INTERVISTA CORRIERE DELL’UMBRIA a cura di Lucia Baroncini

18 settembre 1991
Francesco Mandarini è il nuovo presidente della “Sipra”,
Presidente, la sua carriera politica è finita?
“Direi di no, è un’altra fase. Una forma diversa. Le forme
attraverso le quali si può far politica cambiano nel corso
di una vita. Per fortuna”.
Lei quante ne ha cambiate?
“Ho fatto politica da quanto lavoravo in fabbrica e facevo
il sindacalista, ho fatto politica quando facevo
l’assessore, ho fatto politica quando ero segretario della
Federazione del Pci, l’ho fatta in questi ultimi anni da
presidente della Regione. Continuerò a farne da presidente
della “Sipra”.
In politica, c’è chi l’accusa di aver gettato la spugna,
cioè in un momento in cui le acque, nel suo partito, il
Pds, sono tutt’altro che tranquille…
Alla “Sipra” non sono andato per mia iniziativa.
L’iniziativa è stata del mio partito: Mandarini serve più a
Roma, alla “Sipra”, che in Umbria hanno detto. Ho
apprezzato la qualità della proposta rivoltami dalla
Direzione dei Pds”.
Quanto ci ha messo a decidere?
“E’ stata una decisione abbastanza tormentata. Ho avuto
molti dubbi. Ho riflettuto molto. Era in gioco tutto un
passato e tutto un futuro. Ho disposto e ridisposto tutti
gli elementi del problema e alla fine ho deciso.
Certo, devo aggiungere che se su questo si fosse svolta
una discussione nel Pds, come ho sperato, la cosa mi
avrebbe aiutato molto. Ma tant’è. Nella mia vita politica
ho cambiato varie volte ruolo e collocazione. Ha prevalso
in me sempre la regola del rispetto della volontà
collettivamente espressa dal mio partito. Questo nel mio
modo di vedere la politica. Ciò ha sempre significato la
considerazione dell’interesse generale anche quando
cambiare non mi piaceva.
Anche in questa circostanza è valsa questa vecchia regola.
Innanzitutto, la collettività. Quella collettività i cui
interessi ispireranno sia il mio lavoro a Roma sia qui in
Umbria, con il mio lavoro di semplice consigliere
regionale.
La sua nuova collocazione, anzi, il suo “trasloco” da una
sfera di “politica pura” ad un’azienda ben dentro la
società, sembra aver dato ragione a certe sue
dichiarazioni, negli anni scorsi, in cui manifestava
interesse per incarichi di questa natura, un interesse
motivato anche da una certa stanchezza nei confronti del
sistema politico e delle sue leggi, per non dire da una
vera e propria critica.
“Da sempre, il mio atteggiamento politico è stato rivolto
più verso la società, che non verso la sfera politica al
suo interno. Non mi piace il gioco della politica che si
rende perversamente autonoma. La politica come spettacolo o
come “teatrino” la detesto. Oggi che sono maturate le
condizioni di questo “passaggio”, sento una grande voglia
di sfruttare la possibilità che mi è stata offerta di
lavorare nella società, lasciando la politica “a tempo
pieno”. Almeno per un po’.
C’è critica, nelle sue parole, verso i “professionisti
della politica, quale Lei in fondo è stato fino ad oggi?
“No. Non parlo di “professionismo politico” in senso
spregiativo. Ne parlo come di un compito, di un lavoro
molto impegnativo, che proprio per questo ha bisogno di
ricambi, di periodi di pausa”.
Una specie di “anno sabbatico”
“Si dovrebbe “uscire” dalla politica a tempo pieno,
“rientrare” nella società, per tornare poi, magari, dopo
qualche anno alla politica a tempo pieno”.
Nel frattempo restando, magari, consigliere regionale.
“Non dimentichi che lo farò, essenzialmente, per onorare il
mandato concessomi da chi mi ha votato. Se mi dimettessi,
non renderei un servizio né alla gente né all’immagine del
Pds.
