Sciopero sacrosanto, governo sordo

Nel passato, non tanto remoto, uno sciopero generale indetto dalle
confederazioni sindacali poteva provocare la crisi dell’esecutivo
se l’oggetto dello sciopero era la politica del governo. Nell’era
del berlusconismo di scioperi generali ve ne sono stati sei, e
tutte le manifestazioni erano contro l’azione del gabinetto
guidato da Berlusconi. Il 41% della forza lavoro non ha avuto
rinnovato il proprio contratto di lavoro, la finanziaria per il
2006 taglia agli enti locali sostanziali trasferimenti per i
servizi sociali, la sanità  pubblica rischia alla grande in
mancanza di risorse certe. In Umbria mancheranno circa 100 milioni
di euro soltanto per la sanità . A voglia mettere ticket assessore
Riommi!
Uno sciopero pieno di contenuti non generici, quindi. Nonostante
questo: noi tireremo dritto, fa capire Berlusconi. I motivi dello
sciopero non sembrano interessare il cavaliere. Impegnato nella
campagna elettorale Berlusconi parla d’altro. L’argomentare del
Nostro è ricco di creatività  e di humour. L’ultima facezia è
questa: “Se vincono i comunisti non riusciremo più a vendere il
nostro vino e la nostra moda in Usa, tutto il Made in Italy
entrerà  in crisi”. Si potrebbe osservare che nei quattro anni e
mezzo del governo Berlusconi-Bossi-Fini le esportazioni italiane
sono tracollate e i fasti del Made in Italy sono soltanto un
lontano ricordo. Che dire poi dei “comunisti”? Ve lo immaginate
Fassino che lotta per il comunismo? Il segretario diessino è
impegnatissimo, come un pioniere americano, nella lotta per la
costruzione del partito democratico e, poi il segretario, avendo
una formazione cattolica con i Padri Gesuiti aborrisce certamente
le teorie del Moro di Treviri. Lo stesso onorevole Cossutta,
verificato che il comunismo non c’è più, è disponibile a
rinunciare alla falce e martello per fare una lista elettorale con
Pecoraro Scanio. Bertinotti ha i suoi problemi con Dio e con la
religione e trova complicato rispondere alla domanda del perchè si
dichiara ancora comunista.
Parlare di pericolo comunista in Italia sembrerebbe quindi
esagerato, eppure l’asse della propaganda berlusconiana è proprio
incentrato su questo. Perchè? La speranza di vittoria alle
prossime elezioni politiche per il centrodestra, è riuscire ad
imporre una campagna tutta ideologica che prescinde dai problemi
reali.
Non va sottovalutata affatto la scelta berlusconiana. Il suo amico
G.W.Bush ha vinto in America proprio perchè è riuscito a spostare
l’attenzione dell’elettorato dalle questioni materiali (guerra,
crisi economica, impoverimento della gente, servizi sociali allo
sfascio) a problematiche morali e religiose sotto la bandiera
della lotta al terrorismo.
La truffaldina legge elettorale (il toscanellum) può riservare
sorprese e in ogni caso non assicura la certezza della vittoria.
Impedire una campagna elettorale che parli delle cose fatte dai
pessimi governi di centrodestra: è questo l’obbiettivo. Così si
riapre il capitolo della legge sull’aborto, si rispolvera lo
spettro del comunismo e da qui ad aprile ne sentiremo delle belle.
Che il Paese continui il suo lento declino interessa poco.
L’importante è il mantenimento del potere. Conservazione del
potere che è stata fino ad ora molto redditizia per il Boss di
Arcore.
Anche un esame sommario dei bilanci delle società  di proprietà 
della famiglia Berlusconi dimostra che il capo di Forza Italia non
ha lavorato gratis come sostiene, per tutti noi.
I problemi sollevati dallo sciopero di venerdì non interessano
soltanto il centrodestra. Prodi e l’Unione, se vincono le
elezioni, non avranno vita facile ed è impensabile che si agisca
come se il berlusconismo sia da mettere tra parentesi per
riprendere il percorso del primo governo di centrosinistra. Con la
stessa filosofia e con le stesse soluzioni non si va da nessuna
parte. Berlusconi vinse nel 2001 anche perchè i governi Prodi,
D’Alema e Amato non riuscirono a governare bene.
