Il sistema scricchiola

Un angosciante quesito scuote il centrosinistra: la bulimia
televisiva di Berlusconi è cosa buona per l’Unione considerando
che la plateale prepotenza del Capo potrebbe indurre al rifiuto? O
c’è il rischio che il centrodestra recuperi voti proprio grazie
all’uragano televisivo del cavaliere?
I sondaggisti non risolvono il problema, ma in un Paese tramortito
come il nostro anche una campagna elettorale fatta d’insulti,
ilarità  da avanspettacolo e grida invereconde può riservare
pessime sorprese per il centrosinistra.
Il teatrino della politica non è prerogativa della destra. Attori
di primo livello dell’Unione, hanno in questi anni popolato
salotti e boudoir televisivi non sempre esprimendo una qualità 
politica entusiasmante, anzi. Al di là  dell’appeal televisivo dei
dirigenti politici dell’Unione, ciò che è stato micidiale è l’aver
partecipato attivamente alla costruzione di una politica autonoma
dal sentire della gente. Una politica che si chiude alle
problematiche del vissuto quotidiano dei cittadini a cui non si sa
più rispondere se non assestato in un salotto tv più o meno
civile.
L’aver marginalizzato il rapporto diretto con i militanti e con
l’elettorato è stato per il centrosinistra un micidiale errore.
Sostituire i partiti di massa con le convention e con apparati
funzionanti soltanto in occasione delle campagne elettorali non è
stata una gran trovata. Il centrosinistra poteva utilizzare la
spinta delle primarie di ottobre ed invece tutta la partita
candidati è giocata a Roma con tutte le sgradevolezze della
ripartizione dei posti. Senza falso moralismo è chiaro che se
tutto deve essere deciso tra i segretari nazionali dei partiti è
scontato che la mobilitazione necessaria non ci sarà . Nel merito
le prime notizie sui possibili candidati umbri del centrosinistra
sono confortanti. Sembrerebbe che questa volta molti parlamentari
saranno espressione della classe politica regionale senza troppi
leader e leaderini nazionali. Certo anche in Umbria tutte le liste
saranno aperte dai Capi, ma il meccanismo prevede che il Capo
eletto poi si dimette a vantaggio del secondo della lista.
Procedimento strano, ma la berlusconite va assieme alla leaderite,
malattia senile anche dell’Unione.
Saggezza politica vorrebbe che Prodi sfuggisse al meccanismo
rissaiolo messo in piedi dal cavaliere. Purtroppo ciò non succede.
Una scuola di pensiero sostiene che i leader del centrosinistra
meno parlano e meglio sarebbe. Ma forse è una esagerazione.
Pensare prima di aprir bocca di fronte ad un microfono è esercizio
obbligatorio, mentre rincorrere Berlusconi nel suo stesso terreno
non è consigliabile. La disparità  dei mezzi a disposizione è tale
da suggerire altre strade. Berlusconi ha dalla sua quattrini,
televisioni, squadre di calcio, case editoriali e una pletora di
yes man in ogni ambiente. E non teme confronti quando si tratta di
inventarsi sogni. Ed ha ragione, il cavaliere, quando dice che Lui
l’Italia è riuscito a cambiarla. E’ vero. Che l’abbia cambiata in
peggio è questione secondaria. Importante è cambiare.
La risorsa fondamentale dell’Unione è il popolo quello di carne ed
ossa, non solo quello della televisione. Quando si tratta di
scegliere valori e progetti su cui chiedere il consenso politico
ed elettorale, ricordarselo non sarebbe male.
Comunque è certo che per adesso un risultato Berlusconi lo va
ottenendo. Non si parla di bilanci del lavoro fatto dal governo di
centrodestra e i programmi della coalizione dell’Unione restano
sullo sfondo. Siamo ancora alle duecentosettanta pagine prodotte
dal lavoro degli esperti di centrosinistra. Non è tempo di
chiarire quali sono le priorità  da portare al governo del Paese?
Sarebbe utile capire cosa intende fare Prodi rispetto alla
gravissima crisi economica del Paese e quali scelte saranno fatte
per riattivare un processo virtuoso di sviluppo.
