Cariche e sberle

Tutto è bene quel che finisce bene. Magari fosse così semplice. In
realtà  la rinuncia di D’Alema alla candidatura alla presidenza
della Camera lascia tante amarezze e tanti feriti. Sull’orlo della
disperazione è Bruno Vespa. Il suo boudoir, “Porta a porta”,
perderà  uno degli attori più prestigiosi. Con il nuovo incarico,
Bertinotti, non potrà  più partecipare così assiduamente. Ne
risentirà  lo spettacolo che la videocrazia imperante ci ha
garantito per molti anni. Pazienza ci resta sempre il Grande
Fratello e l’Isola dei Famosi.
Al di là  degli aspetti personali, ha stupito l’assoluta
superficialità  di chi ha gestito la faccenda delle cariche
istituzionali. I diesse, già  in non buonissima salute dopo il
risultato elettorale, si prendono un’altra sberla. Meritata? No,
ma cercata sì. Com’è possibile lanciare, senza averne verificato
prima la praticabilità , la candidatura di D’Alema dopo che per
mesi si è parlato di una presidenza Bertinotti? E scusate tanto
dirigenti diessini, ma aver affidato a Prodi la scelta del
candidato dell’Unione per i seggi di presidente della Camera e del
Senato non è una distorsione nel funzionamento delle istituzioni?
Avevamo capito che, nella ripartizione dei poteri, il legislativo
non è subordinato al potere dell’esecutivo: ha una sua autonomia.
E’ ben vero che il governo delle destre ha in questi cinque anni
lavorato per limitare e condizionare l’autonomia prevista dalla
Costituzione ed è vero che Berlusconi si è sentito non un capo di
un governo, ma il Capo di tutto senza riconoscere alcuna divisione
dei poteri. La polemica con la Magistratura è stata, da questo
punto di vista, esemplare. Un eletto dal popolo non può essere
giudicato da nessuno sostiene il leader di Forza Italia.
Rispetto al funzionamento delle istituzioni, gli illusi pensavano
che con la vittoria del centrosinistra le cose sarebbero cambiate.
Sembrerebbe di No. Non esiste al mondo una democrazia parlamentare
in cui il leader dell’esecutivo sia incaricato di indicare il
presidente di una assemblea legislativa. Il fatto che i partiti
avevano delegato a Prodi la scelta di chi votare per la presidenza
di Camera e Senato è la lampante dimostrazione della loro
inconsistenza politica. Forse il berlusconismo è uno stato
dell’anima difficile da rimuovere perchè trasversale e molto
diffuso nella politica italiana. Nel merito della scelta ormai
facile, visto la rinuncia di D’Alema, qualche perplessità  è
legittima. La pretesa del diritto al “posto” ha la sua
sgradevolezza. Non è piaciuta a molti la minaccia dell’appoggio
esterno in caso di non soddisfazione della richiesta del leader di
Rifondazione. Semplicemente inaccettabile in una situazione come
questa. Le elezioni non sono stati per nessuno una marcia
trionfale.
L’unità  della coalizione è un bene prezioso, sostiene il
presidente dei DS. Ed ha ragione quando sostiene che sacrifici di
partito e personali aiutano in un momento difficile. Ciò che non
aiuta è il pressappochismo di alcuni leader. Qualità  questa già 
dimostrata in una campagna elettorale sgangherata in cui il
cavaliere ha imposto con determinazione la sua ideologia da bar
dello sport. L’Italia è piena di bar dello sport e il
centrosinistra non lo ha ancora capito. Ed è per questo la destra
ha recuperato voti. Sarebbe stato possibile mettere in crisi i
“tifosi” con una campagna elettorale diversa? Si, sostengono in
molti. L’antipolitica si sconfigge con un profilo alto della
proposta politica ed è questo che è mancato nella campagna
elettorale dell’Ulivo. A partire dal metodo con cui formare le
liste dei candidati si doveva costruire un terreno diverso di
confronto con i valori portati avanti dalla destra berlusconiana.