Ad esempio, le politiche del lavoro di quegli anni furono
sbagliate. Perchè? L’Italia è tra i Paesi europei a più basso
tasso di disoccupazione eppure la quota del monte salari sul
prodotto interno lordo continua a diminuire. Che vuol significare
questo dato?
Semplicemente i posti di lavoro che si creano continuano ad essere
precari e pessimamente retribuiti. Non si è realizzata una
flessibilità  del lavoro si è invece essenzialmente indebolita ogni
capacità  contrattuale per il singolo lavoratore e ciò non ha fatto
alcun bene alla crescita delle aziende se è vero che in questi
anni è continuato il processo di deindustrializzazione del Paese
senza che sia cresciuto in maniera significativa un terziario
avanzato degno di questo nome.
In Umbria, nel nostro piccolo, non è che le cose siano andate
diversamente. Il nostro tasso di disoccupazione è forse al minimo
storico, ma il monte salari e stipendi non ha migliorato affatto
la sua incidenza sul PIL regionale. Sarebbe utile uno studio al
riguardo, l’impressione è che la precarietà  del posto del lavoro
domina nella nuova occupazione. Lo stesso tessuto produttivo
continua ad indebolirsi nel settore industriale e le imprese del
terziario avanzato stentano a crescere. Si conferma uno sviluppo a
macchia di leopardo con isole di eccellenza, ma con significative
crisi imprenditoriali in molte aree della regione. La parola
d’ordine, più volte enfatizzata, dell’innovazione non si sostanzia
con scelte concrete della pubblica amministrazione. E’ assente
ingiustificata la domanda pubblica per processi di innovazione
tecnologica. E se il pubblico non si ammoderna difficile far
crescere imprese nel campo dell’informatica e delle tecnologie
della comunicazione.
Corriere dell’Umbria 27 novembre 2005

Enti inutili e interessi consolidati

Quella che hanno votato i partiti della Casa delle Libertà  non è
una riforma della Costituzione, ma la demolizione della Carta
fondativa che ha garantito al Paese, dopo la dittatura fascista,
oltre cinquanta anni di sviluppo della democrazia. Non è che
quella votata dalla destra sia una Costituzione antidemocratica.
Il punto non è questo. Ma la democrazia ha bisogno di aggettivi
per essere definita. Quella che esce dal voto del Parlamento a
maggioranza berlusconiana è una democrazia costruita confusamente,
senza pesi e contrappesi dove la divisione dei poteri è tutta a
vantaggio del leader contro l’assemblea parlamentare.
Gli altri poteri costituiti, a cominciare da quello del presidente
della repubblica, perdono competenze e ruolo. La questione è grave
perchè si vuole destrutturare un impianto istituzionale che poteva
essere anche da correggere, ma che aveva una sua coerenza nella
divisione dei poteri e delle competenze. Diviene gravissima
quando, a regime, la nuova carta consentirà , ad ogni statarello
federale, di avere la propria sanità . Non più Servizio Sanitario
Nazionale ma sanità  regionale nonostante tutto che ne consegue in
termini di parità  del diritto di cittadinanza e di uguaglianza di
trattamento dei cittadini.
A conferma che non sempre il nuovo che avanza è meglio del
vecchio, la devolution voluta da Bossi e Berlusconi è un
accrocchio istituzionale che non funzionerà . Lo dicono tutti i
costituzionalisti e gli esperti del ramo denunciano i rischi della
paralisi istituzionale.
Qualche perplessità  è venuta, dopo aver votato a favore, allo
stupefacente onorevole Casini. La stessa Conferenza Episcopale
Italiana ha qualche dubbio rispetto alla devolution. Ed è tutto
dire del disastro prodotto dalla mistura tra il bossismo e il
berlusconismo.
Ma dovrà  essere il popolo a dire l’ultima parola. Il referendum
confermativo è già  in costruzione e dovrà  svolgersi entro sei mesi
dall’approvazione della “riforma”. Dipenderà  dalla capacità  delle
forze politiche della sinistra e del centro democratico se
attraverso il voto si riuscirà  a mantenere la civiltà  della
Costituzione uscita dall’Assemblea costituente votata il 27
dicembre del 1947.