Negli anni trascorsi al governo Berlusconi ha spostato risorse da
una parte all’altra della società  e la forbice tra ricchi e poveri
si è ulteriormente allargata. Il lavoro ha perso peso ed è
diventato ancor più precario. Non la flessibilità  è stata
introdotta, ma una sorta d’angoscia permanente per giovani e meno
giovani quando si tratta di trovare e mantenere un lavoro decente.
L’abbassamento dei tassi di disoccupazione sono una balla che
nasconde stipendi da fame e instabilità  occupazionale.
In Italia è stata fatta una politica di classe esattamente come
negli USA. Capisco che usare il termine classe può apparire
arcaico in tempi in cui si giudica la gente per ciò che riesce a
consumare e non per come partecipa al processo di formazione della
ricchezza nazionale. Rimane il fatto che molti dei provvedimenti
presi dal centrodestra hanno privilegiato alcuni(non solo
Berlusconi) e penalizzato gli altri, la parte dei lavoratori, del
ceto medio e dei pensionati. Dal centrosinistra molti si aspettano
un’inversione di tendenza che sia capace di riattivare un
meccanismo di sviluppo che abbia come faro non tanto il dio
mercato, ma uno spostamento di risorse verso la parte della
società  che più ha sofferto l’impoverimento dell’Italia.
In Umbria si è conclusa la discussione sul documento di
programmazione annuale. E’ stata una discussione utile? Novità 
poche, ma almeno si è tentato di riattivare un processo di
partecipazione dal basso. Non è andata benissimo, ma l’importante
è provarci. Il centrodestra ha molto contrastato le tesi di fondo
del DAP, ma principalmente ha difeso l’azione del governo
Berlusconi e si capisce perchè.
Si capisce meno il permanere di un tranquillo ottimismo da parte
del centrosinistra umbro. Evitare ogni visione catastrofica è cosa
saggia. Lo è meno non dar segno di avvertire gli scricchiolii di
un sistema, quello umbro, che vede venir meno risorse
significative in tutti i settori.
Corriere dell’Umbria 29 gennaio 2006

Ha ballato una sola estate

Il recente lavoro di Renato Covino, il saggio titolato
“Equilibristi sulla palude”, ha il grande merito di ricordare a
tutti noi il percorso economico, politico e sociale di una
comunità . Posso immaginare che all’autore il concetto di comunità 
non piaccia. E’ poco scientifico ed è diverso da una visione
delle cose costruita dal conflitto tra classi sociali. Eppure
bisognerà  pur chiedersi perchè ad una certa fase degli anni
ricordati da Covino, una comunità  degli umbri ha avuto il
sopravvento non tanto su una visione di classe, ma certamente in
quello delle municipalità  e l’interesse generale è riuscito a
contenere il localismo notoriamente brodo di cultura della “nuova
classe” dirigente al potere. Gli anni ottanta e novanta sono
frutto esclusivo dei limiti del lavoro delle classi dirigenti
umbre o sono piuttosto il risultato di processi che gli umbri
potevano soltanto parzialmente contrastare? E’ dimostrabile con
dati e fatti che l’idea di costruire una regione aperta al
contributo delle forze più dinamiche della società  ebbe successo.
Un successo forse effimero, ma il cambiamento fu avviato e per una
fase non fummo più considerati come un quartiere di Roma, ma
appunto una forte comunità .
Nei primi anni settanta il regionalismo italiano ebbe come
protagonisti essenziali gli esecutivi di Toscana, Lombardia,
Umbria ed Emilia-Romagna. La classe dirigente politico
amministrativa consolidata in quei tempi ha svolto per molti anni
un ruolo nazionale di tutto rispetto in molti partiti.
Nonostante competenze marginali e risorse finanziarie risibili in
gran parte dei settori economici, l’impegno amministrativo e
legislativo della giunta diretta da Conti riuscì a sollecitare
l’innovazione di molto del sistema economico e sociale anche
grazie al rapporto con un ceto imprenditoriale fortemente
impegnato nell’internazionalizzazione dei propri marchi. Decisiva
fu una diffusa spinta partecipativa di forze culturali e della
società  civile.
Lo stesso welfare in costruzione non riproduceva il conosciuto.