Del resto, non ho alcun interesse personale che mi fa
rimanere in consiglio. Aldilà, questo devo confessarlo, del
desiderio e della curiosità, dopo tanti anni di politica a
tempo pieno, di riscoprire un rapporto con la gente, meno
vincolato dal potere gestito in questi anni. Con meno
potere, il mio rapporto con la gente sarà forse più
autentico”.
Per usare una metafora sportiva, un passaggio, dopo tanti
anni di professionismo, al “dilettantismo” politico.
“Per restare nei termini della Sua domanda, in una qualche
misura sì. Oggi la politica va riscoperta, direi anzi
reinventata, perché i vecchi schemi che ho utilizzato per
tanti anni sono tutti saltati. Se il mondo è cambiato
personalmente ho bisogno di ristudiare, di approfondire le
questioni.
Ciò che del “professionismo politico” va combattuto non è
l’impegno a tempo pieno ma la tendenza a fare della
politica una sfera perversamente autonoma, che si
autoriproduce e si autoesclude, per finalità di potere, dai
problemi della gente e dalla complessità del mondo esterno.
I grandi avvenimenti hanno sempre un riflesso, un “vissuto”
biografico. Per Lei, la presidenza della “Sipra”, che è in
qualche modo un punto di svolta della sua vita, ha coinciso
con “quei giorni che sconvolsero il mondo”. Che effetto Le
fa andarsene proprio ora, quando tutto un passato sembra
andato in liquidazione? Si sente più libero, libero di
rimuovere più facilmente un passato che tutti fanno a gara
per liquidare?
“No, no, io non rimuovo affatto il mio passato. Sono
assolutamente orgoglioso di una storia collettiva a cui ho
partecipato insieme ad altri milioni di comunisti italiani.
Questo significa anche guardare criticamente a ciò che,
nella prospettiva di allora, abbiamo fatto e pensato, cose
che oggi sembrano sciocchezze, anche sciocchezze politiche,
ma davvero vale il senno del poi? Il passato non può essere
giudicato in base ai parametri normativi del presente.
Anche in questa fase, deve prevalere la volontà di
scommettere in una nuova fase della politica. La storia non
finisce con il crollo dell’Unione Sovietica, ovviamente. E
così la politica di oggi deve essere innervata di una
realtà che non dimentica dei processi storici che vi sono
alla base”.
Ma dimentica che il marxismo se non è morto, senz’altro non
sta bene.
“Mah. In questi giorni se ne stanno dicendo tante, se ne
sentono tante, molte, è chiaro, è naturale, sono giorni di
fermento, stiamo vivendo l’alba di un’epoca comunque nuova,
in meglio? In peggio? Questo si vedrà e non è la cosa più
importante, adesso. L’importante è partecipare
coscientemente, criticamente, al grande movimento della
storia”.
Parla come un “irriducibile”
“Ma no. Soltanto che, vede, in questa epoca di pentimenti e
abiure, vorrei dire a chiare lettere che non sono un
pentito. Non mi pento affatto del mio passato, non mi pento
affatto del mio essere comunista. Ci sono cose del mio
passato politico che oggi, con la testa di oggi, posso non
condividere, ma è un giudizio astratto, che non tiene conto
del contesto di quei tempi. Il problema è recuperare un
rapporto critico con la propria storia, avere la libertà di
riconoscere quelli che oggi appaiono come stupidaggini ed
errori compiuti.
Anch’io ritengo di aver fatto errori, di aver detto anche
sciocchezze. Ma il vero errore sarebbe, oggi, cercare di
giustificare quegli errori o di compiere abiure, cercando
in entrambi i casi di inserirli in un percorso lineare che
non è reale, ma costruito alla bisogna.
Bisogna fare i conti con il passato senza infingimenti,
senza averne alcuna paura. Questa è la base della libertà.
E per me questa è ancora la miglior lezione del marxismo,
di Karl Marx, economista e filosofo del secolo scorso”.
Ci tiene a questa precisazione?