Il referendum confermativo non sarà  facile e il risultato non è
scontato. La materia è ostica ai comuni mortali.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra si potrebbe dire. E il
centrosinistra di peccati istituzionali ne ha parecchi da farsi
perdonare. Qualche esemplificazione. La modifica del Titolo Quinto
della Carta che introduce il federalismo, è stato votato dal
centro sinistra (con esclusione di Rifondazione) con una
maggioranza risibile. Quell’errore ha aperto una prateria alle
incursioni dei leghisti e dei berluscones che hanno così avuto
modo di travolgere completamente il dettato costituzionale. Il
fatto che in Italia vi siano ventisei sistemi elettorali diversi
non è responsabilità  di Berlusconi. E’ piuttosto frutto di una
scelta di politica istituzionale che, importando, deformandoli,
modelli anglosassoni di forme della democrazia, ha privatizzato la
vita politica italiana costruendo un ceto politico
autoreferenziale ed intangibile.
Il presidenzialismo è figlio legittimo della leaderite acuta,
malattia infantile del riformismo nostrano. Ulteriore tappa di
svuotamento del ruolo delle assemblee rappresentative. E’ questo
un processo ormai decennale che se ha risolto il problema della
governabilità , ha impoverito ogni processo di partecipazione e di
rappresentatività  delle forze politiche, sociali e culturali. Il
“palazzo” si è ulteriormente allontanato dal popolo.
Non è successo anche nella nostra collettività ? Siamo una piccola
regione in cui è facile per i cittadini conoscere chi li
amministra. E’ diventato però più complesso poter parlare con loro
se non si rappresenta qualcosa o qualcuno.
Bisogna capirlo. Gli impegni sono tanti e i pur cospicui uffici di
gabinetto non riescono a soddisfare le richieste di incontro dei
comuni cittadini. E poi le strutture pubbliche endoregionali sono
così numerose da scoraggiare chiunque a richiedere
all’amministratore un chiarimento, un suggerimento. Come fare a
districarsi nelle frantumate competenze di enti, società  pubbliche
e via elencando?
Che qualcosa non vada se ne sono accorti anche i nostri leader. E
anche per questo si è aperta in Umbria un’aspra discussione su
come riformare la struttura istituzionale locale. Non è facile
scegliere una strada. Da dove partire? Gli interessi in campo sono
molti. Vi sono quelli legittimi e quelli “consolidati”. L’Umbria,
anche nel passato, ha avuto molti enti sovracomunali che spesso si
sono rivelati non efficaci e alcuni inutili. La differenza
essenziale con l’oggi è che gli addetti ai lavori del tempo
passato non avevano prebende significative, spesso le loro
indennità  erano risibili. Le cose sono al momento diverse. Da qui
la difficoltà .
Si è consolidato negli anni un ceto politico amministrativo che
ruota nei diversi incarichi e gli addetti non hanno compensi
irrilevanti. Per impedire un processo di innovazione e riforma si
alzeranno le bandiere dell’interesse di questo o quel territorio.
Scenderanno in campo forze sociali e politiche per salvaguardare
l’ente e con esso il ruolo di Tizio e di Caio. Niente di nuovo
sotto il sole se non il fatto che le risorse pubbliche sono in
netto calo, qualcosa bisogna fare. Si può essere creativi quanto
si vuole con i bilanci pubblici, Tremonti insegna. Non esistono
ricerche al riguardo, ma l’impressione da profano è di un netto
incremento negli anni di tutte quelle spese che nei bilanci
vengono iscritte “per il funzionamento” dell’ente.
E’ arrivato il tempo di riconsiderare le scelte di risolvere i
problemi creando enti? Che sia al termine, per mancanza di
risorse, la stagione dei manager?
Corriere dell’Umbria 20 novembre 2005

Meglio “molleggiare” che galleggiare

Lo spettacolo televisivo di maggior successo di pubblico e di
critica sono state le quattro serate di Adriano Cementano e del
suo “RockPolitik”. Si può giudicare come si vuole il lavoro degli
ideatori dello show, ma certamente esso è stata la dimostrazione
di come anche la politica può attrarre l’attenzione delle masse
televisive senza dover usare scollacciate veline e volgarità varie
per fare un ottimo share. L’agorà del “molleggiato” si è
dimostrata più attraente del cabaret di Bruno Vespa. E
incredibilmente anche parlare di valori, di etica e di una
politica fatta come servizio e non come carriera sembra essere
apprezzato. “RockPolitik” ha dimostrato che anche i televisionati
preferiscono un buon professionista dello spettacolo che parla di
politica ad un politico che si trasforma in “macchietta”
televisiva.