Ad esempio il farfugliare sulle tasse invece di sostenere l’ovvia
verità  che le tasse servono per garantire servizi, è stata una
fesseria. Domanda: è meglio una tassazione equilibrata e
progressiva o il degrado dei servizi al cittadino? Le tasse sono
necessarie a pagare i servizi essenziali per la gente ed anche il
ceto medio benestante ha bisogno di una sanità  pubblica che
funziona e di una scuola pubblica capace di formare le nuove
generazioni. Certo un ristretto strato di popolazione può pagarsi
cliniche private ed università  all’estero, ma un sistema di sanità 
privata non solo è molto costoso per il singolo, ma produce costi
insopportabili per l’intera società . E’ su questo terreno che il
centrosinistra doveva sfidare Berlusconi e i suoi alleati. E’
stato fatto in maniera insufficiente, timorosa e con qualche
fesseria.
Invece di occuparsi soltanto di organigrammi, gli stagionati
leader dell’Unione dovrebbero cominciare a dirci le linee
essenziali del programma per ricostruire un Paese messo male, con
quali forze e nell’interesse di chi. Che Fassino e Rutelli
vogliano entrare nel governo come vice-presidenti di Prodi e
mantenere la guida dei rispettivi partiti non sembra una gran
trovata. E’ semplicemente un’altra conferma degli appetiti e della
qualità  di una parte del ceto politico.
Berlusconi si aspettava l’arrivo del settimo cavalleggeri e invece
l’amico americano G.W.Bush ha telefonato a Prodi per congratularsi
per la vittoria. La smetta, Prodi, con il suo mi telefona o no?
Berlusconi non intende dimettersi e ci vorrà  l’esercito per
liberare Palazzo Chigi. Occorre calma e serenità  anche se,
ascoltando i comizi del Berlusconi sconfitto, sembra di vivere il
finale del film di Moretti con la gente che brucia i palazzi.
Corriere dell’Umbria 23 aprile 2006

Troppo “pubblico” nella classe dirigente

Molto rumore per nulla? Questa volta il rumore rende evidente una
grave emergenza democratica. Si sono svolte elezioni che hanno
visto la partecipazione di una percentuale altissima di elettori.
Una pessima legge elettorale, voluta dalla destra, ha prodotto
comunque una maggioranza parlamentare che pur risicata al Senato,
consente comunque la formazione di un governo. Soltanto dopo
cinque giorni il Ministro degli Interni riconosce che le schede da
ricontrollare per le elezioni della Camera dei Deputati sono
duemilacentotrentuno. Errore materiale, dice il Ministro e i
brogli della sinistra, denunciati dalla Casa della Libertà, si
rivelano per quello che erano. L’ultima raffica di Salò si
potrebbe dire esagerando. L’ultima gag del cavaliere sconfitto se
si vuol essere buoni. Il Capo non riconosce di aver perso e il
mondo si stupisce. L’ira berlusconiana è comprensibile. Sconfitto
in piena “zona Cesarini” da un goal segnato da un oriundo. Una
beffa. Ma sconfitta è stata.
In sessanta anni di democrazia repubblicana è la prima volta che
un presidente del consiglio sconfitto non vuole farsi da parte.
Berlusconi non è mai stato un capo di governo capace di intendere
il funzionamento della democrazia. Nessuno ha vinto, dice il
Nostro. Eppure i numeri dicono il contrario: il centrodestra ha
perso, la coalizione diretta da Prodi ha vinto. Che fare? Allo
sbigottimento non può che seguire l’assunzione di responsabilità
di chi ha la maggioranza nei due rami del Parlamento senza altra
intenzione che fare bene il suo mestiere avendo come unico vincolo
l’interesse nazionale.
Che il Paese sia spaccato a metà è una banalità dei commentatori
politici che non hanno altro da scrivere. Non è la stessa cosa in
Inghilterra o in Usa o in Svezia e non lo è stato in Italia a
partire dal 1994?
Il voto comporta sempre una lacerazione tra schieramenti
contrapposti. La democrazia prevede una maggioranza e una
minoranza che hanno responsabilità diverse.