“Direi che è il cuore del problema. Nelle università
americane si studia Marx con rinnovato interesse e
l’attenzione dovuta al valore di uno studioso di grande
levatura. Qui da noi c’è il solito coro che dichiara che
Marx va messo in soffitta, addirittura bruciato, magari
senza averne letto neanche una riga. La teoria di Marx è
essenzialmente una teoria critica. Marx non ha anticipato
alcuna forma statale, alcun modello precostituito di
società.
E sarebbe stato il primo a rivoltarsi contro le follie
dogmatiche del materialismo dialettico”.
Alla “Sipra” va dunque un presidente ancora marxista.
“Ricorda l’aneddoto di Marx, quando dichiarava di non
essere marxista? Lo diceva davvero per ribadire il
contenuto critico, non dogmatico della sua teoria. Marx
criticava la religione non perché era un mangiapreti, ma
perché la religione era per lui la forma più perfetta del
dogma, del sistema che controlla tutto nelle sue spire ed
impedisce la comprensione del mondo. Il marxismo sovietico
è stato uno forma di religione. Non ho una religione e
quindi non sono neanche marxista. Ma, come ha detto di
recente Umberto Eco, è proprio per questo che sto attento a
non buttare via Marx con l’acqua sporca. D’altra parte si è
verificata la crisi di un modello economico e sociale, che
ha dimostrato tutta la sua incapacità di risolvere i
problemi della gente. Il cosiddetto “socialismo reale” è
fallito, è stata un’illusione, in molti casi anche una
macabra illusione della quale anche noi del vecchio Pci
abbiamo avuto le nostre colpe nel non denunciarla e le
nostre responsabilità sono evidenti. Ma oggi c’è stata
veramente una rivoluzione democratica nell’exURSS? Sono
molto preoccupato, non perché legga in questi avvenimenti
la conferma della crisi del marxismo o del comunismo: il
fatto è che si sono messi in moto processi di
disgregazione, che potrebbero essere allarmanti per tutti i
democratici. D’altra parte quando si è in presenza di
fenomeni qualitativamente nuovi di questa portata, il
processo di compressione è molto lento e ingannevole.
Può essere però l’occasione, per la sinistra, di progettare
nuove strade di lotta per una società più libera,
democraticamente civile. Dipenderà da come sapremo
lavorare”.
Torniamo all’Umbria, alla Regione, come giudica la
presidenza Mandarini?
“Come tutte le cose. Fatta di elementi positivi e di
elementi negativi”.
Cominciamo da quelle positive.
“Credo che la cosa più positiva sia stata quella di aver
cercato di sfruttare ogni spazio utile per l’istituto
regionale, questo anche nel momento peggiore per le
istituzioni democratiche locali. Abbiamo aperto un
“sentiero” che conduce all’Europa, un fatto molto
importante che porterà frutti interessanti nel medio
periodo. E’ stata una presidenza che ha visto crescere
l’immagine dell’Umbria sia sul piano nazionale che
internazionale. Le nostre realizzazioni, i nostri progetti
hanno ricevuto grande consenso ed apprezzamento in Italia
ed in Europa.
L’Umbria è sempre di più “regione europea”. La cosa
positiva a cui tengo di più, comunque, è il rapporto con la
gente. Non è stata una presidenza di Palazzo, è stata una
presidenza vissuta con la gente”.
Parliamo delle cose negative.
“La mia incapacità di riuscire a fornire di strutture più
civili quel mondo di emarginati che è presente anche in
Umbria. Mi dispiace dire che, nel nostro lavoro con i
portatori di handicap, in Umbria non abbiamo costruito
molto. In questo c’è stata probabilmente una scarsa
efficacia anche da parte mia, una determinazione non
sufficiente. E’ stata un’occasione mancata, soprattutto
perché noi partivamo da una base molto positiva per quanto
riguarda il lavoro con gli emarginati, penso ad esempio
alla grande esperienza psichiatrica che qui c’è stata negli
anni ’60 e ‘70.