Nella sanità , con le pratiche innovative nella psichiatria o sulla
salute in fabbrica, non si costruiva assistenzialismo ma invece
delle novità  assolute per l’Italia.
Covino ricorda come il movimento di massa si articolò in
associazioni economiche e culturali molto diffuse nel territorio
grazie al sostegno anche materiale della Regione. Democrazia e
partecipazione si rafforzarono in modo significativo.
Si trattò di una rete assistita dal pubblico o di qualcosa di
diverso? Le opinioni sono al riguardo differenti. A mio parere ciò
che è stato decisivo in quegli anni, è stata la capacità  del ceto
politico di andare oltre i confini della normale amministrazione
rendendo evidente l’utilità  dello sviluppo dello stato sociale
locale. Forzature ed errori vi furono e sarebbe utile una
discussione non solo storica al riguardo. Lo “sviluppismo” di
quella stagione qualche danno di cultura politica lo ha prodotto.
Ciò che non corrisponde al vero è che la modernizzazione
dell’Umbria sia avvenuta grazie a quella sorta di scambio
sviluppo- bassi salari che emerge dallo scritto di Covino.
Lo scambio non era possibile anche perchè mancavano i presupposti
formali, oltre che volontà  politica. Non esisteva allora alcuna
procedura di “concertazione” tra parti sociali e istituzioni. Le
competenze regionali sulle materie industriali non avevano alcuna
rilevanza e le risorse erano inesistenti.
I bassi salari umbri derivavano (e derivano) da una struttura
produttiva a basi ristrette ed a bassa capitalizzazione.
I rapporti di forza erano quelli che erano. Le imprese industriali
erano diffuse a macchia di leopardo e in intere zone prevaleva il
sottosviluppo. L’alto tasso di disoccupazione non aiutava certo
il movimento sindacale a sviluppare lotte per più alti salari. La
volontà  politica degli amministratori c’entra poco. Comunque anche
i bassi salari non riguardavano tutti i lavoratori. Ad esempio che
ricordi, i trattamenti economici e normativi vigenti nel gruppo
Buitoni-Perugina sono stati per anni tra i più avanzati del Paese.
Nel comparto industriale di Terni i salari e stipendi non erano
dissimili da quelli del Nord. Le operaie della ElleEsse non erano
affatto sottopagate come non lo erano i metalmeccanici di molte
fabbriche del perugino.
Covino descrive con alcuni ragionamenti l’impatto della seconda
crisi petrolifera nell’economia regionale. Sono stati anni
drammatici quelli sulla fine degli anni settanta ed inizio anni
ottanta. Ad uno ad uno scompaiono interi gruppi industriali e
un’intera classe imprenditoriale si dissolve come neve al sole.
Si riprodusse quella “palude” da cui eravamo usciti soltanto da
pochi decenni? Non sono convinto. Forse sarebbe utile approfondire
le ragioni politiche che hanno reso più difficile organizzare la
risposta alla crisi dell’economia consolidata negli anni sessanta
e settanta. Una risposta fu tentata e con qualche risultato. La
scelta della Giunta diretta da Marri di stabilire un rapporto con
i programmi inerenti i Fondi strutturali europei unita a tutta la
progettazione per accedere al Fondi Investimenti Occupazione,
spostò l’asse amministrativo della regione e di molte
amministrazioni comunali. Per anni la regione dell’Umbria è stata
tra gli enti pubblici italiani che ha utilizzato meglio le risorse
di Bruxelles grazie ad una progettazione ad alto impatto
innovativo. Responsabilità  gravi nel ritardo nell’innovazione del
settore industriale vanno ricondotte tutte al conservatorismo
della Confindustria Umbra e non alla mancanza d’idee della
pubblica amministrazione locale e regionale.
L’impegno di allora non è stato sufficiente troppi i vincoli
esterni negativi. Le linee dei partiti nazionali andarono in altra
direzione. Analizzandole scopriremmo che le scelte di Roma hanno
tramortito l’esperienza regionale. Il regionalismo ha ballato una
sola estate. La prima legislatura. Poi ha stravinto un centralismo
“consociativo”. Tutti i gruppi dirigenti dei partiti nazionali
scelsero la strada del “ridimensionamento” del ruolo delle regioni.