L’evento politico più rilevante degli ultimi mesi non sono state
le dichiarazioni di Rutelli, Berlusconi o Fassino, ma la
partecipazione di massa in occasione delle primarie indette senza
alcuna convinzione dall’Unione. Il popolo del centro sinistra
(soltanto?) ha suonato la sveglia: ci siamo anche noi e non
soltanto il ceto politico a decidere candidati, liste e programmi.
Cari generali senza esercito, non è affar vostro soltanto decidere
le strategie per sconfiggere la deriva berlusconiana. Questo è
stato detto ai leader politici con grande tranquillità e
determinazione dagli oltre quattro milioni di partecipanti al voto
del 16 ottobre.
L’esigenza della partecipazione popolare alla politica non è
eludibile in una fase di forti incertezze e di angoscianti
interrogativi sul futuro di tanta parte del Paese.
L’Italia è una strana comunità che, nonostante decenni di
mediocrità della vita politica, mantiene una estesa sensibilità
democratica. Straordinari momenti, come la grandissima
mobilitazione dei giovani calabresi per la legalità, si mescolano
a piccoli episodi che dimostrano la voglia di parlare di politica.
Organizzato da Micropolis, nella sede di Segno Critico, venerdì è
stato presentato a Perugia un libro del Professor Renato Covino.
Si tratta di un saggio titolato “Gli equilibristi sulla palude”.
Essendo stato, in una lontana fase della mia vita, uno degli
“equilibristi”, sono stato invitato alla discussione. La tesi di
Covino è molto radicale:”L’Umbria è uscita dalla povertà e
dall’arretratezza grazie alla politica e all’intervento pubblico”.
Se è vero questo la conseguenza da trarre è che senza una politica
forte e senza una democrazia organizzata, gli attuali problemi
della nostra terra non potranno essere risolti. La gestione
dell’esistente non basterà ad uscire dalla crisi innegabile della
struttura economica e dal certo ridimensionamento dell’intervento
pubblico imposto dalla finanziaria di Tremonti e Berlusconi.
La discussione attorno al saggio di Covino è stata interessante,
ma la cosa che più colpiva in molti interventi, è stata la
pressante richiesta di costruire sedi di discussione politica.
Molti dei partecipanti erano “cani sciolti”, ma molti erano
dirigenti di partiti della sinistra e del sindacato che,
evidentemente, non riescono a trovare nella vita politica
quotidiana della loro organizzazione risposta all’esigenza di
partecipazione.
L’impoverimento della vita democratica dei partiti è cosa nota ed
è grave in assoluto. Diviene una tragedia per una comunità come la
nostra che ha costruito la sua identità grazie ad uno sforzo
soggettivo della classe dirigente politica dei decenni trascorsi.
Di cosa ci sarebbe bisogno? Intanto c’è l’urgenza di un discorso
di verità. Dire come stanno le cose e i rischi che si corrono è
obbligatorio.
E’ utopistico sperare che, nonostante la campagna elettorale già
in atto, si riesca ad organizzare una discussione attorno ai nodi
strutturali della nostra regione? Anche alla luce dei processi
finanziari nazionali, non è tempo di riconsiderare le priorità e
le metodologie del Patto per lo Sviluppo? La scelta strategica
delle privatizzazioni deve essere confermata nonostante i
fallimenti delle cartolarizzazioni tremontiane o è tempo di
riconsiderare la qualità dell’intervento pubblico in alcuni
settori?
Non credo che possa essere indifferente alle forze sociali umbre
il ridimensionamento del welfare locale. La crisi della spesa
pubblica non è cosa che riguarda il ceto politico. Ma è il ceto
politico che deve trovare il mondo di organizzare una discussione
di massa che riesca a mobilitare le forze vive della comunità in
difesa dei servizi pubblici. Da questo punto di vista il sindacato
farà sentire la sua voce. Batta un colpo, La cosa sarà certamente
apprezzata.
Avere meno risorse per delle scelte innovative non è cosa che
riguarda soltanto gli amministratori. Se le vivaci forze
imprenditoriali della regione hanno qualcosa da dire al riguardo è
tempo che lo facciano. Chi la organizza questa fase di
discussione? Dovrebbero essere gli addetti ai lavori ad andare
oltre la normale amministrazione o dal galleggiamento che dir si
voglia, impegnando le proprie energie verso un rapporto più
diretto con le masse amministrate.