Non aver fatto significativi passi avanti su questo terreno
è una cosa che mi pesa molto. Spero che, nei prossimi anni,
questa lacuna venga colmata da altri amministratori.
Come vede in Umbria il dopo Mandarini? L’attuale coalizione
Pds-Psi, garante della tanto decantata stabilità politica,
reggerà dopo la Sua assenza?
“L’aver assicurato le condizioni di questa stabilità.
L’aver tenuto insieme la sinistra in Umbria lo considero un
motivo di grande merito anche se alcuni compagni del mio
partito sembra non siano dello stesso avviso tirando fuori
chissà quali subalternità al partito socialista. La mia è
stata un’operazione di carattere istituzionale, da
presidente della Regione che non rappresenta un partito o
un raggruppamento di partiti, ma innanzitutto una comunità.
Non sono mai stato quindi il rappresentante del Pci-Pds che
fa il presidente della Giunta regionale. Ho cercato, al
contrario, di coinvolgere e valorizzare tutte le componenti
dell’esecutivo e del consiglio regionale, ascoltando tutte
le voci e da tutte sforzandomi di apprendere per correggere
e imparare.
Come vede il prossimo futuro, senza di Lei?
“Incerto, ma ovviamente non perché va via Mandarini. La
sinistra è in difficoltà. Ciò che è successo in Unione
Sovietica ha fatto emergere ed enfatizzato la enorme crisi
di idee e di ideali attraversata dalla sinistra europea. I
protagonisti di queste settimane sono stati i moderati, i
conservatori, George Bush è diventato il modello, la
sinistra europea è stata praticamente silenziosa.
Da questo punto di vista è importante che, almeno in questa
circostanza, i socialisti e gli iscritti al Pds abbiano
avuto più coraggio di quanto ne abbiano avuto i
socialdemocratici tedeschi o i socialisti francesi,
prendendo una posizione decisa per la democrazia in Unione
Sovietica. La sinistra è in crisi, figuriamoci la sinistra
comunista. Anche la sinistra socialdemocratica non ha una
piattaforma maggioritaria, né in Italia né in Europa. Da
qui bisogna ripartire.
E in Umbria?
“Anche in Umbria non basta la stabilità del governo
regionale, o perlomeno non basterà più. La sinistra umbra
deve intraprendere una grande operazione di trasformazione,
analoga a quella degli anni ’50 e ’60, quando i partiti
della sinistra forti nelle campagne divennero partiti delle
città. Da questo processo di conquista di un’ egemonia
nelle città nasce la premessa della grande forza della
sinistra in Umbria. Occorre una grande trasformazione di
questo tipo, molto più ardua e qualitativamente diversa. Se
si guarderà al passato o ci si appiattirà sull’esistente,
la sinistra verrà sconfitta anche in Umbria. Da questo
punto di vista, giudico interessanti alcune proposte fatte
da varie parti politiche. C’è un punto, tuttavia, sul quale
non concordo: mi sembra che siano tutte proposte che non
tengono adeguato conto dei dati strutturali della crisi
della sinistra. Fatti strutturali che sono un fatto molto
serio anche in Umbria, nonostante il grande consenso
elettorale che abbiamo avuto nel 1990. Per parte mia, dico
che bisogna guardare con attenzione al possibile intreccio
tra crisi dell’economia regionale e la crisi della
rappresentanza della sinistra. E’ un nodo preoccupante.
Intere fasce di lavoratori, di intellettuali, il blocco
sociale che ha rappresentato una grossa parte della
struttura portante della sinistra in Umbria è stato in
qualche molto colpito, squassato dalla crisi economica e
ideale di questo decennio. C’è un disagio, un
disorientamento profondo, un’atomizzazione individuale che
farà sentire i suoi riflessi.
È opportuno intervenire e in fretta.
Occorre mettere in moto un processo di intelligenza
collettiva, mobilitare forze e iniziative senza le quali la
battaglia è perduta in partenza. A questo processo cercherò
di dare il mio contributo

INTERVISTA CORRIERE DELL’UMBRIA a cura di Lucia Baroncini

18 settembre 1991
Francesco Mandarini è il nuovo presidente della “Sipra”,
Presidente, la sua carriera politica è finita?