Esemplare fu la scelta dei decreti delegati del 1977. Covino
definisce il decreto 616 come insufficiente. In realtà  si tratta
della certificazione di una riforma fatta a metà  in cui ciò che
sembra morto, il centralismo, torna e mangia il vivo, l’autonomia
regionale. Ricordate la stagione dei grandi sindaci? Nelle scelte
della sinistra scompaiono le regioni come motore della riforma
istituzionale. Si considerano in sostanza enti inutili. Si
preferisce l’autonomia comunale con le Province a sopravvivere
fino a nuovo ordine. Ed il potere si riconcentra nei palazzi della
politica romana. Cossutta era in quegli anni responsabile del
decisivo settore delle autonomie locali del PCI. No comment.
Non si tratta di un processo ininfluente rispetto alle difficoltà 
degli anni ottanta e novanta. Limite dell’attuale classe dirigente
è proprio il non aver studiato a dovere il fallimento della prima
esperienza regionalista. E’ noto il mio parere rispetto alle
improvvisazioni istituzionale dei nostri eroi al potere. Covino
non è nel giusto quando sottovaluta la cesura formidabile
introdotta dall’occhettismo anche in materia istituzionale.
Il disastro politico della cosiddetta seconda repubblica è sotto
gli occhi di tutti. Pochi avvertono che il consolidarsi di una
specie di notabilato castale al potere è figlio legittimo
dell’ideologia nuovista che ha precisi responsabili e
riscontrabili cadenze temporali. Non so bene chi fossero gli
innovatori e chi i pragmatici nella sinistra della fine degli anni
ottanta.
Ricordo con esattezza il disagio di dover spiegare a persone
acculturate e intelligenti che la politica, per la sinistra, serve
a modificare lo stato di cose esistenti utilizzando tutte le
risorse possibili, anche la spesa pubblica.
Magari avendo qualche idea che travalica il quotidiano. Le
risibili polemiche attorno al partito dei lavori pubblici ed al
ruolo dell’Ufficio del Piano furono la conferma del cambiamento di
scenario: anche in Umbria arrivava l’onda lunga del liberalismo e
del ridimensionamento del ruolo del pubblico nella vita della
comunità . Adesso anche noi siamo trendy e grazie al berlusconismo
rimarremo al potere per altre numerose legislature. Gli
equilibristi ci guideranno verso traguardi luminosi.
Micropolis gennaio 2006

Quel centralismo poco democratico

Sono stato a trovare mio figlio e mio nipote. Vivono a Londra e
così, nelle piovose serate londinesi, mi sono divertito a guardare
la televisione inglese. Molti programmi simili ai nostri, giochi e
grandi fratelli non mancano. Niente “veline” e toni calmi anche
nei dibattiti politici. Ciò che è assente anche nei telegiornali,
è il ceto politico. Brevissime interviste e le notizie sono
notizie e non commenti dei conduttori delle trasmissioni. In sette
serate non ho mai ascoltato comizi televisivi di Tony Blair.
Mi dicono che in Italia nell’ultima settimana l’amico di Blair, il
cavalier Berlusconi, è apparso in tv in tutti i programmi di
maggior ascolto parlando per tutto il tempo che ha voluto. Ho
letto dell’appello di Ciampi alla correttezza nella ripartizione
delle apparizioni televisive dei politici. Per tutta risposta in
un giorno il Capo ha comiziato ad “Uno mattina”, occupato Isoradio,
prenotato un’ apparizione al programma di approfondimento dopo il
TG delle 20 e organizzato una presenza di qualche ora a Rai 2 e a
Canale 5. Annunciate seicentomila lettere del cavaliere di Arcore
a tutti i bambini nati nel 2005. Il Nostro comunica la regalia di
1000 euro ad infante. Una vera tormenta mass-mediologica quella
del Capo del Governo. Non tenzone elettorale, dice il cavaliere ma
scontro di civiltà  e la sua, come si è visto in questi anni, è una
affascinante civiltà .
Noi italiani abbiamo bisogno di certezze e gli sproloqui di
Berlusconi lo sono, mi sono detto. Riflettendo ho capito che siamo
di fronte ad un disastro democratico. La democrazia è un fiore
delicato, facile da rovinare. Quando le regole democratiche
vengono stravolte può succedere di tutto e la responsabilità  non è
del solo Berlusconi.