Sarebbe l’occasione per far uscire dalla segreta stanza i
dirigenti politici dei partiti. Certamente essi saranno afflitti
dalla gestione delle liste elettorali. Consiglieri di non
affaticarsi più di tanto. Conoscendo come va il mondo possono
essere meno preoccupati. Le oligarchie romane sono già al lavoro
nell’ingrato compito di scegliere, dopo attenta ripartizione, i
candidati per la prossima tenzone elettorale. Una bella campagna
di informazione nel territorio farebbe bene al loro prestigio e
migliorerebbe il loro rapporto con le masse.
Corriere dell’Umbria 13 novembre 2005

Meglio “molleggiare” che galleggiare

Lo spettacolo televisivo di maggior successo di pubblico e di
critica sono state le quattro serate di Adriano Cementano e del
suo “RockPolitik”. Si può giudicare come si vuole il lavoro degli
ideatori dello show, ma certamente esso è stata la dimostrazione
di come anche la politica può attrarre l’attenzione delle masse
televisive senza dover usare scollacciate veline e volgarità  varie
per fare un ottimo share. L’agorà  del “molleggiato” si è
dimostrata più attraente del cabaret di Bruno Vespa. E
incredibilmente anche parlare di valori, di etica e di una
politica fatta come servizio e non come carriera sembra essere
apprezzato. “RockPolitik” ha dimostrato che anche i televisionati
preferiscono un buon professionista dello spettacolo che parla di
politica ad un politico che si trasforma in “macchietta”
televisiva.
L’evento politico più rilevante degli ultimi mesi non sono state
le dichiarazioni di Rutelli, Berlusconi o Fassino, ma la
partecipazione di massa in occasione delle primarie indette senza
alcuna convinzione dall’Unione. Il popolo del centro sinistra
(soltanto?) ha suonato la sveglia: ci siamo anche noi e non
soltanto il ceto politico a decidere candidati, liste e programmi.
Cari generali senza esercito, non è affar vostro soltanto decidere
le strategie per sconfiggere la deriva berlusconiana. Questo è
stato detto ai leader politici con grande tranquillità  e
determinazione dagli oltre quattro milioni di partecipanti al voto
del 16 ottobre.
L’esigenza della partecipazione popolare alla politica non è
eludibile in una fase di forti incertezze e di angoscianti
interrogativi sul futuro di tanta parte del Paese.
L’Italia è una strana comunità  che, nonostante decenni di
mediocrità  della vita politica, mantiene una estesa sensibilità 
democratica. Straordinari momenti, come la grandissima
mobilitazione dei giovani calabresi per la legalità , si mescolano
a piccoli episodi che dimostrano la voglia di parlare di politica.
Organizzato da Micropolis, nella sede di Segno Critico, venerdì è
stato presentato a Perugia un libro del Professor Renato Covino.
Si tratta di un saggio titolato “Gli equilibristi sulla palude”.
Essendo stato, in una lontana fase della mia vita, uno degli
“equilibristi”, sono stato invitato alla discussione. La tesi di
Covino è molto radicale:”L’Umbria è uscita dalla povertà  e
dall’arretratezza grazie alla politica e all’intervento pubblico”.
Se è vero questo la conseguenza da trarre è che senza una politica
forte e senza una democrazia organizzata, gli attuali problemi
della nostra terra non potranno essere risolti. La gestione
dell’esistente non basterà  ad uscire dalla crisi innegabile della
struttura economica e dal certo ridimensionamento dell’intervento
pubblico imposto dalla finanziaria di Tremonti e Berlusconi.
La discussione attorno al saggio di Covino è stata interessante,
ma la cosa che più colpiva in molti interventi, è stata la
pressante richiesta di costruire sedi di discussione politica.
Molti dei partecipanti erano “cani sciolti”, ma molti erano
dirigenti di partiti della sinistra e del sindacato che,
evidentemente, non riescono a trovare nella vita politica
quotidiana della loro organizzazione risposta all’esigenza di
partecipazione.