“Direi di no, è un’altra fase. Una forma diversa. Le forme
attraverso le quali si può far politica cambiano nel corso
di una vita. Per fortuna”.
Lei quante ne ha cambiate?
“Ho fatto politica da quanto lavoravo in fabbrica e facevo
il sindacalista, ho fatto politica quando facevo
l’assessore, ho fatto politica quando ero segretario della
Federazione del Pci, l’ho fatta in questi ultimi anni da
presidente della Regione. Continuerò a farne da presidente
della “Sipra”.
In politica, c’è chi l’accusa di aver gettato la spugna,
cioè in un momento in cui le acque, nel suo partito, il
Pds, sono tutt’altro che tranquille”¦
Alla “Sipra” non sono andato per mia iniziativa.
L’iniziativa è stata del mio partito: Mandarini serve più a
Roma, alla “Sipra”, che in Umbria hanno detto. Ho
apprezzato la qualità  della proposta rivoltami dalla
Direzione dei Pds”.
Quanto ci ha messo a decidere?
“E’ stata una decisione abbastanza tormentata. Ho avuto
molti dubbi. Ho riflettuto molto. Era in gioco tutto un
passato e tutto un futuro. Ho disposto e ridisposto tutti
gli elementi del problema e alla fine ho deciso.
Certo, devo aggiungere che se su questo si fosse svolta
una discussione nel Pds, come ho sperato, la cosa mi
avrebbe aiutato molto. Ma tant’è. Nella mia vita politica
ho cambiato varie volte ruolo e collocazione. Ha prevalso
in me sempre la regola del rispetto della volontà 
collettivamente espressa dal mio partito. Questo nel mio
modo di vedere la politica. Ciò ha sempre significato la
considerazione dell’interesse generale anche quando
cambiare non mi piaceva.
Anche in questa circostanza è valsa questa vecchia regola.
Innanzitutto, la collettività . Quella collettività  i cui
interessi ispireranno sia il mio lavoro a Roma sia qui in
Umbria, con il mio lavoro di semplice consigliere
regionale.
La sua nuova collocazione, anzi, il suo “trasloco” da una
sfera di “politica pura” ad un’azienda ben dentro la
società , sembra aver dato ragione a certe sue
dichiarazioni, negli anni scorsi, in cui manifestava
interesse per incarichi di questa natura, un interesse
motivato anche da una certa stanchezza nei confronti del
sistema politico e delle sue leggi, per non dire da una
vera e propria critica.
“Da sempre, il mio atteggiamento politico è stato rivolto
più verso la società , che non verso la sfera politica al
suo interno. Non mi piace il gioco della politica che si
rende perversamente autonoma. La politica come spettacolo o
come “teatrino” la detesto. Oggi che sono maturate le
condizioni di questo “passaggio”, sento una grande voglia
di sfruttare la possibilità  che mi è stata offerta di
lavorare nella società , lasciando la politica “a tempo
pieno”. Almeno per un po’.
C’è critica, nelle sue parole, verso i “professionisti
della politica, quale Lei in fondo è stato fino ad oggi?
“No. Non parlo di “professionismo politico” in senso
spregiativo. Ne parlo come di un compito, di un lavoro
molto impegnativo, che proprio per questo ha bisogno di
ricambi, di periodi di pausa”.
Una specie di “anno sabbatico”
“Si dovrebbe “uscire” dalla politica a tempo pieno,
“rientrare” nella società , per tornare poi, magari, dopo
qualche anno alla politica a tempo pieno”.
Nel frattempo restando, magari, consigliere regionale.
“Non dimentichi che lo farò, essenzialmente, per onorare il
mandato concessomi da chi mi ha votato. Se mi dimettessi,
non renderei un servizio nè alla gente nè all’immagine del
Pds.