Porto un esempio. Il centrosinistra è stato giustamente orgoglioso
del risultato delle primarie. Inaspettato e immeritato forse visto
la sufficienza dei gruppi dirigenti dei partiti rispetto alle
primarie. Ma milioni di persone hanno partecipato alla scelta del
leader della coalizione e tutti hanno enfatizzato il fatto. Il
centrodestra è apparso allo sbando e Berlusconi illividito.
Sembrava ovvio che i partiti del centrosinistra avrebbero
utilizzato questo meccanismo partecipativo per la scelta dei
candidati al futuro parlamento. Invece di organizzare una vasta
campagna di partecipazione, i nostri eroi hanno ricominciato a
discutere animatamente tra loro dell’esigenza di creare un partito
democratico! Scusate tanto. Che urgenza c’è? Non potete trattare
del nuovo partito dopo le elezioni? Si capisce poco perchè con un
sistema para-proporzionale i DS e Margherita si presentino alla
Camera con una sola lista, ma aprire a gennaio un’altra puntata
della telenovela iniziata dieci anni or sono è apparsa al popolo
del centrosinistra una sorta di follia.
Nel merito poi qualche perplessità  il sottoscritto la mantiene. La
mia perplessità  è ininfluente, ma immaginare in Umbria uno stesso
partito per Bocci e la Lorenzetti mi sembra richiedere molta
fantasia. Già  l’alleanza in Regione appare in certe fasi
tormentata. Figuriamoci una militanza comune dentro un solo
contenitore politico. Ma posso sbagliare e alla fine la fusione
avverrà . Per adesso sembrerebbe meglio schierare le forze per
vincere le elezioni e rinviare al dopo Berlusconi, se ci sarà , la
disputa .
I commentatori più avvertiti ritengono che la bagarre aperta da
Prodi sul partito democratico sia stata funzionale ad una stretta
sulle liste dei candidati alle elezioni. Un’operazione, quella
della ripartizione dei seggi, non semplice. L’orrenda legge
elettorale impone la costruzione di liste organizzate in modo da
sapere “prima” chi sarà  eletto. Non essendoci la preferenza ma
solo il voto al partito, è decisivo collocarsi nei primi posti
della lista. Partita durissima le cui regole sono in genere
sconosciute all’elettore. I problemi sono molti: la ripartizione
tra i partiti, la giusta quota di donne elette, le competenze da
assicurare in parlamento. Si è aperta così a Roma una discussione
non da poco. Quanti degli eletti saranno DS? Quanti della
Margherita? Quanti uomini e donne di fiducia di Prodi? L’accordo
sembra fatto: sessanta per cento i DS, quaranta per cento per la
Margherita e una ventina di parlamentari i prodiani doc. Chi e in
base a quali criteri ha deciso? Si chiede di sapere troppo?
Gli incastri sono molti e molte le legittime aspettative di una
classe politica molto autoreferenziale. Passare dal meccanismo
delle primarie, che tanto successo ha avuto, a quello dei pochi
decisori romani non è cosa da poco e qualche domanda la provoca.
Una democrazia vitale richiederebbe ben altre procedure. Siamo in
una situazione di emergenza democratica dice D’Alema con qualche
ragione. Soltanto il presidente Ciampi sembra voler contenere
questa follia istituzionale di fine legislatura.
Si dirà , giustamente, che i berluscones non solo hanno voluto una
pessima legge elettorale ed è il solo cavaliere a decidere gli
eletti della Sua squadra. Si può osservare che Forza Italia è un
partito a proprietà  privata, il centrosinistra dovrebbe essere
altra cosa. O no? Come sono scelti i candidati da eleggere in
Umbria, la scelta è di esclusiva competenza romana? Non si rischia
la schizofrenia quando si sostiene una repubblica federale mentre
la classe dirigente politica regionale viene scelta
sistematicamente attraverso accordi centralizzati? Il rischio è
evidente. Al di là  delle questioni di principio, che per il
centrosinistra non dovrebbero essere un orpello, c’è il problema
della rappresentanza. Storicamente l’Umbria ha avuto eccellenti
parlamentari, alcuni umbri ed altri eletti nella nostra terra.