Prospettare un governo di larghe intese che metta assieme
Bertinotti, Prodi e Berlusconi è una bufala. Dopo cinque anni di
prepotenze della destra e dopo una campagna elettorale piena di
livore come è pensabile un tutti insieme appassionatamente? Un
governo con Previti alla Giustizia, Storace agli Interni e Bondi
alla Cultura? Volete consociarvi con i bollitori di bambini
signori e signore della destra? Tra Aldo Moro e Fabrizio Cicchitto
qualche differenza la nota anche Fassino.
L’Unione faccia il suo mestiere e cerchi di governare con le sue
forze. Ricostruire un terreno di rispetto reciproco richiede anni
di lavoro, mentre è urgente una svolta per risolvere i gravissimi
problemi lasciati dal governo delle destre.
Il centrosinistra dovrà analizzare con rigore un risultato
elettorale non esaltante. Perdere regioni conquistate soltanto un
anno fa non è cosa da poco. Qualche quesito rispetto alla qualità
dei governi regionali e locali è d’obbligo. La tracotanza di
qualche sindaco o presidente di regione del nord forse non ha
affascinato l’elettorato.
Anche il risultato umbro segna una qualche svolta rispetto a trend
elettorali consolidati. Non sarà l’inizio della fine come spera
qualche dirigente della destra umbra, ma è indubbio che si tratta,
per il centrosinistra, di un voto che mette in discussione la
qualità dell’offerta politica di molti partiti.
Il successo di Rifondazione e dello stesso PCDI può essere letto
attraverso la crisi di identità dei diessini. E’ un dato nazionale
che in Umbria si aggrava e sembra rendere obbligatoria la scelta
di andare alla costruzione del partito democratico. E’ una
scorciatoia o è la logica conclusione di un processo iniziato con
lo scioglimento del PCI? Per molti il partito democratico è un
elemento di chiarificazione e per altri di liberazione.
Terminerebbe una storia e forse ciò stimolerà la sinistra radicale
(?) a fare scelte di aggregazione. Mettere in un unico contenitore
Rutelli, Fabio Mussi, Cacciari e Renato Locchi, potrà sembrare una
forzatura, ma la strada sembra tracciata.
L’Ulivo ha confermato il dato delle elezioni europee e DS e
Margherita hanno subito un ridimensionamento significativo. Forza
Italia è rimasto il primo partito e Fassino ha mancato
l’obbiettivo di essere il Capo del più forte partito italiano. In
Umbria segretari, amministratori e varia umanità giustificano il
voto umbro prescindendo troppo dal loro lavoro. Forse sarebbe
tempo di riflettere meglio su come è percepito l’esercizio del
potere del ceto politico nella nostra comunità. Importante capire
perché la discussione politica si concentra sempre di più sui
destini dei singoli e mai sulle scelte da fare per innovare la
società umbra. Per quanto potrà durare tutto ciò?
Utile sarebbe un’indagine rigorosa sulla rappresentazione sociale
della classe dirigente amministrativa. A naso si può parlare di un
ceto politico che proviene prevalentemente dal settore pubblico.
Le conseguenze sono molto importanti. La carenza di rappresentanza
dei settori più dinamici della società e della cultura
impoveriscono il rapporto con i cittadini. Prevale l’autoconservazione
sul rinnovamento delle classi dirigenti facendo
emergere conservatorismo e debolezza progettuale.
La carriera, anche nei migliori, prevale sul progetto collettivo.
Che la politica sia un mondo a parte che coinvolge soltanto gli
addetti ai lavori e loro famigli è cosa nota. Che le spese per
l’autoriproduzione del ceto siano in espansione non aiuta a
conquistare voti. Come soddisfare l’esigenza di mantenere la
tenuta sociale dell’Umbria con la spesa pubblica da ridimensionare
per carenza di risorse? Certo i qualunquisti di sempre avranno
vita facile se non arriveranno, dal Centro e dalle periferie,
forti segnali di rinnovato rigore e di un’etica politica che
guardi all’interesse generale piuttosto che a quello del singolo.
Corriere dell’Umbria 16 aprile 2006

Troppo “pubblico” nella classe dirigente

Molto rumore per nulla? Questa volta il rumore rende evidente una
grave emergenza democratica. Si sono svolte elezioni che hanno
visto la partecipazione di una percentuale altissima di elettori.