Del resto, non ho alcun interesse personale che mi fa
rimanere in consiglio. Aldilà , questo devo confessarlo, del
desiderio e della curiosità , dopo tanti anni di politica a
tempo pieno, di riscoprire un rapporto con la gente, meno
vincolato dal potere gestito in questi anni. Con meno
potere, il mio rapporto con la gente sarà  forse più
autentico”.
Per usare una metafora sportiva, un passaggio, dopo tanti
anni di professionismo, al “dilettantismo” politico.
“Per restare nei termini della Sua domanda, in una qualche
misura sì. Oggi la politica va riscoperta, direi anzi
reinventata, perchè i vecchi schemi che ho utilizzato per
tanti anni sono tutti saltati. Se il mondo è cambiato
personalmente ho bisogno di ristudiare, di approfondire le
questioni.
Ciò che del “professionismo politico” va combattuto non è
l’impegno a tempo pieno ma la tendenza a fare della
politica una sfera perversamente autonoma, che si
autoriproduce e si autoesclude, per finalità  di potere, dai
problemi della gente e dalla complessità  del mondo esterno.
I grandi avvenimenti hanno sempre un riflesso, un “vissuto”
biografico. Per Lei, la presidenza della “Sipra”, che è in
qualche modo un punto di svolta della sua vita, ha coinciso
con “quei giorni che sconvolsero il mondo”. Che effetto Le
fa andarsene proprio ora, quando tutto un passato sembra
andato in liquidazione? Si sente più libero, libero di
rimuovere più facilmente un passato che tutti fanno a gara
per liquidare?
“No, no, io non rimuovo affatto il mio passato. Sono
assolutamente orgoglioso di una storia collettiva a cui ho
partecipato insieme ad altri milioni di comunisti italiani.
Questo significa anche guardare criticamente a ciò che,
nella prospettiva di allora, abbiamo fatto e pensato, cose
che oggi sembrano sciocchezze, anche sciocchezze politiche,
ma davvero vale il senno del poi? Il passato non può essere
giudicato in base ai parametri normativi del presente.
Anche in questa fase, deve prevalere la volontà  di
scommettere in una nuova fase della politica. La storia non
finisce con il crollo dell’Unione Sovietica, ovviamente. E
così la politica di oggi deve essere innervata di una
realtà  che non dimentica dei processi storici che vi sono
alla base”.
Ma dimentica che il marxismo se non è morto, senz’altro non
sta bene.
“Mah. In questi giorni se ne stanno dicendo tante, se ne
sentono tante, molte, è chiaro, è naturale, sono giorni di
fermento, stiamo vivendo l’alba di un’epoca comunque nuova,
in meglio? In peggio? Questo si vedrà  e non è la cosa più
importante, adesso. L’importante è partecipare
coscientemente, criticamente, al grande movimento della
storia”.
Parla come un “irriducibile”
“Ma no. Soltanto che, vede, in questa epoca di pentimenti e
abiure, vorrei dire a chiare lettere che non sono un
pentito. Non mi pento affatto del mio passato, non mi pento
affatto del mio essere comunista. Ci sono cose del mio
passato politico che oggi, con la testa di oggi, posso non
condividere, ma è un giudizio astratto, che non tiene conto
del contesto di quei tempi. Il problema è recuperare un
rapporto critico con la propria storia, avere la libertà  di
riconoscere quelli che oggi appaiono come stupidaggini ed
errori compiuti.
Anch’io ritengo di aver fatto errori, di aver detto anche
sciocchezze. Ma il vero errore sarebbe, oggi, cercare di
giustificare quegli errori o di compiere abiure, cercando
in entrambi i casi di inserirli in un percorso lineare che
non è reale, ma costruito alla bisogna.
Bisogna fare i conti con il passato senza infingimenti,
senza averne alcuna paura. Questa è la base della libertà .
E per me questa è ancora la miglior lezione del marxismo,
di Karl Marx, economista e filosofo del secolo scorso”.
Ci tiene a questa precisazione?