Nessuna tentazione localistica. La questione è la qualità  del
candidato e non sempre a Roma c’è più intelligenza politica che a
Perugia o a Terni. Nessuno dimentica l’onorevole Adornato eletto
dalla sinistra umbra e transumato verso il cavaliere di Arcore.
Corriere dell’Umbria 2006

UNIPOL, una solidarietà che non c’è

Quel movimento di massa riconducibile alla cooperazione tra gli
uomini e le donne, diffusosi dall’Inghilterra della rivoluzione
industriale come difesa dalla crudeltà delle condizioni di vita
dei lavoratori, ha storicamente avuto limpidi scopi: produrre
ricchezza in modo solidale, avere assistenza, difendere il proprio
potere di acquisto. Quel moto realizzato dal movimento operaio è
cresciuto negli anni in ogni angolo del globo.
Nel mondo globalizzato le persone che lavorano in forma
cooperativa, aderenti all’Alleanza Cooperativa Internazionale,
sono oltre 750 milioni. L’ACI è un’associazione che non ha uguali
per numero di organizzati e per diffusione.
Il terzo settore italiano rappresenta una parte significativa
della struttura economica del Paese ed è l’unico che dalla crisi
degli anni ’90 è uscito ristrutturandosi anche allargando la
propria base economica ed occupazionale. Settori strategici come
la grande distribuzione hanno come protagoniste fondamentali
imprese cooperative, uniche a contrastare le grandi corporation
europee e mondiali del settore. Soltanto una sorta di cieco
provincialismo può considerare le cooperative come un fatto
residuale dei vecchi movimenti solidaristici dell’ottocento. Le
coop sono le imprese che più crescono nel nostro Paese da qui
bisogna partire.
L’esplodere dell’affair “Unipol-BNL” ha prodotto una violenta
polemica non solo tra i berluscones e i diesse, ma anche
all’interno di tutto il centrosinistra. Non si tratta di un
complotto, ma di qualcosa di più bizzarro. Non è stravagante
accusare Fassino perché si è interessato di come andava l’OPA di
Unipol sulla BNL? Il capo del maggior partito italiano non deve
essere informato di un fatto economico di tale rilevanza? Che cosa
centra la commistione tra affari e politica? Dei comportamenti e
dei rapporti di Consorte con gli “scalatori” di RCS e di
Ambronveneta è responsabile Consorte non certo il segretario
diessino. Tifare per Abete è consentito e per l’Unipol no? Perché?
La “colpa” della sinistra è di ben altra natura. Ed è tutta
politica. Ideologica si potrebbe dire, gli affari centrano poco.
Uno storico dirigente della sinistra, Bruno Trentin, ha scritto
che il mondo della cooperazione ha perso l’anima. L’onorevole
Bersani ha detto che le “coop hanno cambiato faccia e natura”
senza che i diesse ne razionalizzassero il cambiamento. Non sono
affermazioni di poco conto, ma bisogna andare più a fondo del
problema. L’analisi forse confermerebbe che inseguire l’avversario
politico utilizzando la stessa concezione del mondo porta in una
strada in cui è la sinistra che può perdere l’anima. E’ ormai
introitato anche nella sinistra l’idea che la politica è la
semplice gestione dell’esistente all’interno di orizzonti fissati
dall’ideologia liberista imperante. Nessuna riflessione seria è
stata fatta. Ad esempio, sulla politica delle privatizzazioni. Con
quelle già realizzate è migliorata la concorrenza? I consumatori
hanno tratto qualche vantaggio o le tariffe sono aumentate e i
servizi peggiorati? Anche il mondo delle coop ha subito il fascino
del libero mercato e delle governance fatte dai manager che
decidono tutto sulla testa dei soci e dei lavoratori?
Bisognerebbe discutere di questo dando per acquisito che una
sinistra senza etica non può vivere. Cooperare senza una forte
eticità non avrebbe senso. La discussione dovrebbe essere
trasparente e non può riguardare solo i DS. Ritenere che si potrà
lucrare qualche voto dalla difficoltà di Fassino e D’Alema è un
grave errore sia per Rutelli che per gli altri unionisti.
