirigenti, subita come ripiego alla
mancanza di qualsiasi piattaforma di rilancio di un vero partito
socialdemocratico.
Esemplificativo è lo stato dei DS in Umbria. Le elezioni sono
andate male per i DS eppure non se ne discute se non in qualche
ritiro spirituale. Per intanto alle prossime elezioni
amministrative del 28 maggio, si vota in alcuni importanti comuni
umbri, nelle candidature l’Unione si è dissolta e anche l’Ulivo
non sta benissimo se a Città di Castello avremo un candidato
Sindaco diessino e uno della Margherita. Che poi, a Gubbio, non si
è saputa trovare una soluzione unitaria, suona come la conferma
della fragilità dei rapporti politici nel centrosinistra umbro.
Una spiegazione dovrà pur essere cercata se si vuol affrontare una
fase particolarmente difficile per la nostra regione. E forse non
si è lontani dal vero quando si riconduce all’autoreferenzialità
del ceto politico amministrativo la causa vera della pochezza
della politica anche nella nostra terra. Siamo diventati anche noi
artisti del gioco dell’oca.
Corriere dell’Umbria 7 maggio9 2006