Una pessima legge elettorale, voluta dalla destra, ha prodotto
comunque una maggioranza parlamentare che pur risicata al Senato,
consente comunque la formazione di un governo. Soltanto dopo
cinque giorni il Ministro degli Interni riconosce che le schede da
ricontrollare per le elezioni della Camera dei Deputati sono
duemilacentotrentuno. Errore materiale, dice il Ministro e i
brogli della sinistra, denunciati dalla Casa della Libertà , si
rivelano per quello che erano. L’ultima raffica di Salò si
potrebbe dire esagerando. L’ultima gag del cavaliere sconfitto se
si vuol essere buoni. Il Capo non riconosce di aver perso e il
mondo si stupisce. L’ira berlusconiana è comprensibile. Sconfitto
in piena “zona Cesarini” da un goal segnato da un oriundo. Una
beffa. Ma sconfitta è stata.
In sessanta anni di democrazia repubblicana è la prima volta che
un presidente del consiglio sconfitto non vuole farsi da parte.
Berlusconi non è mai stato un capo di governo capace di intendere
il funzionamento della democrazia. Nessuno ha vinto, dice il
Nostro. Eppure i numeri dicono il contrario: il centrodestra ha
perso, la coalizione diretta da Prodi ha vinto. Che fare? Allo
sbigottimento non può che seguire l’assunzione di responsabilità 
di chi ha la maggioranza nei due rami del Parlamento senza altra
intenzione che fare bene il suo mestiere avendo come unico vincolo
l’interesse nazionale.
Che il Paese sia spaccato a metà  è una banalità  dei commentatori
politici che non hanno altro da scrivere. Non è la stessa cosa in
Inghilterra o in Usa o in Svezia e non lo è stato in Italia a
partire dal 1994?
Il voto comporta sempre una lacerazione tra schieramenti
contrapposti. La democrazia prevede una maggioranza e una
minoranza che hanno responsabilità  diverse.
Prospettare un governo di larghe intese che metta assieme
Bertinotti, Prodi e Berlusconi è una bufala. Dopo cinque anni di
prepotenze della destra e dopo una campagna elettorale piena di
livore come è pensabile un tutti insieme appassionatamente? Un
governo con Previti alla Giustizia, Storace agli Interni e Bondi
alla Cultura? Volete consociarvi con i bollitori di bambini
signori e signore della destra? Tra Aldo Moro e Fabrizio Cicchitto
qualche differenza la nota anche Fassino.
L’Unione faccia il suo mestiere e cerchi di governare con le sue
forze. Ricostruire un terreno di rispetto reciproco richiede anni
di lavoro, mentre è urgente una svolta per risolvere i gravissimi
problemi lasciati dal governo delle destre.
Il centrosinistra dovrà  analizzare con rigore un risultato
elettorale non esaltante. Perdere regioni conquistate soltanto un
anno fa non è cosa da poco. Qualche quesito rispetto alla qualità 
dei governi regionali e locali è d’obbligo. La tracotanza di
qualche sindaco o presidente di regione del nord forse non ha
affascinato l’elettorato.
Anche il risultato umbro segna una qualche svolta rispetto a trend
elettorali consolidati. Non sarà  l’inizio della fine come spera
qualche dirigente della destra umbra, ma è indubbio che si tratta,
per il centrosinistra, di un voto che mette in discussione la
qualità  dell’offerta politica di molti partiti.
Il successo di Rifondazione e dello stesso PCDI può essere letto
attraverso la crisi di identità  dei diessini. E’ un dato nazionale
che in Umbria si aggrava e sembra rendere obbligatoria la scelta
di andare alla costruzione del partito democratico. E’ una
scorciatoia o è la logica conclusione di un processo iniziato con
lo scioglimento del PCI? Per molti il partito democratico è un
elemento di chiarificazione e per altri di liberazione.
Terminerebbe una storia e forse ciò stimolerà  la sinistra radicale
(?) a fare scelte di aggregazione. Mettere in un unico contenitore
Rutelli, Fabio Mussi, Cacciari e Renato Locchi, potrà  sembrare una
forzatura, ma la strada sembra tracciata.