L’Unione può battere la destra soltanto se i diessini riusciranno
a contrastare la campagna mediatica che si è scatenata contro di
loro. Quando il maggior quotidiano italiano pubblica quindici
pagine di notizie, interviste e commenti sulla vicenda
dell’Unipol, forse non si deve parlare di complotto, ma c’entra
poco anche la libertà d’informazione.
Utile sarebbe, per il centrosinistra, evitare forzature che
c’entrano poco con la morale che, insisto, è un pre-condizione per
un dirigente della sinistra. Un palpito leggero di solidarietà
sarebbe educato tra alleati.
Il segretario umbro di Rifondazione ha, attraverso l’agenzia del
consiglio regionale, espresso giudizi molto aspri rispetto alle
intercettazioni delle telefonate di Fassino. Giudizi che non
aiuteranno la discussione. Ma più interessanti sono le
dichiarazione di Vinti sul mondo della cooperazione anche umbra.
Vinti dice: “…il movimento cooperativo recuperi valori fondanti ed
originari…Per farlo è necessario che le risorse, spesso di
provenienza pubblica, siano investite per accrescere la qualità
del lavoro, accantonando ogni tentazione di sfruttamento delle
quali vediamo esempi in alcune cooperative sociali, anche umbre,
nelle quali troppo spesso si sacrifica la stessa dignità del socio
lavoratore.” Punto a capo, si potrebbe dire. Vinti è un
consigliere regionale che altre volte ha affrontato, con
comunicati, la questione delle cooperative sociali umbre.
Rifondazione è al potere nella nostra regione. Possibile che
nessuno si senta in dovere di dire qualcosa in merito a quanto
denunciato dal segretario? E il segretario non ha altri strumenti
d’intervento su un problema così delicato?
Comincia alla grande il 2006. Scopriamo che Berlusconi facendo
politica ci ha rimesso quattrini. Eravamo convinti del contrario
fuorviati dalla propaganda comunista. Evidentemente lo stato
patrimoniale della famiglia Berlusconi nel 1994, l’anno della
scesa in campo del cavaliere, era migliore dello stato
patrimoniale del 2005. I bilanci di Fininvest e di Mediaset dicono
il contrario, ma forse si tratta di errori di stampa.
Corriere dell’Umbria 8 gennaio 2005

UNIPOL, una solidarietà  che non c’è

Quel movimento di massa riconducibile alla cooperazione tra gli
uomini e le donne, diffusosi dall’Inghilterra della rivoluzione
industriale come difesa dalla crudeltà  delle condizioni di vita
dei lavoratori, ha storicamente avuto limpidi scopi: produrre
ricchezza in modo solidale, avere assistenza, difendere il proprio
potere di acquisto. Quel moto realizzato dal movimento operaio è
cresciuto negli anni in ogni angolo del globo.
Nel mondo globalizzato le persone che lavorano in forma
cooperativa, aderenti all’Alleanza Cooperativa Internazionale,
sono oltre 750 milioni. L’ACI è un’associazione che non ha uguali
per numero di organizzati e per diffusione.
Il terzo settore italiano rappresenta una parte significativa
della struttura economica del Paese ed è l’unico che dalla crisi
degli anni ’90 è uscito ristrutturandosi anche allargando la
propria base economica ed occupazionale. Settori strategici come
la grande distribuzione hanno come protagoniste fondamentali
imprese cooperative, uniche a contrastare le grandi corporation
europee e mondiali del settore. Soltanto una sorta di cieco
provincialismo può considerare le cooperative come un fatto
residuale dei vecchi movimenti solidaristici dell’ottocento. Le
coop sono le imprese che più crescono nel nostro Paese da qui
bisogna partire.
L’esplodere dell’affair “Unipol-BNL” ha prodotto una violenta
polemica non solo tra i berluscones e i diesse, ma anche
all’interno di tutto il centrosinistra. Non si tratta di un
complotto, ma di qualcosa di più bizzarro. Non è stravagante
accusare Fassino perchè si è interessato di come andava l’OPA di
Unipol sulla BNL? Il capo del maggior partito italiano non deve
essere informato di un fatto economico di tale rilevanza? Che cosa
centra la commistione tra affari e politica? Dei comportamenti e
dei rapporti di Consorte con gli “scalatori” di RCS e di
Ambronveneta è responsabile Consorte non certo il segretario
diessino. Tifare per Abete è consentito e per l’Unipol no? Perchè?