L’impoverimento della vita democratica dei partiti è cosa nota ed
è grave in assoluto. Diviene una tragedia per una comunità  come la
nostra che ha costruito la sua identità  grazie ad uno sforzo
soggettivo della classe dirigente politica dei decenni trascorsi.
Di cosa ci sarebbe bisogno? Intanto c’è l’urgenza di un discorso
di verità . Dire come stanno le cose e i rischi che si corrono è
obbligatorio.
E’ utopistico sperare che, nonostante la campagna elettorale già 
in atto, si riesca ad organizzare una discussione attorno ai nodi
strutturali della nostra regione? Anche alla luce dei processi
finanziari nazionali, non è tempo di riconsiderare le priorità  e
le metodologie del Patto per lo Sviluppo? La scelta strategica
delle privatizzazioni deve essere confermata nonostante i
fallimenti delle cartolarizzazioni tremontiane o è tempo di
riconsiderare la qualità  dell’intervento pubblico in alcuni
settori?
Non credo che possa essere indifferente alle forze sociali umbre
il ridimensionamento del welfare locale. La crisi della spesa
pubblica non è cosa che riguarda il ceto politico. Ma è il ceto
politico che deve trovare il mondo di organizzare una discussione
di massa che riesca a mobilitare le forze vive della comunità  in
difesa dei servizi pubblici. Da questo punto di vista il sindacato
farà  sentire la sua voce. Batta un colpo, La cosa sarà  certamente
apprezzata.
Avere meno risorse per delle scelte innovative non è cosa che
riguarda soltanto gli amministratori. Se le vivaci forze
imprenditoriali della regione hanno qualcosa da dire al riguardo è
tempo che lo facciano. Chi la organizza questa fase di
discussione? Dovrebbero essere gli addetti ai lavori ad andare
oltre la normale amministrazione o dal galleggiamento che dir si
voglia, impegnando le proprie energie verso un rapporto più
diretto con le masse amministrate.
Sarebbe l’occasione per far uscire dalla segreta stanza i
dirigenti politici dei partiti. Certamente essi saranno afflitti
dalla gestione delle liste elettorali. Consiglieri di non
affaticarsi più di tanto. Conoscendo come va il mondo possono
essere meno preoccupati. Le oligarchie romane sono già  al lavoro
nell’ingrato compito di scegliere, dopo attenta ripartizione, i
candidati per la prossima tenzone elettorale. Una bella campagna
di informazione nel territorio farebbe bene al loro prestigio e
migliorerebbe il loro rapporto con le masse.
Corriere dell’Umbria 13 novembre 2005

Più valore al lavoro

Cosa sarebbe la nostra vita senza le battute del cavalier Berlusconi?
Una noia. La settimana si chiude con questa sua dichiarazione: “Gli
italiani devono lavorare di più e più a lungo. In pensione non prima
dei sessantotto anni”. E’ noto che l’età pensionabile italiana è
vicina alla media europea e quanto a capacità lavorativa il nostro è
un popolo apprezzato per creatività e impegno in tutto il mondo.
L’INPS presenta un avanzo nei conti per il 2004 di oltre cinque
miliardi di euro? Per il capo del governo non basta. Il lavoro
nobilita l’Uomo? E allora allunghiamo gli orari di lavoro e andiamo
in quiescenza più tardi possibile. Sai che gioia per coloro che hanno
cominciato a lavorare a sedici anni o per il giovane in attesa di un
primo lavoro stabile dopo cento lavori “flessibili” e mal pagati.
Il problema, non solo italiano, è che il “lavoro” ha perso di
importanza, vale sempre meno. Basta esaminare i dati della
ripartizione della ricchezza e si vedrà che negli ultimi venti anni
la quota di beni che va ai redditi da lavoro (in tutte le sue forme)
si è ridotta in maniera consistente a vantaggio delle rendite e dei
profitti. Questo tema non sembra essere nell’agenda della politica.
Soltanto pochi dirigenti politici affrontano il problema e quando lo
fanno non riescono a indicare soluzioni credibili. Eppure senza un
recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionanti
l’aumento dei consumi non potrà avvenire; con tutto ciò che consegue
per la crisi della nostra economia. Sarebbe forse utile una
discussione seria sul come tornare a legare l’aumento della
produttività del lavoro con recuperi salariali. Gli stessi tagli alla
spesa pubblica per il sociale, previsti nella finanziaria in
discussione in Parlamento, sono traducibili in una diminuzione delle
condizioni materiali della maggioranza dei lavoratori.