“Direi che è il cuore del problema. Nelle università 
americane si studia Marx con rinnovato interesse e
l’attenzione dovuta al valore di uno studioso di grande
levatura. Qui da noi c’è il solito coro che dichiara che
Marx va messo in soffitta, addirittura bruciato, magari
senza averne letto neanche una riga. La teoria di Marx è
essenzialmente una teoria critica. Marx non ha anticipato
alcuna forma statale, alcun modello precostituito di
società .
E sarebbe stato il primo a rivoltarsi contro le follie
dogmatiche del materialismo dialettico”.
Alla “Sipra” va dunque un presidente ancora marxista.
“Ricorda l’aneddoto di Marx, quando dichiarava di non
essere marxista? Lo diceva davvero per ribadire il
contenuto critico, non dogmatico della sua teoria. Marx
criticava la religione non perchè era un mangiapreti, ma
perchè la religione era per lui la forma più perfetta del
dogma, del sistema che controlla tutto nelle sue spire ed
impedisce la comprensione del mondo. Il marxismo sovietico
è stato uno forma di religione. Non ho una religione e
quindi non sono neanche marxista. Ma, come ha detto di
recente Umberto Eco, è proprio per questo che sto attento a
non buttare via Marx con l’acqua sporca. D’altra parte si è
verificata la crisi di un modello economico e sociale, che
ha dimostrato tutta la sua incapacità  di risolvere i
problemi della gente. Il cosiddetto “socialismo reale” è
fallito, è stata un’illusione, in molti casi anche una
macabra illusione della quale anche noi del vecchio Pci
abbiamo avuto le nostre colpe nel non denunciarla e le
nostre responsabilità  sono evidenti. Ma oggi c’è stata
veramente una rivoluzione democratica nell’exURSS? Sono
molto preoccupato, non perchè legga in questi avvenimenti
la conferma della crisi del marxismo o del comunismo: il
fatto è che si sono messi in moto processi di
disgregazione, che potrebbero essere allarmanti per tutti i
democratici. D’altra parte quando si è in presenza di
fenomeni qualitativamente nuovi di questa portata, il
processo di compressione è molto lento e ingannevole.
Può essere però l’occasione, per la sinistra, di progettare
nuove strade di lotta per una società  più libera,
democraticamente civile. Dipenderà  da come sapremo
lavorare”.
Torniamo all’Umbria, alla Regione, come giudica la
presidenza Mandarini?
“Come tutte le cose. Fatta di elementi positivi e di
elementi negativi”.
Cominciamo da quelle positive.
“Credo che la cosa più positiva sia stata quella di aver
cercato di sfruttare ogni spazio utile per l’istituto
regionale, questo anche nel momento peggiore per le
istituzioni democratiche locali. Abbiamo aperto un
“sentiero” che conduce all’Europa, un fatto molto
importante che porterà  frutti interessanti nel medio
periodo. E’ stata una presidenza che ha visto crescere
l’immagine dell’Umbria sia sul piano nazionale che
internazionale. Le nostre realizzazioni, i nostri progetti
hanno ricevuto grande consenso ed apprezzamento in Italia
ed in Europa.
L’Umbria è sempre di più “regione europea”. La cosa
positiva a cui tengo di più, comunque, è il rapporto con la
gente. Non è stata una presidenza di Palazzo, è stata una
presidenza vissuta con la gente”.
Parliamo delle cose negative.
“La mia incapacità  di riuscire a fornire di strutture più
civili quel mondo di emarginati che è presente anche in
Umbria. Mi dispiace dire che, nel nostro lavoro con i
portatori di handicap, in Umbria non abbiamo costruito
molto. In questo c’è stata probabilmente una scarsa
efficacia anche da parte mia, una determinazione non
sufficiente. E’ stata un’occasione mancata, soprattutto
perchè noi partivamo da una base molto positiva per quanto
riguarda il lavoro con gli emarginati, penso ad esempio
alla grande esperienza psichiatrica che qui c’è stata negli
anni ’60 e “˜70.