L’Ulivo ha confermato il dato delle elezioni europee e DS e
Margherita hanno subito un ridimensionamento significativo. Forza
Italia è rimasto il primo partito e Fassino ha mancato
l’obbiettivo di essere il Capo del più forte partito italiano. In
Umbria segretari, amministratori e varia umanità  giustificano il
voto umbro prescindendo troppo dal loro lavoro. Forse sarebbe
tempo di riflettere meglio su come è percepito l’esercizio del
potere del ceto politico nella nostra comunità . Importante capire
perchè la discussione politica si concentra sempre di più sui
destini dei singoli e mai sulle scelte da fare per innovare la
società  umbra. Per quanto potrà  durare tutto ciò?
Utile sarebbe un’indagine rigorosa sulla rappresentazione sociale
della classe dirigente amministrativa. A naso si può parlare di un
ceto politico che proviene prevalentemente dal settore pubblico.
Le conseguenze sono molto importanti. La carenza di rappresentanza
dei settori più dinamici della società  e della cultura
impoveriscono il rapporto con i cittadini. Prevale l’autoconservazione
sul rinnovamento delle classi dirigenti facendo
emergere conservatorismo e debolezza progettuale.
La carriera, anche nei migliori, prevale sul progetto collettivo.
Che la politica sia un mondo a parte che coinvolge soltanto gli
addetti ai lavori e loro famigli è cosa nota. Che le spese per
l’autoriproduzione del ceto siano in espansione non aiuta a
conquistare voti. Come soddisfare l’esigenza di mantenere la
tenuta sociale dell’Umbria con la spesa pubblica da ridimensionare
per carenza di risorse? Certo i qualunquisti di sempre avranno
vita facile se non arriveranno, dal Centro e dalle periferie,
forti segnali di rinnovato rigore e di un’etica politica che
guardi all’interesse generale piuttosto che a quello del singolo.
Corriere dell’Umbria 16 aprile 2006

Campagna elettorale con molte volgarità 

I socialdemocratici svedesi sono stati al governo per molti
decenni prima di perdere le elezioni alla fine degli anni ottanta.
Come rivinsero le elezioni? Promettendo nuove tasse pur di
salvaguardare il loro welfare state. Dalla culla alla tomba, ogni
cittadino svedese può utilizzare la rete di servizi sociali,
culturali, assistenziali che la struttura pubblica garantisce con
efficienza e senza sprechi. Vi sono beni che non sono frutto del
libero mercato ma delle scelte della politica a vantaggio del
cittadino. Una tassazione giusta e rigorosa è meglio di servizi
pubblici inefficienti e disastrati: è questa la linea dei
riformisti del nord d’Europa. Ma il loro è un riformismo forte
capace di aggregare interessi e passione politica. Quello delle
nostri parti è un riformismo che sembra incapace di scegliere da
che parte stare.
Si dirà , siamo in Italia e qui da noi il rapporto cittadino e
Stato è sempre stato negativo. Può anche essere vero però che,
piuttosto che vedere un ulteriore degrado della sanità , della
scuola, dei trasporti pubblici e via elencando, sia possibile
vincere le elezioni anche parlando di tasse. Deve essere però un
discorso chiaro e facile a capirsi. La giusta proposta della
riduzione del cuneo fiscale ha un limite proprio nella
comprensibilità  di ciò che si vuole fare. E’ stato facile gioco
per Berlusconi inventarsi tasse sui BOT o sulla casa: se non basta
il terrore per i comunisti signori dell’infanticidio, inventiamoci
la paura delle nuove tasse. Il governo di centrodestra ha operato
in questi anni come un Robin Hood al contrario: ha tolto ai poveri
per dare ai ricchi. Ai poveri è stato tolto molto attraverso
l’abbassamento, rispetto al costo della vita, di stipendi e
pensioni. Ai ricchi è stato dato molto con favori fiscali d’ogni
genere e con le furbate del creativo Tremonti. Nel complesso la
distribuzione della ricchezza a vantaggio dei forti ha prodotto
come risultato l’impoverimento generale del Paese. E’ andata bene
alla famiglia Berlusconi se, nel solo 2005, ha ottenuto un
dividendo di 100 milioni di euro soltanto per Mediaset. Minor
bene pubblico a vantaggio del bene di pochi. Da qui bisogna
partire. Meravigliarsi perchè Berlusconi continui ad inventar
balle serve a poco. Alla radicalità  del cavaliere deve essere
contrapposta una radicalità  del centrosinistra nelle sue proposte
sapendo che, se sono serie, non possono accontentare tutti.