La “colpa” della sinistra è di ben altra natura. Ed è tutta
politica. Ideologica si potrebbe dire, gli affari centrano poco.
Uno storico dirigente della sinistra, Bruno Trentin, ha scritto
che il mondo della cooperazione ha perso l’anima. L’onorevole
Bersani ha detto che le “coop hanno cambiato faccia e natura”
senza che i diesse ne razionalizzassero il cambiamento. Non sono
affermazioni di poco conto, ma bisogna andare più a fondo del
problema. L’analisi forse confermerebbe che inseguire l’avversario
politico utilizzando la stessa concezione del mondo porta in una
strada in cui è la sinistra che può perdere l’anima. E’ ormai
introitato anche nella sinistra l’idea che la politica è la
semplice gestione dell’esistente all’interno di orizzonti fissati
dall’ideologia liberista imperante. Nessuna riflessione seria è
stata fatta. Ad esempio, sulla politica delle privatizzazioni. Con
quelle già  realizzate è migliorata la concorrenza? I consumatori
hanno tratto qualche vantaggio o le tariffe sono aumentate e i
servizi peggiorati? Anche il mondo delle coop ha subito il fascino
del libero mercato e delle governance fatte dai manager che
decidono tutto sulla testa dei soci e dei lavoratori?
Bisognerebbe discutere di questo dando per acquisito che una
sinistra senza etica non può vivere. Cooperare senza una forte
eticità  non avrebbe senso. La discussione dovrebbe essere
trasparente e non può riguardare solo i DS. Ritenere che si potrà 
lucrare qualche voto dalla difficoltà  di Fassino e D’Alema è un
grave errore sia per Rutelli che per gli altri unionisti.
L’Unione può battere la destra soltanto se i diessini riusciranno
a contrastare la campagna mediatica che si è scatenata contro di
loro. Quando il maggior quotidiano italiano pubblica quindici
pagine di notizie, interviste e commenti sulla vicenda
dell’Unipol, forse non si deve parlare di complotto, ma c’entra
poco anche la libertà  d’informazione.
Utile sarebbe, per il centrosinistra, evitare forzature che
c’entrano poco con la morale che, insisto, è un pre-condizione per
un dirigente della sinistra. Un palpito leggero di solidarietà 
sarebbe educato tra alleati.
Il segretario umbro di Rifondazione ha, attraverso l’agenzia del
consiglio regionale, espresso giudizi molto aspri rispetto alle
intercettazioni delle telefonate di Fassino. Giudizi che non
aiuteranno la discussione. Ma più interessanti sono le
dichiarazione di Vinti sul mondo della cooperazione anche umbra.
Vinti dice: “”¦il movimento cooperativo recuperi valori fondanti ed
originari”¦Per farlo è necessario che le risorse, spesso di
provenienza pubblica, siano investite per accrescere la qualità 
del lavoro, accantonando ogni tentazione di sfruttamento delle
quali vediamo esempi in alcune cooperative sociali, anche umbre,
nelle quali troppo spesso si sacrifica la stessa dignità  del socio
lavoratore.” Punto a capo, si potrebbe dire. Vinti è un
consigliere regionale che altre volte ha affrontato, con
comunicati, la questione delle cooperative sociali umbre.
Rifondazione è al potere nella nostra regione. Possibile che
nessuno si senta in dovere di dire qualcosa in merito a quanto
denunciato dal segretario? E il segretario non ha altri strumenti
d’intervento su un problema così delicato?
Comincia alla grande il 2006. Scopriamo che Berlusconi facendo
politica ci ha rimesso quattrini. Eravamo convinti del contrario
fuorviati dalla propaganda comunista. Evidentemente lo stato
patrimoniale della famiglia Berlusconi nel 1994, l’anno della
scesa in campo del cavaliere, era migliore dello stato
patrimoniale del 2005. I bilanci di Fininvest e di Mediaset dicono
il contrario, ma forse si tratta di errori di stampa.
Corriere dell’Umbria 8 gennaio 2005