Non aver fatto significativi passi avanti su questo terreno
è una cosa che mi pesa molto. Spero che, nei prossimi anni,
questa lacuna venga colmata da altri amministratori.
Come vede in Umbria il dopo Mandarini? L’attuale coalizione
Pds-Psi, garante della tanto decantata stabilità  politica,
reggerà  dopo la Sua assenza?
“L’aver assicurato le condizioni di questa stabilità .
L’aver tenuto insieme la sinistra in Umbria lo considero un
motivo di grande merito anche se alcuni compagni del mio
partito sembra non siano dello stesso avviso tirando fuori
chissà  quali subalternità  al partito socialista. La mia è
stata un’operazione di carattere istituzionale, da
presidente della Regione che non rappresenta un partito o
un raggruppamento di partiti, ma innanzitutto una comunità .
Non sono mai stato quindi il rappresentante del Pci-Pds che
fa il presidente della Giunta regionale. Ho cercato, al
contrario, di coinvolgere e valorizzare tutte le componenti
dell’esecutivo e del consiglio regionale, ascoltando tutte
le voci e da tutte sforzandomi di apprendere per correggere
e imparare.
Come vede il prossimo futuro, senza di Lei?
“Incerto, ma ovviamente non perchè va via Mandarini. La
sinistra è in difficoltà . Ciò che è successo in Unione
Sovietica ha fatto emergere ed enfatizzato la enorme crisi
di idee e di ideali attraversata dalla sinistra europea. I
protagonisti di queste settimane sono stati i moderati, i
conservatori, George Bush è diventato il modello, la
sinistra europea è stata praticamente silenziosa.
Da questo punto di vista è importante che, almeno in questa
circostanza, i socialisti e gli iscritti al Pds abbiano
avuto più coraggio di quanto ne abbiano avuto i
socialdemocratici tedeschi o i socialisti francesi,
prendendo una posizione decisa per la democrazia in Unione
Sovietica. La sinistra è in crisi, figuriamoci la sinistra
comunista. Anche la sinistra socialdemocratica non ha una
piattaforma maggioritaria, nè in Italia nè in Europa. Da
qui bisogna ripartire.
E in Umbria?
“Anche in Umbria non basta la stabilità  del governo
regionale, o perlomeno non basterà  più. La sinistra umbra
deve intraprendere una grande operazione di trasformazione,
analoga a quella degli anni ’50 e ’60, quando i partiti
della sinistra forti nelle campagne divennero partiti delle
città . Da questo processo di conquista di un’ egemonia
nelle città  nasce la premessa della grande forza della
sinistra in Umbria. Occorre una grande trasformazione di
questo tipo, molto più ardua e qualitativamente diversa. Se
si guarderà  al passato o ci si appiattirà  sull’esistente,
la sinistra verrà  sconfitta anche in Umbria. Da questo
punto di vista, giudico interessanti alcune proposte fatte
da varie parti politiche. C’è un punto, tuttavia, sul quale
non concordo: mi sembra che siano tutte proposte che non
tengono adeguato conto dei dati strutturali della crisi
della sinistra. Fatti strutturali che sono un fatto molto
serio anche in Umbria, nonostante il grande consenso
elettorale che abbiamo avuto nel 1990. Per parte mia, dico
che bisogna guardare con attenzione al possibile intreccio
tra crisi dell’economia regionale e la crisi della
rappresentanza della sinistra. E’ un nodo preoccupante.
Intere fasce di lavoratori, di intellettuali, il blocco
sociale che ha rappresentato una grossa parte della
struttura portante della sinistra in Umbria è stato in
qualche molto colpito, squassato dalla crisi economica e
ideale di questo decennio. C’è un disagio, un
disorientamento profondo, un’atomizzazione individuale che
farà  sentire i suoi riflessi.
àˆ opportuno intervenire e in fretta.
Occorre mettere in moto un processo di intelligenza
collettiva, mobilitare forze e iniziative senza le quali la
battaglia è perduta in partenza. A questo processo cercherò
di dare il mio contributo