In questa stagione della politica si parla d’altro. Berlusconi
continua con le sue boutade e gli unionisti di Prodi sembrano poco
interessati ad argomenti ostici come quelli della crisi economica o
quando lo affrontano restano ancorati a una sloganistica liberista
ininfluente negli orientamenti della gente. Si entusiasmano nella
scelta dei candidati per le prossime elezioni a Milano o in Sicilia.
Il cemento dell’antiberlusconismo ha funzionato alle primarie?
Funzionerà anche alle elezioni politiche. E’ probabile, ma rimane il
fatto che almeno alcuni nodi programmatici devono essere risolti
prima delle elezioni. Uno dei problemi decisivi per il nostro Paese è
quello della caduta di fiducia nel futuro non solo dei giovani
precarizzati, ma anche di coloro che hanno un lavoro o una pensione.
Anche l’aumento dei risparmi bancari delle famiglie segnala questo
dato di incertezza. Per la politica del centrosinistra è vitale
trovare una piattaforma di valori e idee che aiutino a recuperare la
speranza per il domani. Non libri di sogni, a quelli ha pensato
Berlusconi, ma proposte che diano il senso di un cammino possibile.
Invece l’obbiettivo che i leader hanno sembra essere quello di essere
presenti, con la cravatta giusta, ogni volta che c’è una telecamera
in agguato o un giornalista in vena di interviste.
La voglia di far parlare di sé è tale che l’enfasi ciarliera
aumenterà via, via che la scadenza elettorale si avvicina.
Dichiarazione dopo dichiarazione, spot dopo spot, il quadro del Paese
non migliora, ma in compenso i giornali sanno di cosa scrivere.
Lo dicono tutti:l’immagine è tutto per conquistare il potere.
Sono molti anni ormai che la televisione ha fagocitato la politica.
Quello che non appare in televisione non esiste e quindi non è utile
alla carriera. Così viviamo in una realtà virtuale in cui la
discussione politica si piega alle esigenze dello spettacolo.
Esperti e scienziati si interrogano su quanto incide negli
orientamenti dell’elettorato uno spettacolo di satira televisiva.
Celentano, nuovo guru della politica, è utile all’Ulivo o no? Serve
l’arte di Benigni a battere il berlusconismo? In tutti i giornali che
contano sono state scritte al riguardo pagine su pagine. La disputa
non è stata risolta. Una discussione che sembrerebbe paradossale ad
un osservatore non italiano ma che suscita grandi passioni nei
salotti televisivi gremiti da politici di ogni colore. Il ceto
politico sembra incapace di una autonoma capacità di analisi e di
proposta.
Ad esempio, addetti ai lavori a parte, chi riesce a capire nella
nostra regione quali sono le priorità che si presentano ad una
comunità che rischia molto dalla crisi della spesa pubblica? Il
sistema che ha consentito una tenuta sociale invidiabile non
funzionerà più anche a causa di un debito pubblico che impone un
ridimensionamento dell’intervento pubblico. In quale sede politica si
è aperta una discussione non propagandistica su questo tema. La
destra continua ad esprimere valutazioni che dimostrano una completa
ignoranza della realtà regionale. Dire che la finanziaria di Tremonti
funzionerà perché taglia soltanto gli sprechi dei governi locali dei
“comunisti” è una sciocchezza e come tale va valutata. I tagli agli
stanziamenti per i servizi gestiti da comuni e dalla Regione sono un
colpo micidiale alle condizioni di vita di moltissimi umbri. Essi si
vedranno costretti ad una peggiore assistenza sanitaria e ad un
drammatico ridimensionamento di ogni forma di sostegno sociale.
D’altra parte presentare, come fa il centrosinistra, la realtà umbra
come realtà saggiamente gestita che non abbisogna di innovazioni e di
rigore non corrisponde al vero. E’ una forzatura propagandistica.
Antiche debolezze strutturali di una piccola comunità tornano a
pesare sul futuro senza che il dibattito politico in Umbria esca
dalle beghe di “palazzo”. Una dichiarazione in meno e un’analisi in
più aiuterebbe a capire dove e come impegnare partiti e istituzioni.
Un salto di qualità nella polemica politica sembrerebbe opportuno.
Corriere dell’Umbria 6 novembre 2005