Ad esempio per la tassa di successione bisognerà  pur spiegare cosa
concretamente si propone e a quale scopo. Non sono molte le
famiglie che sono in grado di trasferire ai figli milioni di euro.
Se coloro che possono pagano qualche tassa, è legittimo anche per
l’ideologia liberale. Se i Casini o Bondi considerano la cosa come
frutto dell’estremismo di Prodi sono fatti loro.
Sono decenni che si parla in Italia di lotta all’evasione fiscale.
Forse è tempo di affrontare il problema con serietà . Impariamo
anche pessime cose dagli Stati Uniti. E’ forse il caso di
apprendere il loro sistema di contrasto all’evasione delle tasse.
Berlusconi ha seguito Bush in guerra, L’Unione imiti l’America
nella lotta ai furbi evasori fiscali.
Lo scadente appeal della politica è dovuto a molti fattori. Uno di
questi è la pessima prova data dal funzionamento della macchina
pubblica. Una questione questa che il programma dell’Unione
affronta in maniera insufficiente. La destra ha come programma il
proseguimento di quello già  fatto in questi anni, non si pone
nemmeno il problema. Ma per rinnovare si deve modificare alla
radice il modo di funzionamento e il modo di spendere della parte
pubblica. Per farlo c’è bisogno di analizzare quanto è successo in
questi anni ad ogni livello istituzionale. Regionalista convinto,
rimango persuaso che il potere più è decentrato e meglio è. Con la
maturità  è intervenuto qualche dubbio rispetto a comportamenti che
si sono radicati nelle varie istituzioni pubbliche. Ad esempio, ad
un esame dei costi e benefici, è stato un errore spezzettare la
presenza dell’immagine dell’Italia nel mondo in tante realtà 
locali. Le consolidate pessime performance del turismo italiano
sembrerebbe confermare il dubbio.
Viaggiando all’estero non succede di incontrare le “ambasciate”
della California, della Provenza o della Vestfalia. Dati ufficiosi
ricordano che la Lombardia ha diverse sedi di rappresentanza
sparse per il mondo, la Campania ha la sua sede anche a New York.
La nostra piccola Umbria per adesso ha ritenuto utile acquistare
una location a Bruxelles. In compenso alcuni dei nostri
amministratori hanno uno spiccato spirito internazionalista e
viaggiano molto. All’internazionalismo proletario si è sostituito
quello esotico.
Interessante sarebbe un bilancio dei risultati conseguiti, in
termini di afflussi economici o culturali per la nostra regione,
dal tourbillon all’estero della nostra finanziaria regionale,
delle camere di commercio e di altre strutture pubbliche. Diranno,
che c’entra il turismo amministrativo con la campagna elettorale?
C’entra e molto. Lo spreco nella finanza pubblica è uno dei
problemi che legittimano l’antipolitica e quindi il berlusconismo.
Se si vuol tornare ad una politica quale strumento decisivo
dell’emancipazione della gente bisogna sconfiggere tutto ciò che
alimenta il qualunquismo. Il rigore non è un orpello ottocentesco.
Bisognerà  che questa tematica entri nelle priorità  del
centrosinistra.
E’ confermata anche in quest’ultima settimana la tendenza a
trasferire soltanto nei mass media la campagna elettorale con
molte volgarità  e pessimo spettacolo.
Pochissimi anche gli “incontri conviviali” dove il candidato di
turno chiedeva risorse in cambio di qualche battuta politica.
Come è noto i concorrenti non ci sono più, sono già  stati scelti.
Soltanto per cambiare quest’orrenda legge elettorale si dovrebbe
andare a votare.
Corriere dell’Umbria 2 aprile 2006